Nell’ultimo articolo abbiamo ripercorso la nascita della Walt Disney Company, mentre nell’articolo di oggi analizzeremo gli anni dal 1966 in poi.

Nei cinque anni successivi alla morte del fondatore, la Disney continuò a produrre film d’animazione di successo, sebbene non riuscissero a eguagliare i precedenti, come Il Libro della Giungla (1967) e Gli Aristogatti (1970).

Nel  1971  aprì in Florida l’altro grande parco a tema appartenente alla corporation: il Walt Disney World, annunciato prima della morte dell’artista e realizzato, dopo anni di progettazione, su un terreno di ventottomila acri. Roy O. Disney venne a mancare pochi mesi dopo l’inaugurazione, senza poter vedere il trionfo del parco che in breve diventò una delle mete turistiche più visitate del mondo.

Come per Disneyland anche per Disney World le ricezioni furono contrastanti, soprattutto perché diventò sempre più evidente la portata dell’egemonia che il colosso americano avrebbe esercitato, una volta superato il profondo periodo di crisi degli anni ’70.

 

«Il comitato esecutivo [composto da membri cresciuti sotto l’ala di Disney] che prese forma nel 1972 ha innescato gran parte del malessere che avrebbe circondato lo Studio nella metà successiva del decennio.»

 

Così il Professor Pallant introduce gli anni ’70 della Disney, caratterizzati da un drastico calo di audience e da un abbassamento della produzione e della qualità del lavoro, cosa che portò lo Studio sull’orlo del fallimento agli inizi del decennio successivo.

 

«L’audience dei film per famiglie, che erano stati per tanti anni il perno della compagnia, stava diminuendo e la Disney non era in grado di competere su film che attraessero il mercato degli adulti e degli adolescenti.»

 

È evidente, come ci fa notare Pallant, che la Compagnia attraversò una profonda crisi di identità tra il 1972 ed il 1984.

 

«Prima del 1967 lo Studio, mentre cercava attivamente vie alternative per diversificare la compagnia, mantenne una politica chiara per quanto concerneva i film d’animazione, come risulta dalla produzione dei cartoni animati nell’arco di trenta anni. Ad ogni modo, sotto la guida del team che si formò dopo la morte di Disney, questo approccio si dissipò quasi interamente.»

 

Casa Disney agli inizi degli anni ’80 rischiò il dissesto finanziario. La situazione cambiò drasticamente quando i due manager Michael Eisner e Frank Well diventarono, rispettivamente, Presidente e Vicepresidente dell’azienda nel 1984. «Il nuovo team manageriale lavorò immediatamente su un modo per ottimizzare le risorse Disney»:

  • lanciare il marchio a livello globale,
  • puntare nuovamente sui film d’animazione.

Fare sempre attenzione all’evoluzione tecnologica nel campo e introdurre nuovi personaggi nei parchi, però, si rivelò la strategia vincente.

Scena del ballo da La Bella e la Bestia (1991)

Dalla metà degli anni ’80 la Disney raggiunse nuovamente il successo ed entrò nella fase conosciuta come il “Rinascimento Disney”, grazie all’inaugurazione di un proprio canale sulle pay tv, alla vendita di videocassette e all’uscita di film cult come Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Good Morning, Vietnam, Pretty Woman e Sister Act, che portarono nelle casse della società più di 100 milioni di dollari.

L’egemonia Disney si consolidò ancora di più negli anni ’90, quando impose la sua influenza anche nel campo dell’editoria, formando la Hyperion Books for Children e la Disney Press. Con l’uscita di La Sirenetta (1989), La Bella e La Bestia (1991) e Aladdin (1992) Disney riuscì ad ampliare sensibilmente il suo pubblico. Questo successo continuò con l’uscita de:

  • Il Re Leone (1994)
  •  Pocahontas (1995)
  • Il Gobbo di Notre Dame (1996)
  • Hercules (1997)
  • Mulan (1998)
  • Tarzan (1999)

Senza dimenticare la saga di Toy Story, realizzato in collaborazione con la Pixar, grazie alla quale la Disney mise in mostra le sue pionieristiche tecniche di animazione.

È quindi nell’ultima decade del XX secolo che la Disney tocca gli apici della fama e diventa una potenza egemone, veicolo di messaggi, valori ed informazioni, in grado di condizionare non solo la vita quotidiana delle persone, ma anche di creare una vera e propria cultura di massa firmata Disney.

E con l’inizio del XXI secolo e l’uscita di Fantasia 2000 si apre un nuovo periodo per quello che, ormai, possiamo definire a tutti gli effetti l’Impero Disney. Questa nuova fase fu caratterizzata dall’utilizzo di nuove tecniche d’animazione e da una nuova estetica che non influiva solo sulla fisionomia dei personaggi, ma anche sulla caratterizzazione, sulle colonne sonore e sulle sceneggiature.

Dal 2001 in poi la strada per il colosso americano fu tutta in discesa. Si intensificarono le collaborazioni con la Pixar, acquistata dalla Disney con una transazione miliardaria nel 2006, e le produzioni di film d’animazione in 3D come Monster & Co. e Alla Ricerca di Nemo, che portarono nelle casse della società più di 325 milioni di dollari.

La stessa riuscita si ebbe con le produzioni di live action dal successo planetario, come ad esempio Pearl Harbor, Cenerentola, Maleficent e la saga de I Pirati dei Caraibi. Dal 2010 si arricchiscono delle produzioni Marvel Entertainment, acquisita nel 2009, della saga di Star Wars (2012) e della 20th Century Fox (2019). Senza contare, ovviamente, gli incassi provenienti dalla propria piattaforma di streaming Disney+.

Logo Disney+

Un successo, quello della Disney, legato non solo alle produzioni cinematografiche ma anche alla promozione del brand in tutto il mondo, grazie alla presenza degli Store e dei Theme parks in ogni parte del pianeta.

Risulta chiaro, quindi, come la Corporation, con la sua onnipresenza, incida e decida sull’immaginario collettivo, condizionando credenze e vite quotidiane senza che lo spettatore o il pubblico se ne accorga. Ed è proprio su questa consapevolezza e sul ruolo della Disney che si concentrano le riflessioni degli studiosi di oltreoceano.

È Janet Wasko a riassumere perfettamente il nodo cruciale sulla questione Disney:

 

«nonostante le pretese di produrre solo intrattenimento, la Disney Company ha creato un universo autosufficiente, il quale presenta costantemente dei valori riconoscibili, attraverso personaggi ricorrenti e familiari e temi ripetitivi.»

 

Un universo, quindi, riconosciuto e riconoscibile che ha plasmato intere generazioni e influenzato, se non reso assolute, alcune delle convinzioni che ancora oggi riscontriamo nella cultura di massa. Il Medioevo, con i suoi stereotipi fiabeschi, non ha fatto eccezione: dalla principessa in attesa di essere salvata dal cavaliere, alle nuove e coraggiose eroine che si salvano da sole, tutto questo è il medievalismo Disney, che dagli anni ’30 del XX secolo veicola nel mondo l’immagine di un Medioevo idealizzato ma soprattutto americanizzato.

 

Martina Corona

 

Per approfondire:

HENRY A. GIROUX, The Mouse that Roared: Disney and the End of Innocence, Rowman& Littlefield Publishers, Inc., 2001

JANET HARBORD, The Evolution of Film: Rethinking Film Studies, Polity, 2007

NEAL GABLER, Walt Disney: The Triumph of American Imagination, Alfred A. Knop, 2006

DOMINIC RUSHE, The Little Fish and Hooked Disney, in The Sunday Times, 31 agosto 2003

PALLANT, CHRIS, Demystifying Disney, London, Bloomsbury Publishing Plc, 2013

JACK ZIPES, Breaking the Disney Spell. In From Mouse to Mermaid: The Politics of Film, Gender, and Culture, Indiana University Press, 1996, p. 21

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Written by : Redazione

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