Come nacque ser Tristano, e come la madre, morta nel darlo alla luce, volle che ricevesse quel nome
Al tempo in cui Artù era re supremo d‟Inghilterra, del Galles, della Scozia e di numerosi regni, v’erano altri sovrani che regnavano su molte contrade: un paio nel Galles, altrettanti in Cornovaglia e nell‟Occidente, due o tre in Irlanda e un gran numero nel Settentrione, ma tutti costoro gli dovevano obbedienza ed erano suoi vassalli, al pari del re di Francia, del re di Bretagna, e di tutti gli altri baroni fino a Roma.
La contrada di Liones era retta da un re chiamato Meliodas, cavaliere tra i più valenti e sposato con Elisabetta, sorel- la di re Marco di Cornovaglia, che aveva fama di essere buona e bella. Ed invero era una dama gentile, devota al proprio signore che la riamava sì che, non molto tempo dopo la loro unione, ella divenne gravida con grande gioia di entrambi.
In quella stessa contrada viveva però un‟altra dama che era da tempo innamorata del re e che, non riuscendo in alcun modo a ottenerne l‟amore, ricorse a un incantesimo: un gior- no che Meliodas, esperto cacciatore, era uscito in battuta, ella lo indusse a inseguire da solo un cervo fino a un vecchio castello dove lo fece subito prigioniero.
Quando dama Elisabetta si accorse della scomparsa del marito, poco mancò che uscisse di senno e, per quanto la sua gravidanza fosse ormai avanzata, prese con sé una gentildon- na e corse a cercarlo, addentrandosi fin nel folto; ma poi non potè procedere oltre perché cominciò il travaglio del parto con spasmi frequenti e acuti.
La gentildonna la soccorse come meglio potè e, per miraco- lo della Nostra Signora Celeste, la dama si sgravò tra grandi pene; tuttavia, in mancanza d‟altro aiuto, aveva patito tale freddo che, colta dal gelido alito della morte, dovette morire e lasciare questo mondo.
Quando la regina si avvide che non aveva scampo, diede sfogo al proprio dolore e, rivoltasi alla gentildonna, disse:
« Allorché vedrete il mio signore, re Meliodas, raccoman- datemi a lui; ditegli quali sofferenze ho sopportato in questo luogo e come, priva di adeguato soccorso, mi toccò morire per amor suo. Fategli inoltre sapere che mi duole separarmi da questo mondo e da lui, e pregatelo di essere benevolo verso la mia anima. Ed ora, fatemi vedere il bambino per cui ho patito tutto questo male. »
« Ah, figlioletto mio » esclamò dopo che ebbe posato lo sguardo su di lui « hai dato la morte a tua madre! Se in così giovane età sai già uccidere, suppongo che diverrai un uomo gagliardo e, poiché morrò per averti messo al mondo, voglio che la mia ancella preghi il mio signore re Meliodas che al battesimo ti imponga il nome di Tristano, a significare il dolore della tua nascita. »
Pronunciate tali parole, la regina rese l‟anima e morì. Allo- ra la gentildonna depose il suo corpo sotto l‟ombra di un grande albero e avvolse il bambino come meglio potè per ripararlo dal freddo. Intanto erano sopraggiunti i baroni che si erano messi in cerca della regina. Alcuni tra loro, pensando che anche il re fosse morto e ambendo a divenire signori della contrada di Liones, avrebbero voluto uccidere l‟infante; tuttavia, per intercessione e per le buone parole della gentil- donna, la maggior parte non vi volle consentire e dispose che la defunta regina fosse trasportata a palazzo, dove fu levato per lei gran lamento.
Come la matrigna di ser Tristano ordinò del veleno per ucciderlo
Anche re Meliodas, liberato per intervento di Merlino la mattina successiva alla morte della sposa, era intanto torna- to a corte accolto con grande gioia da quasi tutti i baroni. Ma nessuna lingua saprebbe narrare il suo cordoglio: fece seppellire la regina con grande pompa e, ubbidendo al suo estre- mo desiderio, impose al figlio il nome di Tristano: il bambino nato nel dolore.
Meliodas restò sette anni senza prendere moglie, e per tutto questo tempo Tristano fu allevato con cura; ma in seguito il sovrano sposò la figlia di re Howell di Bretagna, che presto gli diede dei figli, e la donna, scontenta e adirata che essi non potessero possedere la terra di Liones, decise di sopprimere Tristano. Un giorno, fece mettere una coppa d‟ar- gento in cui era stato versato del veleno nella camera in cui egli si trovava insieme ai suoi figli, ritenendo che, qualora avesse avuto sete, avrebbe bevuto di quella pozione. Accadde invece che uno dei figli, veduta la coppa e pensando che contenesse una buona bevanda, ne bevesse a volontà; ma come l‟ebbe gustata, scoppiò e morì.
Il re non sospettò il tradimento della moglie e costei, per quanto dolente per la morte del figlio come potete ben com- prendere, non volle desistere dal suo proposito e fece versare dell‟altro veleno in una coppa di vino. Il caso volle però che re Meliodas, scorta quella stessa coppa, la prendesse per bere. E così avrebbe fatto, se la regina non fosse accorsa a strappargliela di mano. Stupito di quell‟atto, Meliodas si sovvenne allora della repentina morte del figlio; perciò, af- ferrata la regina per una mano, le disse:
« Falsa traditrice, se non vuoi morire, mi devi dire che bevanda è questa! »
Quindi trasse la spada e le giurò solennemente che l‟avreb- be uccisa se non gli avesse detto la verità.
« Pietà, mio signore, vi dirò ogni cosa » gridò la donna. E gli raccontò che avrebbe voluto assassinare Tristano perché i propri figli potessero ereditare il regno.
« Sarai sottoposta a giudizio » disse il re.
Con l‟assenso dei baroni, la regina fu condannata al rogo; ma quando la pira era già stata approntata e la donna prossi- ma a essere giustiziata, il giovane Tristano si inginocchiò davanti al padre e lo supplicò di concedergli un dono.
« Volentieri » fu la risposta del re.
« Accordatemi la vita della regina mia matrigna. »
« E una richiesta ingiusta » protestò Meliodas. « Avresti il diritto di odiarla perché il suo intento era di farti morire avvelenato: è soprattutto per la tua salvezza che voglio la sua morte. »
« Sire » rispose Tristano « invoco la vostra grazia perché la risparmiate; da parte mia la perdono, così come fa Iddio! Converrebbe alla vostra nobiltà concedermi il mio dono: in nome di Dio, vi chiedo di mantenere la vostra promessa! »
« Poiché vuoi così, ti accorderò la sua vita. Va‟ a toglierla dal rogo e fai di lei ciò che vuoi! »
Il giovane andò dunque alla pira e, per ordine del padre, salvò la vita della regina. Dopo quel fatto, però, il re non avrebbe voluto avere più niente a che fare con lei, né a tavola né a letto, e solo per i buoni uffici di Tristano in seguito perdonò la sposa. Tuttavia decise di allontanare il figlio dalla corte.
Come ser Tristano fu mandato in Francia con un servi- tore chiamato Governale che l’accudisse, e come apprese a suonare l’arpa e l’arte della falconeria e della caccia
Il re ordinò a un gentiluomo molto istruito ed esperto chiamato Governale di accompagnare il figlio in Francia perché ne imparasse la lingua, la disciplina e l‟uso delle armi. Tristano rimase in quel paese forestiero sette anni, quindi, avendo appreso la lingua e quant‟altro poteva in quelle contrade, fece ritorno dal padre e si applicò a studia- re l‟arpa e altri strumenti musicali, sì che nessuno avrebbe saputo suonare meglio di lui in qualsiasi altro paese. Cre- scendo poi in forza e gagliardia, si esercitò anche nella caccia e nell‟uso del falcone, tanto che non abbiamo mai letto di alcun gentiluomo che ne fosse più esperto. Infatti, come è scritto nel libro, egli diede inizio alle buone regole del trattare ogni tipo di cacciagione e introdusse i termini appropriati che sono in uso ancor oggi, onde il libro della caccia col falcone, al cervo e a ogni altro animale selvatico, è chiamato il libro di ser Tristano. Mi sembra pertanto che tutti i gentiluomini di antico blasone debbano giustamente onorarlo, perché è proprio da tali termini, che resteranno in uso fino al giorno del Giudizio, che gli uomini d‟onore possono distinguere un gentiluomo da un uomo libero e quest‟ultimo da un villano. Colui che è gentile sarà infatti attratto dalle virtù cortesi e seguirà i nobili costumi degli uomini d‟onore!
Tristano si trattenne in Cornovaglia finché ebbe diciotto anni, e si fu fatto grande e forte. E da allora e per tutta la vita, re Meliodas ebbe grandi gioie dal figlio così come ne ebbe la regina, perché dal momento ch‟egli l‟aveva salvata dal rogo, ella aveva lasciato ogni odio verso di lui e aveva preso ad amarlo e a ricoprirlo di doni. Ma anche la gente d‟ogni rango provava affetto per Tristano, ovunque egli si trovasse.
Come ser Moroldo venne dall’Irlanda a richiedere il tribu- to della Cornovaglia, minacciando di ingaggiare battaglia
Ora accade che re Agwisance d‟Irlanda mandasse a chiedere a re Marco di Cornovaglia il tributo che questi gli aveva corrisposto per molti inverni e che da sette anni aveva smes- so di pagare. Il re e i suoi baroni ordinarono ai messaggeri di tornare dal loro signore con questa risposta:
« Noi non gli pagheremo alcun tributo e se vorrà esigerlo mandi in Cornovaglia un cavaliere fidato che combatta per il suo diritto, perché noi ne troveremo un altro che difenda il nostro. »
I messaggeri tornarono dunque con quella risposta che accese d‟ira re Agwisance. Convocato ser Moroldo, un nobile e provato cavaliere, compagno della Tavola Rotonda e fratel-
lo della regina d‟Irlanda, il sovrano gli disse:
« Bel fratello, ti prego di andare per amor mio in Cornova- glia a combattervi per il tributo che ci spetta. Sarai ben risarcito per tutto quello che spenderai e avrai più di quanto ti occorra. »
« Sire » rispose ser Moroldo « per il diritto vostro e della vostra terra non esiterò a dare battaglia al miglior cavaliere della Tavola Rotonda, conosco la maggior parte di loro e le imprese che hanno compiuto, e affronterò volentieri questo viaggio che accrescerà la fama delle mie gesta. »
Vennero fatti gli approvvigionamenti in tutta fretta, di modo che ser Moroldo ebbe quanto gli abbisognava. Infine, quando tutto fu pronto, egli lasciò il paese e approdò in Cornovaglia, proprio vicino al castello di Tintagel, e la noti- zia del suo arrivo addolorò profondamente re Marco, che ben conosceva ser Moroldo come il cavaliere più rinomato del mondo. Per il momento ser Moroldo rimase però e a bordo e ogni giorno mandava a chiedere al re che pagasse il tributo o che trovasse un campione che si misurasse con lui.
Quelli di Cornovaglia fecero allora gridare un bando in ogni luogo, e cioè che il cavaliere che avesse combattuto, per risparmiare al regno quel tributo, avrebbe ricevuto tale ricompensa che sarebbe vissuto meglio per il resto della vita. Alcuni baroni suggerirono inoltre che re Marco man- dasse a cercare alla corte di Artù ser Lancillotto del Lago, ma altri furono di diverso avviso e sostennero che sarebbe stata una vana fatica: ser Moroldo era un cavaliere della Tavola Rotonda e perciò ogni suo compagno sarebbe stato riluttante a battersi con lui, a meno che ve ne fosse stato uno che, per suo proprio desiderio, avesse voluto prendere le armi in incognito e senza farsi riconoscere.
Era intanto giunta voce a re Meliodas che ser Moroldo attendeva di dare battaglia nei pressi di Tintagel, e che re Marco non trovava alcun cavaliere disposto ad affrontarlo.
Come Tristano si impegnò a combattere per liberare la Cornovaglia dal tributo e come fu fatto cavaliere
Quando Tristano apprese che nessun cavaliere di Cornova- glia osava confrontarsi con ser Moroldo ne fu molto afflitto e sdegnato e, senz‟altro indugio, si presentò al padre e gli chiese consiglio sul miglior modo per riscattare il paese dal tributo.
« Perché mi sembra vergognoso » disse « che ser Moroldo, fratello della regina d‟Irlanda, riparta senza aver avuto battaglia! »
« Figliolo » gli rispose il re « sai bene che egli ha fama d’essere uno dei migliori cavalieri del mondo; inoltre è un compagno della Tavola Rotonda e non conosco alcuno di questo paese che sia in grado di misurarsi con lui.»
« Ahimè, perché non sono ancora cavaliere! » esclamò Tri- stano. « Che Dio non mi conceda alcun onore se in tal caso
lo lascerei partire senza affrontarlo. Vi prego, sire, datemi licenza di recarmi da re Marco per ricevere da lui l‟investi- tura. »
« Te la concedo » rispose il re. « Conduciti dunque come il cuore ti comanda! »
Ringraziato il padre, Tristano si dispose a partire per la Cornovaglia. Intanto era giunto da lui un messaggero da parte della figlia di re Faramon di Francia con lettere conte- nenti tali lamentevoli richieste d‟amore da muovere a pietà. La fanciulla gli inviava anche una piccola cagna da caccia di straordinaria bellezza; ma Tristano, che non si curava di lei, non trasse alcuna gioia dalle sue missive e il libro dice che la figlia del re quando comprese ch‟egli non l‟avrebbe amata, morì di dolore.
Il giovane Tristano si recò così dallo zio, re Marco di Cor- novaglia.
« Sire » gli disse « se mi conferirete l‟ordine della cavalle- ria, ingaggerò battaglia contro ser Moroldo. »
« Chi sei e da dove vieni? » chiese il re.
« Sappiate che sono un gentiluomo e che vengo da parte di re Meliodas, che sposò vostra sorella. »
Il re lo osservò e notò che era giovane, alto e ben confor- mato.
« Bel signore » chiese ancora « qual è il vostro nome e dove siete nato? »
« Mi chiamo Tristano e nacqui nella terra di Liones. »
« Ebbene » disse il re « se volete intraprendere questa bat- taglia, vi farò cavaliere. »
« Sono venuto da voi per questo e per nessun‟altra ragio- ne. »
Re Marco lo armò cavaliere e si affrettò poi a inviare a ser Moroldo un messaggero con uno scritto, in cui gli comunica- va che aveva trovato un giovane campione pronto a combat- tere a oltranza.
« Sarà così » fece rispondere ser Moroldo « ma io non mi batterò con alcuno che non sia di sangue reale, vale a dire figlio di re o di regina, o nato da un principe o da una principessa. »
Re Marco mandò allora a chiamare ser Tristano di Liones per riferirgli quel messaggio.
« Poiché tale è la sua pretesa » disse il giovane « informate ser Moroldo che per parte di padre e di madre ho sangue nobile quanto il suo; sappiate infatti, sire, che sono figlio di re Meliodas e di vostra sorella dama Elisabetta, che morì nella foresta nel darmi alla luce. »
« Ah, Gesù » esclamò il re « sei il benvenuto, bel nipote! »
Poi, in tutta fretta, diede a Tristano un cavallo e un‟arma- tura tra i migliori che si potessero ottenere in cambio d‟oro o d‟argento; quindi mandò a dire a ser Moroldo che il suo avversario era di nascita più nobile della sua, rivelandogli qual era il suo nome e la sua origine, sì che il campione d‟Irlanda se ne dichiarò pienamente soddisfatto.
Per comune assenso del re e di ser Moroldo fu poi stabilito che il combattimento avesse luogo su un’isola prossima alle navi irlandesi, e ser Tristano fu fatto salire su un‟imbarcazio- ne insieme a Governale, con quanto necessitava alla sua persona e al cavallo che recava con sé. E quando il re, i baroni e la gente tutta di Cornovaglia, uomini e donne che fossero, lo videro salpare con quell’equipaggiamento per an- dare a combattere per il diritto del regno, si misero a piange- re, poiché sapevano che egli metteva a repentaglio la sua giovane vita.
Martina Michelangeli X Medievaleggiando