Una storia che si raccontava un tempo narra dell’architetto della cattedrale che, visitando il cantiere, incontra alcuni scalpellini che stanno lavorando alle pietre che diventeranno la chiesa. Li interroga chiedendo loro cosa stiano facendo e il primo, che probabilmente non si aspettava la domanda, risponde “sto sgrezzando una pietra”, il secondo risponde “sto mantenendo me e la mia famiglia, con il mio lavoro”, il terzo risponde “sto costruendo la casa di Dio”. Forse in questa piccola storia risiede uno dei segreti dell’arte romanica.
È evidente e naturale che dopo i saccheggi ed i tempi difficili della guerra di conquista, la commistione tra persone che già abitavano il territorio e gli insediati, si crei una comunione di esperienze, che si sommano alle vicende della vita che, da sempre, mescolano eventi e creano diversità. Si tratta di un’epoca, quella che va dall’VIII secolo dopo Cristo ai primi del ‘300, nella quale l’Europa si trasforma completamente. Gli scalpellini che, caduto l’Impero romano d’Occidente, rimanevano poco più di una setta di secolare esperienza, diventano i veri protagonisti del periodo, visto il grande sviluppo delle arti, del commercio e della politica a cavallo tra i due millenni. Se Carlo Magno riporta l’idea di un’unità di impero in Europa, fonda il Sacro Romano Impero nella notte di Natale dell’800, l’evoluzione del commercio e dell’arte a ridosso dell’anno 1000 progredisce con l’epoca dei comuni in una stagione di grandissimo stimolo letterario ed artistico. Ecco che nasce il romanico, preceduto da un pre-romanico che fa da cerniera tra il primissimo Medioevo ed il Medioevo maturo.
È in questo periodo che nasce quell’arte così intima e popolare da renderla primitiva, nel senso mistico e spirituale del termine. Popolare perché la costruzione delle piccole deliziose chiesette a ridosso delle pievi e dei monasteri, era appannaggio di maestranze spesso autodeterminate e, in virtù della capacità imprenditoriale dell’abate, potevano diventare vero motore economico e sociale della regione, primitiva perché durante il romanico si giunge o, meglio, si ritorna al concetto fondamentale della costruzione del tempio: l’incontro tra eguali che aspirano ad una condizione trascendentale.

L’Apocalisse – Affresco in San Pietro al Monte, Civate
Gli elementi fondanti dell’arte romanica ancora oggi trasmettono pace e misticismo: l’arco a tutto sesto fabbricato su robuste colonne spesso recuperate dai templi latini preesistenti sostiene la struttura dalla volta a capanna, trasposizione spirituale della cascina, della domus entro la quale il pellegrino quotidiano ammira le scene dei Vangeli e dell’Apocalisse di Giovanni dipinti con quella tecnica dell’affresco che così bene è stata recuperata e rinnovata dai pittori medievali come negli affreschi di San Pietro al Monte presso Civate (Lecco). Gli interni sono completamente dipinti con scene sacre con la tecnica dell’affresco, tecnica che analizzeremo in seguito sottolineandone la complessità del metodo.
Ma andiamo ad approfondire le caratteristiche fondamentali dell’arte romanica: oltre alla già citata facciata a capanna (che in terra di Toscana sarà invece a salienti) senza dubbio l’arco a tutto sesto e le monòfore, le bìfore e le trìfore nei campanili e nelle facciate sono indubbiamente una firma romanica. A questo riguardo mi sento perfino di azzardare che l’etimologia del termine “romanico” possa trarre origine anche dalle caratteristiche costruttive ereditate dai romani, oltre alla classica concezione nata nell’800 che crea parallelo tra le arti figurative e le lingue romanze.
L’iconografia dei santi e delle rappresentazioni sacre è affidata al capomastro del cantiere, l’architectus praelectus che, spesso proveniente dalla maestranza degli scultori, dirige il cantiere in sintonia con la committenza e, elemento non trascurabile, gestisce giornalmente la somma che può devolvere per la prosecuzione del cantiere. È in questa epoca che nasce il concetto di offerta per un’opera pubblica, per lo meno secondo la concezione occidentale del termine.
La fabbricazione di opere romaniche si differenzia in maniera così sostanziale in tutta Europa che diventerebbe un’impresa immane riassumere tutte le sue declinazioni in poche righe, tuttavia posso suggerire una breve mappa stilistica che ne riassuma i tratti fondamentali di territorio in territorio.
Il romanico padano richiama, come si diceva dianzi, la capanna, la cascina, la campagna operosa e nebbiosa i cui mattoni rossi ne fanno ancora oggi simbolo peculiare e distinguibile dell’arte del mondo.

San Pietro in Ciel d’Oro, Pavia
Sono sicuro di fare torto alle miriadi di monumenti che non cito ricordando solo il Sant’Ambrogio di Milano con il bellissimo richiamo basilicale, le pavesi San Pietro in Ciel d’Oro e San Michele le cui facciate scultoree e plastiche ricordano la mano dello sculptor medioevale che scava nella pietra e nei mattoni e ne fa elegantissimo monumento alla sapienza muratoria, unitamente al già citato negli articoli precedenti Sant’Abbondio di Como riportato al rigore romanico tra il 1800 e il 1900 da Giuseppe Tazzini, Serafino Balestra e Antonio Giussani ed il Duomo di Parma che dialoga elegantemente con il superbo battistero dell’intelvese Antelami, insuperato modello per l’architettura del 900 italiano. E giù, verso la Toscana passando dall’Emilia, giungiamo alla Bologna rossa di mattoni e passione per il romanico ancora a capanna, affettuoso rifugio urbano del viandante che si ritrova nel Duomo e nel Santo Stefano nella centralissima area delle Sette Chiese.

Lapide dedicata a Wiligelmo, Duomo di Modena
Il viaggiatore curioso, a questo punto, non può non soffermarsi nell’Emilia ad abbeverarsi misticamente presso il Duomo di Modena, cerniera fondamentale dell’arte di tutti i tempi che principia nel 1099 con la mitica fondazione a firma dell’architetto Lanfranco e superbamente decorata da Wiligelmo fino alle modifiche gotiche e tardo-gotiche della facciata. Entrare nel Duomo di Modena è, senza mezzi termini, un’esperienza spirituale: la pianta e le geometrie sacre della meraviglia in esame sono state studiate dal progettista ispirandosi ai dettami ed alla matematica spaziale del De Architectura di Vitruvio (15 a.C.) che, celeberrimo autore dell’uomo vitruviano, sancisce il canone che conferisce gioia alla costruzione studiata per le molteplici parti dell’essere umano.
Scendendo ancora verso l’Italia centrale senza, purtroppo, rendere omaggio ai gioielli d’arte medievale sui quali potremmo soffermarci per mesi, giungiamo nella terra nella quale, forse, il Medioevo è più profondamente leggibile e la cui complessità è di fama mondiale: la Toscana.
Ma questa splendida regione la esploreremo nel prossimo articolo.
Giovanni Antonio Bassoli
Per approfondire:
CARLI E., DELL’ACQUA G.A., Sommario di storia dell’arte, Istituto italiano d’arti grafiche, Bergamo 1975.
HONOUR H., PEVSER N., FLEMING N., Dizionario di architettura, Eiaudi, Torino 1981.
Sito dello studio di restauro, architettura e paesaggio Feiffer&Raimondi: http://www.feiffereraimondi.com/portfolio_page/basilica-san-pietro-in-ciel-doro/