Può un uomo di Chiesa dismettere gli abiti del sacerdote per rivestire quelli del guerriero? Nelle storie, nei poemi e nelle lettere scritte da uomini vissuti in quelle zone d’Europa dominate dai Franchi, tra il VI e l’XI secolo, troviamo di continuo episodi di vescovi e abati che assumono un simile comportamento. Se non prendono parte direttamente ai combattimenti, custodiscono le armi riservate ai guerrieri nelle loro chiese, rafforzano le mura delle proprie città durante gli assedi, conducono manipoli di uomini armati, seguono i loro regnanti negli accampamenti e ne benedicono le guerre.
Perché uomini che avrebbero dovuto diffondere il messaggio di pace di Cristo ed essere da esempio per i propri fedeli commettevano simili atti? E come potevano accettarlo i fedeli? Saremmo tentati di rispondere affermando che l’alto clero franco fosse, in realtà, una banda di prevaricatori in combutta con le ricche e potenti famiglie aristocratiche, ai quali non interessava il sacerdozio, ambito solo in quanto fonte di ricchezza e prestigio. Può darsi. Dopotutto i vescovi e gli abati erano parenti e amici di quei nobili, i primi ad aver abbandonato gli antichi culti politeistici, cristiani, quindi, più per fedeltà al re che per sincera conversione. Ma questi prelati erano tutti ugualmente malvagi o, almeno, in grado di fingere il ruolo di guida spirituale di fronte ai fedeli? Indagando i comportamenti dei sacerdoti, risulta invece che, dal punto di vista dei loro contemporanei, le ragioni della loro bellicosità erano diverse e non legate esclusivamente alla ricerca di potere. Ad esempio, al periodo appena successivo alla morte di Carlo Magno, quando i Franchi, sotto la sua guida, avevano esteso il loro dominio, comprendente anche gran parte dell’Italia, risale la lettera (819-820) in cui il vescovo della diocesi di Torino, Claudio, confessava a un suo amico, un abate, le sue preoccupazioni per rinunce dovute alla suo incarico:
appena diventato vescovo, come sono cresciuti i miei impegni e quanti affanni essi hanno fatto sorgere! D’inverno quando devo percorrere su e giù le strade che conducono al Palazzo, non posso dedicarmi ai miei studi prediletti. Ed a metà della primavera devo prendere, con le mie pergamene, anche le armi e devo navigare lungo le coste, in guerra contro i saraceni e i mori. Combatto di notte, durante il giorno maneggio la penna e i libri;
A costo di sacrificare la sua passione per gli studi, Claudio doveva setacciare la costa ligure minacciata dagli attacchi dei saraceni, in espansione nel Mediterraneo occidentale. Doveva. I presuli erano stati obbligati, già dai primi re Carolingi, nel periodo dell’espansione franca dell’VIII secolo, a partecipare e portare i propri vassalli nelle loro campagne militari.
Questa decisione si scontrava con i divieti, rivolti in particolare ai membri del basso clero, di portare le armi, e di praticare la guerra e la caccia. Già presenti nei grandi concili della tarda antichità, la norma venne reiterata nei concili e nei sinodi della Gallia post-romana, nonché nelle leggi dei re franchi, i capitolari. Chi pregava era inorridito dalla violenza di chi combatteva, e non ne condivideva né la sua funzione nella società, né lo stile di vita e il modo di vestire; dall’attività giuridica dei chierici, e dai loro scritti, emergeva la volontà di non confondersi con i guerrieri laici. Tuttavia, non mancavano le condizioni per l’allentamento di questo antagonismo tra le figure del sacerdote e del guerriero, che prescindevano dall’ingresso dei Franchi nell’episcopato Gallia. I vescovi appartenevano in gran parte, almeno fino al VII secolo, ai clan dell’aristocrazia senatoria, bellicosa quanto quella franca; i vescovi romani erano responsabili della difesa delle loro città, della costruzione delle mura e della tutela dei luoghi sacri. Tuttavia non bastano le origini aristocratiche, né la fusione tra Franchi e Romani per spiegare la commistione dei ruoli. Tra VII e VIII secolo, quando i Franchi vennero effettivamente cristianizzati, l’alto clero assunse un ruolo fondamentale nell’espansione carolingia: la nuova dinastia regnante affiancò alla conquista militare dei popoli pagani un’opera evangelizzatrice. Ciò voleva dire che non di rado il battesimo e l’adozione del culto cristiano venne imposto con la forza. I Carolingi reclutavano vescovi e cappellani sia perché pregassero per la protezione divina dei soldati, sia per guidare parte delle truppe: la missione del re dei Franchi, almeno secondo il vescovo di Roma, loro alleato, era difendere i cristiani minacciati dai nemici pagani. In quest’ottica, l’impegno militare dell’alto clero non era frutto solo di un’imposizione di re potenti come Pipino il Breve e Carlo Magno e dei vassalli, ma della condivisione, ormai, dello stesso ideale: la guerra ai pagani in difesa della Cristianità.
Analizziamo ora com’erano percepiti i comportamenti dei prelati animati da questo spirito, in un contesto molto cambiato dal periodo dell’allargamento della dominazione franca su scala continentale. Dalla metà del IX secolo, infatti, si affacciarono sui territori di frontiera nuovi popoli non cristiani, i Normanni, i Saraceni e gli Ungari, talvolta per saccheggiare centri urbani e monastici, in altri casi per operare veri e propri piani di conquista. Per queste ragioni i re dovettero affidare ulteriormente alle autorità locali, tra i quali vescovi e abati, la protezione del territorio. Un monaco vissuto in Francia a cavallo tra IX e X secolo, Abbone di Saint-Germain, scrisse un poema sugli attacchi dei Normanni alla città di Parigi dell’885-886, di cui fu testimone diretto, e della difesa condotta dal conte Oddone e da due sacerdoti, il vescovo Gozlino e l’abate Ebolo. Nel poema, i Bella Parisiacae urbis, Abbone esaltava la violenza dei presuli, descrivendoli come guerrieri trionfanti, coraggiosi, punti di riferimento per i soldati. Soprattutto Ebolo, il fortissimus abba (abate fortissimo), rappresentava l’ideale del sacerdote-guerriero, in un momento di difficoltà per i parigini, dopo che gli invasori avevano distrutto una torre: Il forte Oddone colpì innumerevoli nemici. Ma chi era l’altro? | L’altro era Ebolo, suo compagno e suo pari; | con una sola freccia fu capace di trapassare sette danesi | e, schernendoli, ordinò di portarli vivi in cucina. | Nessuno era superiore o pari o almeno paragonabile a questi due (vv. 107-111, I). Il monaco non risparmia una buona dose di macabro nel mostrare quanto valgano i due combattenti, accomunati, a quanto pare, in quanto compagni, dallo stesso stile di vita militare. Diverse notti più tardi, a seguito dell’abbattimento di un’altra torre a opera dei Norreni, Ebolo sarebbe irrotto nel loro accampamento seguito da suoi soldati; non appena questi si accorsero di essere in inferiorità numerica, fuggirono e lasciarono solo l’abate, con alcuni compagni, di fronte ai nemici: Ma Ebolo va loro incontro | e con lui i suoi compagni: resiste da eroe. | I nemici non osarono toccarlo con le armi; | se avesse potuto contare su cinquecento uomini coraggiosi | come lui, senza indugio si sarebbe lanciato verso il campo | e avrebbe strappato l’anima da ogni corpo. | Ma poiché era senza soldati desistette da questo cimento (vv. 611-617, I).
Una simile immagine idealizzata dell’uomo di Chiesa come figura eroica, superiore, capace di una ferocia che non aveva nulla da invidiare a quella dei pagani aggressori, è presente anche in altre opere letterarie e storiche dello stesso secolo, del seguente e oltre il Mille. Una figura così frequentemente rievocata come quella del sacerdote-guerriero, o, nel migliore dei casi, del presule disposto a servire il proprio re, non può che farci ragionare su quanto essa fosse entrata nella mentalità degli uomini di quel periodo, che si sentivano minacciati da genti non cristiane. E su quanto tale figura, così lontana dalla nostra sensibilità, rappresentasse un loro bisogno di protezione e di una guida che non li conducesse solo alla salvezza dell’anima.
Alessandro Camponeschi
Per approfondire:
ABBONE, L’assedio di Parigi, a cura di D. Manzoli, Pacini, Pisa, 2012.
CARDINI FRANCO, Alle radici della cavalleria medievale, Il Mulino, Bologna, 2001 (edizione
originale 1981).
FLORI JEAN, La guerra santa. La formazione dell’idea di crociata nell’Occidente cristiano, Il
Mulino, Bologna, 2003 (edizione originale 2001).
PRINZ FRIEDRICH, Clero e guerra nell’alto medioevo, Einaudi, Torino, 1996 (edizione originale
1971).
SARTI LAURY, Perceiving War and the Military in Early Christian Gaul (ca. 400-700 A.D.),
Brill, Leiden, 2013.