Tutti ne abbiamo sentito parlare, ma pochi sanno cos’è veramente. Una brutta lingua? Una parolaccia? Un dialetto? E perché l’italiano nasce proprio dal volgare e non dal latino?

Mettiti comodo, quest’articolo ti schiarirà le idee!

Per cominciare, l’italiano (così come il francese, lo spagnolo, il portoghese) fa parte delle lingue romanze, cioè quelle lingue derivate dal latino e diffuse in seguito alla dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C., a causa delle invasioni barbariche.

Lo stesso termine “romanzo” deriva dall’espressione latina ROMANICE LOQUI (parlare in lingua romanza), in opposizione al LATINE LOQUI (parlare in latino).

Queste lingue romanze non derivano dal latino classico (quello aulico, unico degno di essere usato nella scrittura), ma corrispondono alla sua varietà colloquiale, usata dal popolo soltanto nel parlato e detta, appunto, volgare (lat. vulgus = popolo).

In sintesi, è il latino stesso che, come ogni lingua, si è trasformato nel corso dei secoli. E, con il venir meno di una struttura politica unitaria, tale processo di trasformazione andò accelerando sempre di più fino alla completa frammentazione di territorio in territorio. Determinante in tal senso fu anche la scarsità di vie di comunicazione, che avrebbero potuto contribuire a conservare almeno l’unità linguistica.

Per fare un esempio pratico, se osserviamo il verbo latino loqui, notiamo che non ha prodotto l’odierno termine “parlare”. Le due forme, infatti, non si assomigliano per niente!

Mentre dalla sua varietà volgare parabolare derivano: parlare (it:); parler (fr.); hablar (sp.).

 

Tra il IX e il X sec., la separazione tra i due codici linguistici cominciò a essere considerata un problema perché evidentemente i parlanti cominciarono a non capire nemmeno più il latino liturgico, da sempre usato dalla Chiesa per le orazioni.

Perciò nel Concilio di Tours, nell’813 d.C., per la prima volta fu suggerito al clero di servirsi anche del volgare per risultare più comprensibile ai fedeli.

Ma quando è avvenuto precisamente il passaggio? Beh, gli studiosi se lo chiedono ancora oggi. Infatti, come anticipato, il volgare era legato alla dimensione orale, poco adatta a lasciar tracce di sé. Inoltre, trattandosi di un processo di formazione lento e continuo, è impossibile trovare una data precisa.

Tuttavia possiamo individuare delle coordinate cronologiche grazie ai primi impieghi del volgare nello scritto.

Le prime tracce di volgare scritto sono riscontrabili in testi ancora latini: brevi inserti come parole, frasi, o addirittura lettere che in latino non esistevano. Quindi impieghi timidi e confusi, spesso inconsapevoli, come in ogni percorso di trasformazione.

Vediamo quali sono:

 

  • VIII – IX sec. = Indovinello Veronese.

Una mano veronese scrive un indovinello popolare, ritrovato su un foglio di un libro di preghiere, in cui il volgare è scelto probabilmente perché ritenuto adatto ad un testo scherzoso. Esso allude all’atto dello scrivere con una metafora sull’aratura e la semina. Come si noterà, ci sono parole latine (et, boves) accanto ad evidenti parole volgari, la cui forma è molto più vicina all’italiano (pareba, teneba, negro, seminaba).

 

«Se pareba boves

alba pratalia araba

et albo versorio teneba

et negro semen seminaba» 

 

Traduzione: Spingeva avanti i buoi / solcava bianchi campi / teneva un bianco aratro/ e spargeva il nero seme.

 

  • IX sec. (842 d.C.) = I Giuramenti di Strasburgo.

 

Primo documento ufficiale nel quale si riscontra un uso intenzionale e consapevole del volgare. Si tratta di un patto stipulato tra i fratelli minori Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, contro il primogenito Lotario, figli di Ludovico il Pio. Questi, alla morte del padre, cominciarono una lunga guerra di successione.

Il Giuramento venne pronunciato in teudisca lingua (tedesco) ed in romana lingua (in francese) per farsi capire da tutti i soldati. Questa scelta dimostra che i popoli che abitavano nei territori limitrofi non usavano più il latino come lingua comune ma idiomi differenti. Perciò la comunicazione diretta sarebbe stata impraticabile. Dunque i due fratelli giurarono ciascuno nella lingua dell’altro.

 

  • X sec. (960 d.C.) = Placito di Capua.

Si tratta del primo documento ufficiale in cui viene usato il volgare italiano, l’atto di nascita della nostra meravigliosa lingua.

E’ un documento legale rinvenuto nella città di Capua che riferisce le fasi di un processo giudiziario per il possedimento di alcuni territori. Il giudice, dopo aver ascoltato le parti in causa, prescrive la formula volgare campana:

 

«Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti»

 

Traduzione: So che quelle terre, per quei confini che qui sono contenuti, trent’anni le possedette San Benedetto.

 

Come per i Giuramenti, anche qui il giudice aveva necessità di farsi capire da persone che non parlavano, né comprendevano più il latino e che non sarebbero state in grado di sottoscrivere alcuna testimonianza.

Questo documento, di massima importanza per la nostra storia linguistica, è conservato oggi nell’Archivio dell’Abbazia di Montecassino.

Nei secoli successivi le testimonianze scritte in volgare saranno sempre più frequenti, anche se legate ancora a questioni pratiche (documenti notarili, inventari di beni, ricordi personali, annotazioni).

I principali attori del volgare nel Medioevo furono soprattutto notai, mercanti, chierici, poeti. Persone, insomma, la cui professione aveva a che fare con la scrittura e che hanno contribuito notevolmente all’affermarsi delle lingue romanze.

Per parlare di letteratura volgare bisognerà però attendere il XIII sec., quando la lingua del volgo sarà scelta intenzionalmente come lingua di cultura.

 

Maria Tesoro

 

Per approfondire:

 

LEE CHARMAINE, GALANO SABRINA, Introduzione alla linguistica romanza, Carocci, Roma, 2007

 

MARCONI LUDOVICO, VOLPI MIRKO, Antichi documenti dei volgari italiani, Carocci, Roma, 2022

 

PETRUCCI LIVIO, Il problema delle origini e i più antichi testi italiani, in Storia della lingua italiana, III. Le altre lingue. Einaudi, Torino, 1994.

 

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Written by : Redazione

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