Italia, XIV secolo. All’interno di un monastero, immerso nel folto di un bosco, c’è agitazione. Otto compagni si sono ritrovati nella sicurezza delle sue possenti mura, per riorganizzarsi e aspettare un’informazione vitale, che garantirebbe loro di portare a compimento una missione. L’incarico è di primaria importanza, come di primaria importanza è il silenzio da mantenere, ma Fabio, uno degli otto, è gravemente ferito. Così inizia il romanzo di Lorenzo, Simone e Matteo: In Extremis. I nostri protagonisti, compagni d’arme, devono portare in salvo una donna, madre e moglie, accusata di stregoneria. L’inquisizione la vuole a tutti i costi, ma un primo tentativo di prenderla in custodia fallisce: gli otto riescono a metterla in salvo, uccidendo alcuni scherani, ma uno di essi si salva, scappando in sella ad un cavallo. Nel cuore della notte corre ad avvisare la retroguardia.
Così inizia un lungo inseguimento, dove gli uomini dell’Inquisizione tallonano la nostra compagnia, attraverso i boschi di una imprecisata regione. La struttura del libro è affascinante. Ogni capitolo è raccontato dagli occhi di ogni personaggio. Noi stessi entriamo nella mente degli otto: sentiamo i loro pensieri, viviamo le loro gioie, le attese, gli attimi di terrore. Un lavoro molto ambizioso e, a mio avviso, ben riuscito. Ricordo che questo libro è la prima fatica letteraria di Lorenzo, Simone e Matteo. Ora ascolteremo direttamente le parole di uno degli autori, Lorenzo, che ringraziamo per averci concesso l’intervista. Ricordo che questo libro è la prima fatica letteraria di Lorenzo, Simone e Matteo. Ora ascolteremo direttamente le parole di uno degli autori, Lorenzo, che ringraziamo per averci concesso l’intervista.
Questo è il vostro primo romanzo, autoprodotto sulla piattaforma Amazon. Per iniziare vorrei sapere come è nata l’idea.
L’idea di In Extremis – o almeno quello che un giorno sarebbe diventato In Extremis – è nata tra il 2009 e il 2010 a Milano, un po’ per caso, un po’ per necessità, durante un esame universitario. Verso la metà del primo anno mi ritrovai chiuso in un’aula con una trentina di miei compagni per l’esame di scrittura creativa. Il professore ci disse di scrivere un racconto a tema libero; a quell’epoca non avevo ancora un computer portatile quindi, a differenza di molti miei colleghi, dovetti munirmi di carta, penna e una buona dose di pazienza.
Avevamo a disposizione circa quattro ore e io, dopo circa due, accompagnato dal nevrotico battere sulle tastiere dei miei compagni, fissavo il foglio bianco. Ma è la prassi: finché non ho in testa un’idea generale di trama e la prima riga completa non mi azzardo a scrivere nulla. A circa un’ora e venti dalla consegna, con la vena sulla tempia che pulsava, iniziai a scrivere. Consegnai qualche foglio pieno zeppo di geroglifici che ancora oggi mi stupisce che il professore abbia decifrato; Simone sostiene che tutte le lettere che scrivo a mano siano assolutamente identiche tra loro.
Alcuni mesi dopo iniziai a pensare di riprendere in mano quelle righe scritte di fretta, coinvolsi Matteo e un altro mio caro amico che in seguito cedette il posto a Simone. Nel corso degli anni modificammo la trama almeno un paio di volte, cambiammo l’ordine dei capitoli, i nomi di un paio di personaggi, la struttura narrativa e il tempo verbale della narrazione. Cambiammo perfino il titolo. Il lavoro, per via dei nostri rispettivi impegni lavorativi, fu scandito da molte pause, alcune anche piuttosto lunghe, ma alla fine riuscimmo a venirne a capo, dopo una lunga fase di revisione della revisione della revisione. In Extremis per me però non è solo il frutto della collaborazione con due grandi e stimati amici che hanno apprezzato il progetto dando un fondamentale contributo alla sua realizzazione. Per me è anche un importante snodo attraverso cui passano la mia passione per la storia e il modo in cui scelgo di raccontarla.
Voi tre non avete una formazione umanistica, quindi risulta ancor più interessante la scelta di una cornice medievale per il romanzo. Come mai avete pensato che fosse congeniale ambientarlo nell’Italia del XIV secolo?
Hai detto bene: io ho una formazione artistica, iniziata al liceo e continuata all’università. Simone è stato mio compagno di liceo e poi ha continuato con l’architettura, mentre Matteo ha studiato ragioneria e scienze politiche. Ciononostante, in un modo o nell’altro, la storia ci appassiona. Io sono interessato alla storia, e soprattutto di Medioevo, fin dalle elementari, che conclusi con una ricerca – credo si chiamino così alle elementari – sulla struttura e sulle funzioni dei castelli militari. Non è così facile tornare al 2009 e ricordarsi l’esatto motivo per cui scelsi questa ambientazione, ma non sono certo che oggi avrei fatto diversamente, anzi. In termini narrativi e cinematografici l’ambito storico mi interessa molto perché credo che, tra le altre cose, sia molto in difficoltà, spesso per il modo in cui si sceglie di rappresentarlo. Io sono convinto che un romanzo, così come un film, prima di tutto sia intrattenimento, se avessimo voluto fare formazione o didattica avremmo scritto un saggio. Abbiamo cercato di lavorare su un connubio tra il realismo e l’intrattenimento, scegliendo uno stile non canonico per questo genere letterario. Di certo sperimenteremo e approfondiremo ancora molti di questi aspetti.
Voi praticate scherma storica, immagino che abbia influito enormemente sulla descrizione degli armamenti, delle mosse di combattimento e, anche, del dolore che si può provare in uno scontro fisico.
Sì, Matteo ed io pratichiamo scherma storica… Simone se ne guarda bene. Indubbiamente la cosa ha influito, se non altro sulla descrizione dei combattimenti, anche se c’è comunque una buona dose di finzione narrativa che rende il tutto possibile, diciamo così. Circa armi e armamenti, e qui parlo per me, prima della scherma però ci sono tutta una serie di interessi e conseguenti documentazioni. Diciamo che forse è più probabile che l’interesse verso il Medioevo, le armi, il combattimento e via dicendo, mi abbiano portato a praticare questo sport, e non viceversa. Circa il dolore, beh, io ho sempre avuto un po’ il gusto del macabro, coltivato anch’esso in tenera età, ammetto. La violenza, in una forma piuttosto che un’altra, o la morte, per qualche motivo fanno spesso parte delle storie che racconto. Detto ciò, nessuno di noi è mai stato ferito gravemente, al massimo qualche contusione, ematoma e osso rotto… diciamo che mettiamo tutto nel calderone insieme ad una spolverata di immaginazione.
L’introspezione dei personaggi è molto studiata. Ti riconosci di più in uno degli otto, oppure avete lasciato qualcosa di vostro in ognuno dei personaggi?
L’introspezione dei personaggi è alla base dell’idea di In Extremis, è quello di cui volevamo parlare. Grazie alle risposte per altre interviste posso dirvi che Matteo ha difficoltà ad immedesimarsi in un personaggio specifico date le varie sfaccettature dei protagonisti, quindi rivede un po’ di sé in ognuno, tuttavia, se proprio dovesse scegliere, credo punterebbe il dito verso Giovanni, se non altro per come empatizza con le persone e per l’altruismo, di certo non per lo zelo religioso comunque. Simone so che sceglierebbe Luca per il mal riposto senso di inferiorità che a volte lo opprime. E ci tengo a precisare che è mal riposto anche in Simone. Io gioco molto facile perché quando scrissi il primo racconto fui così egocentrico da dare ad un personaggio il mio nome e crearlo, almeno per alcuni aspetti, a mia immagine e somiglianza. Per esempio il fatto che tiro con l’arco o che sono molto amichevole, ma amo anche starmene per i fatti miei.
Un’ultima domanda prima di lasciarci: il nostro pubblico sarebbe veramente curioso di sapere se avete altri progetti in cantiere, potete concederci qualche anticipazione?
Sono molto felice che cerchi di incoraggiarci dicendo che il pubblico sarebbe curioso, e quindi decido di crederci con tutto me stesso!
Ad ogni modo, sì, abbiamo altri progetti in cantiere… più di uno, in effetti. Perché a noi le cose semplici non piacciono. Con Simone e Matteo stiamo lavorando ad un altro romanzo che possiamo definire un prequel di In Extremis: ci saranno alcuni personaggi di In Extremis, più altri nuovi. Posso dirvi che avrà una struttura più semplice, classica e lineare e speriamo che possa colmare tutti quei limiti che ha In Extremis. Non vi svelo nulla sulla trama, ma vi basti sapere che c’è di mezzo il rocambolesco rapimento di un nobile, nemmeno italiano, all’unico scopo di ottenere un riscatto, ma si rivelerà essere la persona sbagliata. Sarà molto divertente!
In aggiunta a questo io sto lavorando con un amico, anche lui molto appassionato di storia e, su certe cose anche più ferrato di me, su un altro romanzo storico, ambientato in Italia che ruota attorno a molte vicende realmente accadute nell’arco del XIV secolo. In ultimo, proprio in questi giorni, sto coinvolgendo alcune persone per lavorare ad una raccolta di racconti. Insomma, carne al fuoco ce n’è… speriamo non bruci.
Concludiamo questa intervista ringraziando Lorenzo Bailo per il tempo concessoci, così come Simone e Matteo per la collaborazione.