Salve, o popolo d’eroi/ salve, o Patria immortale! / […] Il valor dei tuoi guerrieri,/ la virtù dei pionieri, / la vision de l’Alighieri/ oggi brilla in tutti i cuor. Questo è l’incipit della canzone intitolata “Giovinezza”. Fu approvata dal direttorio del PNF come Inno Trionfale del Partito Nazionale Fascista. Nel 1925 il testo originario (scritto nel 1909 come canto goliardico) fu riscritto dallo scrittore Salvator Gotta (l’autore in cambio ottenne dal regime un cospicuo vitalizio). Si suonava immediatamente dopo la Marcia Reale, così riuscì a ottenere il primo posto nell’hit parade del regime. Il richiamo a Dante, aggiunto di sana pianta da Gotta, è fondamentale come segno della continuità tra la presunta profezia dantesca e la sua realizzazione storica. Una retorica non nuovissima, che già allora aveva radici nel Risorgimento e nell’Italia unita post-risorgimentale. […]
L’uso e l’abuso di Dante durante il Ventennio colpisce ma non meraviglia. È il caso di paracadutarlo anche nel nostro variegato agone partitico […]? In teoria non sembra opportuno, per tanti motivi (storici, letterari, politici). In pratica, è successo pochi mesi fa: la paternità del «pensiero di destra» in Italia è stata attribuita all’Alighieri il 15 gennaio 2023 da Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura nel Governo Meloni.
Il ministro ha detto: «So di fare un’affermazione molto forte. Ritengo che il fondatore del pensiero di destra in Italia sia Dante Alighieri, perché quella visione dell’umano, della persona, delle relazioni interpersonali che troviamo in lui, ma anche la sua costruzione politica in saggi diversi dalla Divina Commedia, è profondamente di destra». È accaduto durante una manifestazione milanese del partito cui Sangiuliano fa riferimento: Fratelli d’Italia (FdI), erede del Movimento sociale italiano (Msi), fondato nel 1946 dai reduci della Repubblica sociale (Rsi) mussoliniana. […].
Proviamo a leggere un’altra affermazione, apparentemente compatibile col punto di vista di Sangiuliano: «Il massimo poeta può dirsi a ragione l’antesignano dei grandi ideali che ora sono messi in essere dal Governo nazionale». Ebbene, non è farina del sacco del ministro. In realtà risale a… 96 anni fa. Sono parole scritte da Domenico Venturini e il governo cui si riferisce è quello presieduto da Benito Mussolini; nel 1927 l’autore firmò un libro intitolato Dante Alighieri e Benito Mussolini. Il titolo lascia intuire che si propone una continuità tra i due personaggi. Mentre titoli di alcuni capitoli sono sufficienti per capire il punto di vista: “Il Veltro esattissima figura allegorica del Duce Magnifico”; “L’esilio del Duce e l’esilio di Dante”; “La istituzione delle Corporazioni esistenti ai tempi danteschi”; “II Duce riparatore, annunciato da Dante, individuato nel nostro Duce Magnifico”. Era un testo molto caro al regime, così ebbe una diffusione vastissima e garantì all’autore la nomina ad accademico d’Italia, come dantista. Tanto che fu riproposto nel 1932 in una nuova e più ampia edizione.
Sicuramente (salvo smentite) Sangiuliano, evocando la paternità dantesca della cultura della destra attuale, ha espresso un giudizio che non è stato ispirato dalla lettura assidua del libro appena citato. Tuttavia la coincidenza di vedute porta a supporre che il pensiero caro al ministro sia fondato, più o meno consapevolmente, sull’eredità di Venturini piuttosto che su quella di Alighieri. Vale dunque la pena di soffermarsi su altri passaggi del volumetto. Nell’introduzione dell’edizione del 1927 Venturini scrive che «tutte le manifestazioni, le idealità̀, le concezioni di grandezza patria, le nobili aspirazioni al ritorno della romanità̀, che integrano il vasto programma della nostra rinascita civile e morale, e che formano quel complesso di memorabili atti del Governo nazionale, atti che lasceranno un’impronta indelebile del secolo di Mussolini, hanno il meraviglioso riscontro col pensiero del grande filosofo e poeta italiano».
Non solo. Venturini assicura che il titolo caro al dittatore, DUX, «fu vaticinato dal sommo poeta, il quale appunto nel Dux voleva le virtù e le qualità che si ammirano in Benito Mussolini. […] Nel canto XXXIII del Purgatorio, Beatrice enimmaticamente (sic!, ndr) dice a Dante che verrà̀ un Duce a vendicare gli oltraggi fatti alla profanata chiesa ed all’impero. Ecco le parole di Beatrice: “Io veggio certamente, e però il narro, / addurne (nella Commedia in realtà si legge “a darne”, ndr) tempo già stelle propinque, / ….. nel quale un Cinquecento Dieci e Cinque, messo da Dio, anciderà la fuia, / e (“con” nella Commedia, ndr) quel gigante che con lei delinque”. È da sapersi che il numero romano DXV si è generalmente interpretato (come l’anagramma di, ndr) DVX parola fatidica al nostro tempo. […] Ora questo Messo da Dio ai tempi del poeta non venne mai, e perciò il vaticinio dantesco restò senza applicazione. Solo ai nostri tempi […] la Provvidenza fece sorgere l’uomo che compì in breve spazio di tempo la grandiosa riformagione delle cose d’Italia. […] Il nuovo ordine di cose che si è svolto in Italia e l’avvento del Fascismo, sembrano sciogliere l’enimma (sic!, ndr) di Dante. Il DUX viene personificato in Mussolini, che appunto per inesplicabile combinazione fu denominato Dux». […].
Venturini fece scuola durante il Ventennio. Ecco altri due libri: Dante, l’Impero e noi. Dalla Nuova Antologia, di Emilio Bodrero (1931) e Dante e Mussolini, di Tommaso Vitti (1934). Nel libro Mussolini da vicino, scritto da Paolo Orano (1928), si legge una testimonianza diretta del dittatore, «anch’egli preda della ebbrezza che al contatto di Dante scaturiva dalla coscienza della sua missione». Dice Mussolini: «Da qualche tempo in qua non la lascio la Divina Commedia . Ne leggo un canto ogni giorno, al mattino. Quando arrivo alla fine, vorrei seguitare. Ma come vuoi che io faccia? Che libro! […] Il programma spirituale della Nazione è proprio tutto lì dentro. Dante ha preparato il destino morale d’Italia. Bisogna che lo facciamo degno di lui questo popolo». […]
La rappresentazione di Mussolini fu così innestata in una visione unitaria dell’intera storia italiana. Tra le visioni mussoliniane su questo fronte, forse dovremmo sentire solo la mancanza del Danteum: nel 1938 gli architetti Giuseppe Terragni e Pietro Lingeri iniziarono a progettarlo su incarico del regime, con l’intenzione di inaugurarlo per l’Eur 1942, l’Esposizione Universale di Roma, poi saltata a causa della guerra. Sarebbe dovuto diventare un gigantesco edificio visionario che – diviso in Inferno, Purgatorio e Paradiso – avrebbe voluto tradurre “Dante in architettura”. Non vide mai la luce, ma già i disegni del progetto lo fanno diventare un’icona del modernismo italiano.
Ben 78 anni dopo la sconfitta di Mussolini, oggi, è curioso che in sedi autorevoli si senta il bisogno di sottrarre Dante persino al ruolo ambizioso di modello universale che il regime fascista gli aveva affidato, nell’interesse della dittatura; lo si fa per imporgli di diventare, un po’ meno ambiziosamente, il padre del «pensiero di destra» in voga nell’Italia dei nostri giorni. Di certo l’Alighieri non merita di finire al servizio di alcuna ideologia, né di destra né di sinistra. […].
Marco Brando
(socio della Sismed e giornalista)
Per approfondire:
ALBERTINI STEFANO, Dante in camicia nera: uso e abuso del divino poeta nell’Italia fascista, The Italianist, vol. 16 – 1996, pag. 117-142, Departments of Italian Studies, University of Reading – University College Dublin, Reading (Regno Unito) – Dublin (Irlanda), 1996.
SIMONINI IVAN, Mussolini lettore di Dante, Edizioni del Girasole, Ravenna 2022.
TATTI SILVIA, Dante di destra?, in Italianisti.it, 15 gennaio 2023 Roma.
Grazie dell’ospitalità :)