La storia umana è sempre stata alimentata da innumerevoli migrazioni che si verificarono – e si verificano – a causa di varie ragioni come pessime condizioni economiche, disastri umanitari di varia entità, catastrofi ambientali e persecuzioni politiche di massa.
Il medioevo non fu esente da questi fenomeni che riguardarono l’intero arco del suo millennio, non soltanto i secoli altomedievali. Se siete sorpresi da tutto ciò è normale, visto che il nostro immaginario sui “secoli bui” è legato all’idea di un Medioevo chiuso, statico.
Il saggio qui recensito, e pubblcato poche settimane fa dalla casa editrice il Mulino, è stato scritto da Ermanno Orlando (storico esperto delle Città di mare) e riempie, a mio avviso, un vuoto storiografico che andava colmato.
Siamo di fronte a un’opera agile e scorrevole che ripercorre i secoli dell’età di mezzo, letti con la lente delle migrazioni. Questo studio è arricchito da un notevole corredo di fonti, sia archivistiche che archeologiche, che ci permette di empatizzare con gli uomini e le donne dell’epoca, che vissero in prima persona queste esperienze.
Questo studio prende le mosse dalle grandi migrazioni dell’Alto Medioevo, nella fattispecie da quella ostrogota e longobarda.
In questi casi siamo di fronte a massicci movimenti di genti, che con molta probabilità si verificarono in più ondate successive, interpretazione che prende le distanze dai passati modelli storiografici, che non tenevano conto dell’aspetto retorico dei cronisti. Contrariamente a quanto si possa pensare, non siamo di fronte a popoli omogenei, ma ad entità formatesi dall’unione di più sottogruppi, culturalmente simili.
Nonostante le difficoltà interpretative si riesce comunque a tracciare un percorso di queste migrazioni, che coinvolsero uomini, donne, vecchi e bambini: se i Goti difficilmente riuscirono ad integrarsi, sia per la brevità del loro regno, che per alcune questioni di carattere religioso e politico, per i Longobardi si verificò l’esatto opposto: infatti nell’VIII secolo le due componenti del regno (l’italica e la longobarda) erano ormai integrate.
Ed è proprio durante il regno del re longobardo Agilulfo che venne fondato il monastero di Bobbio, in Emilia-Romagna, da un migrante: il monaco Colombano. Partito dall’Irlanda (fine V secolo) dopo un periodo trascorso nelle Gallie, giunse in Italia. La sua esperienza è una delle più importanti testimonianze della migrazione dei monaci irlandesi, celeberrimi per la loro mobilità. Pioniere di questo processo fu San Patrizio, seguito poi dal monaco Brandano.
E dal Nord passiamo al Sud della Penisola, anch’essa coinvolta da una notevole mobilità, come quella generata dalla conquista Aghlabide della Sicilia (827) che portò, nell’Isola, alla convivenza, in parte forzata, di differenti culture. Gli arabi di Sicilia, in seguito, vennero soggiogati da una nuova migrazione, quella normanna (1060).
Questi ultimi, trasferitisi nel Sud Italia in gruppetti di decine di persone abbandonarono la loro terra natia che poco stava concedendo ai figli cadetti dei principali signori. Inoltre le fonti dell’epoca concordano con l’associare questa migrazione al pellegrinaggio, altro grande elemento che determinò la mobilità degli uomini e delle donne del tempo. Stessa situazione si ripresentò sempre nel Sud Italia con l’arrivo degli Angioini (1266), che coinvolse il trasferimento di poche centinaia di famuli al seguito di Roberto d’Angiò.
Sia nel caso normanno che in quello angioino, i migranti vennero assorbiti dalla cultura dominante, anche per via dei matrimoni misti; questo accadde anche nel 774 quando Carlo, re dei Franchi, conquistò e annesse il regno longobardo ai suoi domini: infatti non si verificò una migrazione “di popolo” ma solamente una mobilità, sul suolo italico, dell’aristocrazia d’Oltralpe.
Ovviamente il discorso sulle migrazioni riguarda anche altri periodi del Medioevo, e i richiami del presente sono numerosi. Chi di voi è mai stato in rue des lombards a Parigi e Lombard street a Londra?
Ebbene queste due vie ci ricordano lo stretto legame degli uomini d’affari italiani del Due-Trecento (chiamati lombardi) con le terre d’Oltralpe. Questi italiani, nel senso più ampio del termine, avevano mezzi economici e capacità di cui si servirono i mercati e le corti del Nord Europa.
Nella Parigi del 1292 si contano ben 150 uomini d’affari di origini italiche, mentre un certo Berto Frescobaldi aveva ottenuto l’incarico di consigliere del Re d’Inghilterra Edoardo II, oppure la famiglia lucchese dei Ricciardi che ottenne il titolo di bankers of the crown.
Spesso però, le fonti locali si lamentano della presenza dei lombardi, chiamandoli, con una punta di disprezzo, caorsini, ovvero usurai, nome derivante dalla città francese di Cahors, dove questa pratica era, evidentemente, molto diffusa.
In questi casi siamo di fronte, almeno per la maggior parte delle volte, a delle migrazioni temporanee, che potevano durare diversi mesi all’anno, e per una fase della vita del mercante; ma ci sono anche esempi di trasferimenti duraturi, come successe ad Antonio Provaina che mise radici nelle Fiandre e volgarizzò il proprio cognome in Provaimme.
Il flusso di questi uomini d’affari poteva essere cospicuo, come ci mostra l’esempio di Asti: alla fine del 1200, 4.000 astigiani su 12.000 “erano coinvolti in tali processi”, come sostiene il professor Orlando.
Il pendolarismo dei mercanti però, non coinvolse solamente il Nord Europa, ma anche le regioni d’otremeur. Genova e Venezia furono tra le principali città a costituire, seppur in tempi e modi diversi, un loro commonwealth per condurre affari di ogni tipo.
Oltre alle città costiere anche in quelle dell’entroterra c’erano dei consistenti spostamenti di uomini e donne dalla campagna verso la città, per ottenere condizioni di vita migliori, e viceversa per strappare il contado all’incolto. Ma non solo!
Tipicamente medievale è il fenomeno del fuoriuscitismo, ovvero di chi veniva cacciato dalla propria città per ragioni politiche, come testimonia la Bologna della fine del XIII secolo: per questioni politiche locali, si sospetta che almeno 4.000 persone vennero cacciate; mentre Firenze vanta un esiliato illustre del suo tempo, che diede poi vita ad una poetica dell’esilio: Dante Alighieri.
Ovviamente con il XV secolo si conclude, convenzionalmente, il Medioevo, con una serie di sconvolgimenti determinati dalla fine dell’Impero Bizantino, che causò migranti sia di alta condizione, come i chierici che si riversarono nella penisola, sia di povera gente che scappava dalla distruzione dei nuovi conquistatori. Di esempi come questi ce ne sono, ovviamente, molti altri.
Con questo saggio Ermanno Orlando ci consegna un millennio medievale aperto, che accoglie e che respinge ma, soprattutto, che si proietta verso l’esterno, verso un altrove tutto da esplorare e conquistare, sia con le armi che con le capacità mercantili; insomma, un medioevo prismatico, non chiuso in “se stesso”, perchè, forse, sono proprio le migrazioni il vero motore delle società medievali.
Andrea Felizani