In occasione del Tolkien Reading Day, la ricorrenza voluta dalla Tolkien Society inglese che cade ogni anno il 25 marzo (data in cui, nel Signore degli Anelli, viene distrutto l’Unico Anello), ovvero lo stesso giorno del Dantedì, vi proponiamo un estratto dal saggio Gli Elfi e l’Amore Stilnovistico. Tolkien e Dante, che si presta perfettamente all’occasione, tanto più che il tema del Tolkien Reading Day di quest’anno è proprio l’amore e l’amicizia.
Pubblicato per la prima volta nel 2015 all’interno del volume Tolkien e i classici, attualmente ristampato da Eterea Edizioni, il saggio porta la firma della studiosa tolkieniana Sara Gianotto, che ha tenuto numerose conferenze in merito anche durante il Festival del Medioevo di Gubbio, e che ringraziamo per averci concesso questo assaggio.
Innanzitutto l’amore è assolutamente monogamo e dura per tutta la vita: così come Dante amò solo Beatrice, anche gli Elfi scelgono una sola compagna,[9] ben consci dell’importanza di una scelta che sarà per la vita intera.[10] A tal proposito viene naturale pensare anche alla vita di Tolkien stesso, che si innamorò giovanissimo di Edith Bratt riuscendo a sposarla solo dopo molte difficoltà. Così come molto spesso accadeva che gli Elfi scegliessero il loro compagno già in tenera età,[11] similmente Dante vive il primo folgorante incontro con Beatrice all’età di nove anni, e afferma che da lì in poi Amore abbia preso pieno possesso della sua anima. Si introduce quindi il topos dell’amore che, passando dagli occhi, si accende al primo sguardo:
Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e
ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello
punto dico veracemente che lo spirito de la vita, […] tremando disse
queste parole: “Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi”.
[…] D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima.[12]
Lo stesso motivo si ripresenta in modo assai simile nelle parole di Tolkien, ad esempio nel primo
incontro tra Beren e Lúthien:[13]
Aggirandosi d’estate tra i boschi di Neldoreth, si imbatté in Lúthien. […]
Ed ecco il ricordo di tutte le sue sofferenze abbandonò Beren, ed egli
cadde in preda a un incantesimo, poiché Lúthien era la più bella di tutti i
Figli di Ilúvatar. Azzurro era il suo abito come il cielo senza nubi, ma
grigi i suoi occhi come la sera stellata; il suo mantello era contesto di
fiori dorati, ma i capelli erano scuri come le ombre del crepuscolo.
Simili alla luce che resta sulle foglie degli alberi, alla voce di acque
chiare, alle stelle che stanno sopra le brume del mondo, tali erano il suo
splendore e la sua grazia; e il suo volto era luminoso. […] Allora Beren
fu liberato dall’incantesimo del silenzio, ed egli la chiamò, invocando
Tinúviel. […] Lúthien si arrestò meravigliata e più non fuggì, e Beren
venne a lei. Ma, non appena gli posò gli occhi addosso, cadde preda
della sorte e si innamorò di lui (IS Qu.XIX).
Per entrambi gli uomini l’attimo dell’innamoramento è un momento sconvolgente: non c’è corteggiamento, ma si tratta di un evento inaspettato che nasce da un’irresistibile attrazione visiva.[14] Simili vicende accaddero anche ad Aragorn e Arwen, che si incontrarono per la prima volta a Gran Burrone quando Aragorn aveva appena vent’anni:
Il giorno seguente, al tramonto, Aragorn passeggiava nei boschi. […]
Improvvisamente, mentre cantava, vide una fanciulla camminare su di un
prato fra i bianchi tronchi delle betulle, ed egli si arrestò stupefatto,
credendo di camminare in un sogno […] E, meraviglia!, ecco Lúthien
camminare innanzi a lui a Gran Burrone, con un manto argento e azzurro,
bella come il crepuscolo nelle terre elfiche; i suoi capelli scuri volavano
nel vento improvviso, e sulla sua fronte brillavano gemme simili a stelle
(SDA AppA.V).
La comparsa dell’elfa, oltre a un incantesimo di silenzio,[15] provoca dunque stupore e meraviglia; la stessa cosa si può osservare riguardo a Beatrice:
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira. [16]
Queste epifanie femminili appaiono dunque molto simili tra di loro, sia per le modalità con le quali si manifestano, sia per gli effetti che hanno sugli uomini che le osservano, i quali non possono far altro che soccombere alla potenza d’Amore. La caratteristica principale di queste donne è la bellezza ultraterrena, che, se per Dante è segno diretto di una connessione con il cielo, per Aragorn acquisisce invece i tratti di un sogno. Anche in Tolkien si può cogliere un riflesso del cielo nella bellezza delle Elfe, evocato per Lúthien sia nel colore dell’abito che in quello degli occhi; c’è inoltre un richiamo alla luce delle stelle, alla quale viene paragonata la sua grazia, così come per Arwen la luce stellare è evocata dalle gemme che porta in fronte. Di Beatrice sappiamo anche che: «Color di perle ha quasi, in forma quale / convene a donna aver, non for misura: / ella è quanto de ben pò far natura».[17] La sua pelle appare dunque candida, ma non eccessivamente, per differenziarsi dal tradizionale pallore degli innamorati che era indice del tormento interiore che li agitava; inoltre, da un accenno nel Purgatorio (canto XXXI v. 116), è possibile supporre che i suoi occhi fossero verdi: si può così ipotizzare un’adesione da parte di entrambi gli autori a un modello poetico consolidato da una lunga tradizione, che descrive la donna sempre con un incarnato chiaro, dagli occhi luminosi e dai lunghi e meravigliosi capelli, biondi o scuri che siano.[18]
Ma sia Dante sia Tolkien vanno oltre la visione della bellezza puramente estetica, passando dal piano retorico a quello metafisico: la Bellezza è infatti riflessione diretta della Grazia divina. Pirovano nota che, secondo il pensiero più maturo di Dante, Beatrice è in effetti una grazia e una rivelazione celeste, poiché è dotata della capacità divina di suscitare amore dove esso non è nemmeno potenziale, differenziandosi quindi di molto rispetto alle altre donne descritte dagli stilnovisti.[19] Nel pensiero teologico medievale, l’amore è lo spirito umano nella sua più intima essenza, è la imago divina che vi risplende:[20] la facoltà amorosa è stata quindi creata a immagine e somiglianza di Dio, la cui essenza è amore; perciò Dante, chiamando Beatrice Amore,[21] sostiene che in lei si esprima compiutamente la carità creata. Nel dono all’uomo di questo tipo di amore si manifesta appunto la Grazia divina, che gli permette di elevarsi e avvicinarsi a Dio.
Tolkien riprende dalla teologia medievale questa concezione della bellezza come riflesso divino[22] che ne favorisce la percezione; questa bellezza è presente come grazia, in opposizione al male. Gli Elfi amano la bellezza, e ne sono ricolmi: tutte le loro creazioni tendono al bello, e il loro più grande desiderio è quello di mantenere inalterata e pura la bellezza della creazione. La grazia quindi traspare chiaramente in tutti loro; si può ricordare ad esempio Galadriel, che con la sua bellezza stupisce coloro che l’ammirano e con la sua gentilezza consola e risolleva tutti i membri della Compagnia dell’Anello. Inoltre, anche per Tolkien l’amore porta a elevarsi: quest’aspetto traspare nella sua opera nella forza inaspettata che gli innamorati trovano, proprio in virtù dell’amore, per compiere grandi imprese, come accade a Lúthien e Beren nell’impresa per la conquista del Silmaril.
Sara Gianotto
Note:
9. Unico il caso di Finwë, che dopo l’inaudita morte di Míriel si risposò con Indis (IS Qu.VI). Cfr. “The earliest version of the story of Finwë and Míriel” (MR pp. 205-207) e “Laws and customs among the Eldar” (MR pp. 207-253).
10. Cfr. “Laws and customs among the Eldar” (MR pp. 207-253).
11. Ibid.
12. Alighieri, Vita Nuova II 1-9.
13. Anche se nelle prime versioni del Legendarium Beren era un elfo, si tratta in realtà di una coppia uomo-elfa, così come avviene per Aragorn e Arwen. Non ci sono però negli scritti tolkieniani amori tra soli elfi descritti in maniera particolareggiata: di Galadriel e Celeborn, ad esempio, si dice solo che grande amore li legasse (IS Qu.XIII). Per questo, e considerando anche il fatto che sia Aragorn sia Beren sono uomini eccezionali (da ricordare anche che Aragorn è cresciuto in effetti tra gli elfi), si ritiene che queste due coppie miste ben si adattino alla trattazione.
14. Cfr. anche, ad esempio, Alighieri, Rime XCI, Io sento sì d’Amor la gran possanza, vv. 1-6.
15. Cfr. anche l’incontro tra Thingol e la maia Melian, IS Qu.IV: lui si innamorò di lei sentendola cantare al lume delle stelle passeggiando nel bosco, le prese la mano e così stettero, in silenziosa contemplazione, per lunghi anni.
16. Alighieri, Vita Nuova, Tanto gentile e tant’onesta pare, XXVI 5-7.
17. Ibid., Donne ch’avete intelletto d’amore, XIX 11-12.
18. Cfr. ad esempio in Pirovano 2012, Guinizelli, Vedut’ho la lucente stella diana, VII vv. 5-6 e Cino Da Pistoia, Oimè lasso, quelle trezze bionde, CXXIII vv. 1-13.
19. Alighieri, Vita Nuova XXVI; Pirovano – Grimaldi 2013.
20. Cfr. Zambon, introduzione generale, vol. I p. LXXXVII e Pirovano – Grimaldi 2013.
21. Alighieri, Vita Nuova XXIV 5.
22. Cfr. Gulisano 2001 p. 155.