Nel silenzio e nella penombra di una chiesa medievale, durante una qualsiasi notte di Pasqua caduta prima della fine del Trecento, i fedeli, adunati in preghiera, rivolgono il proprio sguardo verso l’ambone: accanto al cero acceso, simbolo di Cristo che è ‹‹luce del mondo›› (Giovanni 8:12), il diacono fa lentamente scorrere giù dall’ambone un rotolo miniato da un ciclo di immagini altamente significative. È l’exultet, il rotolo che si guarda al contrario. Ma cosa si vuole intendere con questa bizzarra definizione?
Affinché tutto sia chiaro è necessario iniziare dal principio. Oltre che indicare il supporto materiale su cui veniva trascritto, l’exultet è innanzitutto un inno, costituito da prologo e prefazio (ovvero una preghiera cantata in stile solenne), cantato durante la celebrazione della Veglia pasquale. È scritto rigorosamente in lingua latina, infatti il nome deriva dalla prima parola del versetto che apre il prologo: Exsultet iam angelica turba caelorum (letteralmente “esulti ormai la moltitudine angelica dei cieli”). Anche noto come Preconio (che significa “annuncio”), consiste in una lode al cero (laus cerei), volta a trasmettere il messaggio di salvezza attraverso immagini liriche e pregne di misticismo. La paternità del testo non è riconosciuta con certezza, tanto che nel tempo numerose sono state le attribuzioni succedutesi, tra le quali figurano i nomi di Sant’Agostino e Sant’Ambrogio. I dubbi sorgono innanzitutto a causa della presenza di numerose varianti della prefazio (ricordiamo la notissima Vulgata e la Vetus Itala), come l’odierna sopravvissuta distinzione tra rito romano e rito ambrosiano dimostra.
A questo canto liturgico, principalmente nell’Italia meridionale tra X e XIV sec., si legò un’abitudine destinata a suscitare per secoli interesse ed ammirazione, ovvero quella di trascrivere l’inno su lunghi rotoli costituiti da fogli pergamenacei cuciti insieme. La peculiarità di questi prestigiosissimi manufatti, però, è la loro particolare conformazione. Il lato del rotolo posto sul leggio dell’ambone offriva al diacono il testo dell’exultet, affinché egli avesse a disposizione le parole da intonare durante il canto. L’altro capo, invece, progressivamente srotolato verso l’assemblea, era arricchito da miniature raffiguranti il messaggio trasmesso dall’inno stesso.
Il valore di mediazione di questi rotoli è chiaro: le immagini consentivano di colmare la frattura tra lingua liturgica (il latino) e lingua del popolo (il volgare). Il contenuto del canto veniva così ugualmente compreso dai fedeli grazie all’immediatezza delle raffigurazioni, le quali, come fotogrammi in sequenza, scorrevano simultaneamente all’eco delle parole intonate dal diacono, traducendole iconograficamente passo dopo passo.
Tra i rotoli dell’exultet giunti fino a noi possiamo ricordare quelli conservati presso:
- British Library (è qui conservato il rotolo dell’exultet realizzato a Montecassino tra il 1075-1780);
- Duomo di Pisa;
- Museo Diocesano di Bari
- Museo del Tesoro della Cattedrale di Troia;
- Museo Diocesano San Matteo di Salerno.
Proprio sulle particolarità di quest’ultimo è possibile soffermarsi per comprendere ulteriormente la struttura dei rotoli.
Innanzitutto, l’exultet salernitano non presenta testo. Questo dato sembra contraddire tutto quello che è stato finora detto sulla natura di questi rotoli. Eppure, a parte l’inizio del Preconio trascritto sul primo, i restanti dieci fogli presentano due tavole ciascuna (ad esclusione dell’ottavo foglio) separate da una fascia policroma. È inverosimile che il testo sia andato perduto nel corso del tempo o cancellato a causa di errori di restauro, mentre è plausibile proprio per questa struttura che l’inno non sia stato mai copiato sul rotolo né capoverso al ciclo di immagini né in alternanza con le tavole.
Inoltre, una tavola in particolare dell’exultet salernitano apre un capitolo interessante su una caratteristica di questi rotoli, ovvero quella delle commemorazioni finali. Si tratta dell’abitudine di rappresentare sovrani, papi ed imperatori al termine dell’inno con l’intento di invocare la protezione di Dio sulle figure dotate di autorità spirituale o temporale. I nomi sono generalmente omessi, dunque l’identificazione di personaggi storici dietro le immagini presenta non pochi problemi. Quando, però, questa è possibile, procura il vantaggio di azzardare una datazione e localizzazione del manufatto. Il caso salernitano è esemplare. L’ultima tavola raffigura un principe dall’aspetto giovanile, il quale, seduto sul proprio trono, stringe tra le mani da un lato lo scettro, dall’altro un globo crociato. L’iconografia sembra ricordare Federico II, come ipotizzano gli studi dello storico dell’arte Émile Bertaux, il che farebbe risalire la produzione del rotolo al XIII sec., confermando le altre fonti. È necessario sottolineare, però, che secondo recenti pubblicazioni, questo tipo di raffigurazioni non sono da intendersi come ritratti veri e propri, bensì come immagini commemorative legate a formule altrettanto stereotipate.
La bellezza dell’exultet, prodotto pregiato in grado di riunire interessi filologici e storici, consente di compiere un tuffo in quel Medioevo lontano pervaso da una spiritualità pregnante e dotato di una capacità invidiabile: quella di ricavare da esigenze pratiche prodotti raffinati dall’alto valore artistico.
Sara D’Agostino
BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA
ARTURO CARUCCI, Il rotolo salernitano dell’exultet, Scuola Arti Grafiche, Salerno, 1971
GERARD BURIAN LADNER, ‹‹The ‘Portraits’ of Emperors in Southern Italian Exultet Rolls and the Liturgical Commemoration of the Emperor››, Speculum, Vol. 17, No. 2, 1942. pp. 181-200
Voce Treccani: EXULTET di G. Cavallo – Enciclopedia dell’Arte Medievale (1995)