L’influenza bizantina in Sicilia durò dalla prima metà del VI secolo fino alla prima metà del IX: in quei secoli l’isola fu parte integrante, avamposto sul Mediterraneo, dell’Impero bizantino.
L’isola siciliana era già stata teatro degli interventi sia dei romani d’Occidente che d’Oriente, che per gran parte del V secolo avevano unito le forze al fine di respingere le incursioni dei Vandali. Nel 476 venne consegnata ad Odoacre, e nel 491, per volere dell’imperatore d’Occidente Zenone, l’isola entrò in possesso del re ostrogoto Teoderico e divenne parte del Regno di Italia. Teoderico lasciò che i romani a lui fedeli continuassero a ricoprire la maggior parte delle cariche amministrative, mentre agli ostrogoti fu affidato il controllo militare. Tuttavia, gli ultimi anni di dominio ostrogoto furono particolarmente debilitanti a causa della rottura tra ostrogoti e Costantinopoli, rottura legata alle differenze delle concezioni ariana e bizantina della natura di Cristo. Questo allontanamento diplomatico provocò, soprattutto nell’isola, numerosi disordini che vennero repressi dall’esercito ostrogoto.
Vi era, dunque, un certo malcontento tra la popolazione locale, e proprio per questo, quando nel 535 il generale Belisario, per ordine dell’imperatore d’Oriente Giustiniano, sbarcò a Catania, venne accolto come un liberatore: era forte la speranza di avere condizioni di vita migliori, attraeva l’idea di una fede religiosa comune e di entrare nuovamente a far parte di un impero influente.
È così che ebbe inizio quella che passò alla storia come guerra greco-gotica.
Quali furono le ragioni di Giustiniano? L’isola era un punto ideale nel quale far base per darsi poi alla conquista dell’Africa settentrionale, ancora in mano ai Vandali, ma ciò che realmente portò l’imperatore a lanciarsi alla volta della Sicilia fu l’idea di recuperare la grandezza dell’Impero romano: conquistarla lo avrebbe portato ad acquisire nuovamente gran parte delle coste del Mediterraneo.
Nonostante gli anni difficili, l’isola non portò i segni di una particolare devastazione, e la maggior parte delle infrastrutture di origine romana, come ponti e strade, continuarono ad essere soggette ad una attenta manutenzione. Cambiamenti più ingenti si verificarono dal punto di vista amministrativo: dopo l’istituzione del thema (così si chiamavano le province bizantine ordinate militarmente) di Sicilia nel 636, l’amministrazione civile confluì in quella militare, e il resto dell’influenza sul territorio passò ai vecchi proprietari terrieri locali e alle nuove e abbienti famiglie provenienti da Roma – caduta in mano degli Ostrogoti qualche decennio prima – che avevano intessuto tra loro stretti legami. Un’altra rilevante novità, spesso passata in sordina nella storiografia, è lo spostamento della capitale dell’Impero da Costantinopoli a Siracusa dal 663 al 668, ad opera dell’imperatore Costante II: Costantinopoli, infatti, era minacciata in quegli anni dalle incursioni da parte degli arabi, che avevano già conquistato le province orientali e meridionali dell’impero, e che adesso continuavano a fare razzie sulle coste dell’Asia minore e si spingevano fino al Mediterraneo e all’Egeo.
Uno spostamento di capitale sembrò all’imperatore la decisione migliore, e Siracusa venne considerata la città ideale anche perché costituiva una base operativa adeguata per la spedizione punitiva in Africa del Nord che Costante II voleva preparare contro gli arabi. Tuttavia, questa nuova investitura, non portò all’isola alcun lustro, ma, al contrario, fece sì che l’imposizione fiscale – già da tempo parecchio ingente – divenisse insostenibile, poiché si dovevano mantenere in funzione delle istituzioni proprie di quella che, ormai, era una capitale.
Nel 668 Costante II venne ucciso da un servitore, ma non è chiaro se si trattasse di una congiura. La corte siracusana elesse come nuovo imperatore Mecezio, un ufficiale armeno, in realtà piuttosto riluttante all’idea di salire sul trono. Venne ben presto tolto dall’impiccio da Costantino IV Pogonato, legittimo imperatore, che lo uccise e riportò la capitale a Costantinopoli. Era il 669.
Guerre, incursioni, spostamenti di capitali e congiure: l’isola siciliana fu luogo di un turbolento e rapido susseguirsi di eventi. Ma, proprio mentre si verificavano tutti questi stravolgimenti, cosa succedeva nella dimensione sociale, nella vita quotidiana, nei sistemi agrari, dove il tempo scorre più lento e nella quale gli scombussolamenti repentini non subito scatenano simultanee conseguenze?
Rispetto al resto d’ Occidente e nonostante i numerosi stravolgimenti, la Sicilia bizantina era un’isola felice: vi era un relativo benessere materiale, e le condizioni economiche erano buone, l’agricoltura riusciva a produrre ancora numerose eccedenze, di grano soprattutto, che venivano esportate verso Roma e l’Italia settentrionale. Tali eccedenze, almeno fino alla successiva conquista araba, erano prodotte in latifondi appartenenti alla nobiltà e alla Chiesa, che stava progressivamente sostituendosi all’amministrazione imperiale. Dal 569, infatti, l’imperatore Giustino II conferì ai vescovi la facoltà di nominare i funzionari civili cittadini in tutto l’impero, e quindi anche sull’isola. Tuttavia, oltre a questi grandi appezzamenti di terra, non mancavano dei terreni più piccoli, ricavati dalla frammentazione degli immensi latifondi, e che venivano assegnati agli stratiotai del thema di Sicilia (cioè soldati che vivevano di ciò che ricavavano dalle terre e prestavano servizio nell’esercito in cambio di esenzioni fiscali), e dove veniva coltivato un po’ di tutto, di modo che i soldati potessero sostentarsi in maniera autosufficiente.
Il tessuto sociale, però, non era costituito solo da grandi famiglie, funzionari, soldati e vescovi, ma si sorreggeva su un vario e complesso sistema gerarchico.
Al gradino più basso della gerarchia si trovavano coloro che coltivavano la terra in schiavitù, e che con essa venivano ceduti e venduti, poco più sopra si collocavano piccolissimi artigiani, pescatori, operai a giornata, piccoli mercanti e modesti proprietari terrieri. Tra i piccoli proprietari si collocavano spesso anche i soldati, quando erano stratiotai. L’élite, un numero ristretto della popolazione, era costituita da funzionari, burocrati statali o coinvolti nell’amministrazione dei grandi appezzamenti di terra. Mai mercanti, perché l’attività del commercio era considerata indecorosa.
In questa struttura piramidale è possibile rivedere, in parte, l’assetto romano, anche se nella società bizantina l’ascesa sociale si rivelava, in fondo, più semplice poiché era più facile riscattarsi tramite i propri meriti. Ad ogni modo, fino all’VIII secolo, l’influenza romana, presente in ogni campo, consentiva di condurre una vita relativamente dignitosa, almeno in confronto agli altri contesti occidentali contemporanei.
Se da un canto, il retaggio romano continuava a pervadere, sull’isola, quasi ogni aspetto dell’assetto bizantino, ben presto questo stile di vita cambiò sotto il peso delle incursioni arabe, iniziate già nella prima metà dell’VIII secolo; soprattutto dal 827, data dell’inizio della conquista vera e propria, esse comportarono l’abbandono delle aree costiere, prima fiorenti, da parte della popolazione, che preferì ritirarsi nell’entroterra, al riparo dalle razzie: si ebbe, almeno in un primo momento, una ruralizzazione del territorio e un aumento delle costruzioni difensive.
Anche i tipici latifondi bizantini vennero abbandonati perché difficili da difendere: le esportazioni cessarono e l’agricoltura estensiva lasciò il posto a coltivazioni più piccole e specializzate.
Tutte queste e altre ancora furono le nuove caratteristiche con cui la Sicilia si affacciava su una nuova e pregnante fase della sua storia, quella del dominio islamico, che avrebbe caratterizzato e influenzato il contesto isolano per i successivi due secoli.
Evelina Del Mercato
Per approfondire:
CONGIU MARINA; MODEO SIMONA; ARNONE MARCELLO, (a cura di) La Sicilia bizantina. Storia, città e territorio, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta 2010.
NORWICH JOHN JULIUS, Breve storia della Sicilia, Sellerio Editore, Palermo 2018.
SANTAGATI LUIGI, Storia dei Bizantini di Sicilia, Edizioni Lussografica, Caltanissetta 2012.
Come studioso della civiltà “bizantina”, mi permetto di aggiungere al chiarissimo articolo il periodo posteriore alla conquista islamica dell’isola, quando il bizantinismo siciliano fu capace di sopravvivere fino all’arrivo dei Normanni. Si può dire che antropologicamente, economicamente, socialmente e culturalmente, la costa orientale siciliana rimase sempre bizantina, per tutto il periodo arabo-berbero. E ciò è vero soprattutto per la cuspide nord-orientale dell’isola, centrata su Messina e sui Monti Peloritani, che gli Arabi non riuscirono mai a conquistare del tutto, anche perché Messina poteva contare sull’aiuto dei Bizantini di Calabria. Noto è poi il contributo dato dai Bizantini di Sicilia all’arte normanna…si pensi ai meravigliosi mosaici della Cappella Palatina o della Chiesa della Martorana a Palermo o alla meravigliosa Cattedrale di Monreale. Ma la lunga stagione del bizantinismo siciliano non finì lì: mentre la Chiesa Cattolica assorbiva gli ultimi Ortodossi nel XVI secolo., in quello stesso periodo, a Messina, vi erano ancora persone che parlavano greco…mille anni dopo la riconquista giustinianea dell’Italia!