Attraverso il termine iconoclasmo (derivante dalle parole greche “eikon”, immagine, e “klao”, distruggo) si indica l’atto di distruggere o cancellare immagini, di contenuto sia religioso che civile, e la matrice di questo fenomeno può essere identificata sia in dinamiche di potere religiose che politiche. Il periodo iconoclasta più conosciuto, nonché storicamente più rilevante e più complesso dal punto di vista dottrinale si è svolto tra il VIII e IX secolo nel territorio bizantino. Possiamo identificare l’inizio di questo periodo con il regno di Leone III (717-741), il quale fu il promulgatore di un editto contro le icone, successivamente portato avanti dal figlio Costantino V (741-775), il quale nel 754 organizzò un sinodo che si concluse nella chiesa delle Blacherne a Costantinopoli, fino all’editto di Teofilo (829-842). L’iconoclasmo bizantino fu un fenomeno legato alle condizioni storiche e religiose dell’epoca, sul quale ebbero certamente un grande peso le controversie sulla natura di Cristo non ancora risolte con i concili ecumenici e la contrapposizione militare e culturale con l’Islam; si arrivò addirittura ad imputare al culto delle immagini le sconfitte patite dagli eserciti arabi. In questo breve articolo non sarà possibile approfondire le numerose questioni dottrinali relative alla crisi iconoclasta: ci focalizzeremo invece su un esempio di arte musiva aniconica, non figurativa.

Le testimonianze di questo periodo storico sono per la maggior parte conservate nella città greca di Salonicco, in particolare un tratto dei resti di alcuni frammenti musivi provenienti dalla chiesa di Santa Sofia. La chiesa di Santa Sofia a Thessaloníki (nome greco di Salonicco) è stata edificata su un terrazzamento nella zona sud orientale della città, poco lontano dal complesso palaziale e all’interno della cinta muraria, ed è considerata una dei principali luoghi di culto della città assieme a San Demetrio e la Theotokos Acheiropoietos. La Santa Sofia svolse il ruolo di cattedrale cittadina a partire dai secoli dell’alto Medioevo, sostituendo la precedente basilica paleocristiana destinata a chiesa episcopale. È citata dalle fonti per la prima volta in una lettera inviata nel 795 da Teodoro Studita, allora esiliato a Tassalonica, allo zio Platone. Inoltre, all’interno di antichi codici prodotti nel monastero del Monte Athos databili agli anni 942 e 1097, si fa riferimento alla cattedrale tassalonicese, ed altre testimonianze simili ci pervengono fino alla conquista della città da parte ottomana nel 1430.

L’edificio fu costruito con un impianto contraddistinto dalla presenza di una cupola impostata su quattro profonde arcate, o volte, che determinano una struttura cruciforme, circondato da un ambulacro, una sorta di corridoio, che rappresentava nel VI e VII secolo la tipologia architettonica più innovativa e senza confronti nella città. Esteriormente la chiesa è alterata da modifiche e restauri successivi che l’hanno resa dalla forma cubica, quasi come fosse un quadrato in pianta. Alla vista si sovrappone la forma cilindrica della cupola, che emerge da un tamburo di forma quadrangolare, sul lato orientale tre absidi, di cui la centrale di forma poligonale e le due minori di forma semicircolare. All’interno del presbiterio sono conservati i mosaici più antichi esistenti nella Santa Sofia, secondo alcuni studiosi databili alla prima fase costruttiva dell’edificio. I mosaici si sviluppano sulla volta del bema (o presbiterio) e sulla superficie dell’abside. È rappresentato il tema iconografico e simbolico della croce, che in origine era rappresentato anche nel catino absidale. Dalla volta del bema svetta una croce d’oro entro un cerchio suddiviso in quattro sfumature concentriche di blu, tutte intorno delle lucenti stelle stilizzate. La superficie dorata della volta viene interrotta sui fianchi da un’ampia decorazione geometrica, delle piccole croci argentee dal bordo rosso alternate da foglie di vite, il tutto suddiviso all’interno di riquadri dalla struttura perfetta e ancora una banda dove delle crocette si susseguono a dei fioroni (fig.3). Alla base di questi pannelli laterali sono disposti su ciascun lato tre monogrammi cruciformi che citano i nomi dell’imperatore Costantino VI e di sua madre Irene, coreggenti negli anni 780-797. Grazie a questa iscrizione è stato possibile datare l’esecuzione del mosaico. Leggendo i tre monogrammi sappiamo che sulla parete sud si legge: “Signore, aiuta la dispina Irene”, mente nel lato nord il mosaico è frammentato e possiamo leggere soltanto il nome Costantino ma possiamo intuire che l’iscrizione fosse la stessa della madre: “Signore aiuta il despota Costantino”. Un’inscrizione a monogrammi sui due lati riporta per esteso il nome del vescovo Teofilo: “O Cristo, aiuta Teofilo, umile vescovo”.

Il vescovo Teofilo venne nominato negli atti del Secondo Concilio di Nicea del 787, quando ufficialmente per la prima volta venne riconosciuta la dottrina iconoclasta.

 

Benedetta Lisotti

 

Per approfondire:

BECKWITH J., L’arte di Costantinopoli. Introduzione all’arte bizantina (330-1453), Einaudi, Torino 1967, pp.37-45.

BRUBAKER L., L’invenzione dell’iconoclasmo bizantino, traduzione a cura di Maria Cristina Carile, Viella, Roma 2015.

PELEKANIDIS S., I mosaici di Santa Sofia a Salonicco, in “Corsi di Cultura sull’Arte Ravennate e Bizantina”, XI, 1964, pp. 337-349.

TADDEI A., Il mosaico parietale aniconico da Tessalonica a Costantinopoli, in “La Sapienza bizantina. Un secolo di ricerche sulla civiltà di Bisanzio all’Università di Romaa cura di A. Acconcia Longo et alii, Roma 2012, pp. 153-182.

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Written by : Redazione

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