Roma ha subito notevoli saccheggi nel corso della sua storia, a partire da quello dei Galli nel 386 a.C. Oggi vi parlerò del sacco di Roma del 455 d.C., perpetrato ai danni della città dai Vandali, guidati dal re Genserico. Evitando delle semplificazioni eccessive, non seguiremo chi continua imperterrito a sostenere che si trattò di una sola azione di rapina, per ottenere un bottino. Le motivazioni sono più sottili e bisogna ricercarle nelle alleanze politiche che si stavano rapidamente disfacendo.

Cosa sappiamo sui Vandali prima di questa data? La popolazione oltrepassò il limes, il confine orientale (quello renano) dell’Impero Romano nel 406 d.C. e dopo una breve sosta in Gallia (fino al 409) si recarono in Spagna, dove restarono per circa venti anni. Successivamente, pressati nelle retrovie dalle truppe romane, decisero di attraversare lo stretto di Gibilterra (429) per stanziarsi in una terra più gestibile ed ospitale: l’Africa del Nord.

Mentre accadeva tutto ciò, l’Impero romano d’Occidente era governato da Valentiniano III. L’imperatore, in preda alla confusione politica in cui versava l’Impero, aveva promesso in sposa sua figlia Eudocia al figlio di Genserico, Unerico. In questa maniera, secondo il professor Umberto Roberto esperto del V secolo, i Vandali perseguirono l’ambizione di creare un impero romano-vandalico che riunisse l’Africa del Nord alla dinastia teodosiana, secondo l’istituto giuridico dell’adfinitas.

Purtroppo per Genserico le cose andarono diversamente: Valentiniano III non seppe gestire le divisioni interne alla scena politica imperiale e trovò la morte il 16 marzo del 455, ucciso da due attendenti di origine gota. L’omicidio era stato ordinato da Petronio Massimo che ne prese il posto dopo aver rafforzato la sua base di potere.

Il neo imperatore compì dei grossolani errori di valutazione: infatti promise la mano di Eudocia (figlia del defunto Valentiniano III, promessa sposa ad Unerico a sua volta figlio di Genserico) al figlio Palladio rompendo così, il fidanzamento con il principe vandalo. Secondo alcune fonti, che riportano uno scambio epistolare tra Genserico ed Eudossia (madre di Eudocia) quest’ultima sperava in un intervento di Genserico, per trarla in salvo.

Genserico, organizzata la flotta, salpò in direzione di Roma e, una volta ormeggiata nei pressi di Porto, si accampò. Petronio Massimo, valutato il pericolo, decise di scappare dalla città. Di questo evento abbiamo due tradizioni: la prima sostiene che l’imperatore fu riconosciuto dalla popolazione; un cittadino prese un sasso da terra, lo tirò e colpì in piena fronte l’Augusto, che cadde da cavallo e morì. La seconda versione invece, sostiene che in seguito ad una sedizione militare, Petronio Massimo venne ucciso. Le due tradizioni possono essere lette in maniera combinatoria e del tutto logica: i militari in stanza nella capitale, al seguito di una serie di valutazioni, capirono che la città era persa quindi si ammutinarono. L’imperatore tentò la fuga ma rimase ucciso, probabilmente in una sommossa che coinvolgeva anche la popolazione locale.

Quando le truppe di Genserico arrivarono in città, questa era sguarnita di difese. Roma venne occupata indisturbatamente dai Vandali e l’unica personalità che tentò di opporsi alla devastazione fu papa Leone Magno, che trattò con Genserico. Il papa lasciò ai Vandali la possibilità di spogliare la città dei suoi averi, che in cambio non avrebbero dovuto perpetrare danni alla popolazione inerme: inutile dire che il patto fu rispettato solo in parte.

La città venne sistematicamente spogliata, con metodo, delle sue ricchezze per ben tre settimane. I Vandali non fecero solo incetta di averi, ma anche di persone: molti membri dell’aristocrazia senatoria vennero fatti prigionieri, per poi chiedere un riscatto. Inoltre, molti artigiani vennero condotti, in schiavitù, a Cartagine. Il bottino più ricco, però, fu la presa in custodia di Eudossia, Eudocia e Placidia (rispettivamente moglie e figlie di Valentiniano III), che vennero condotte anch’esse a Cartagine, presso la corte di Genserico.

Come avete avuto modo di leggere, il Sacco di Roma del 455 non si limitò alla mera spoliazione della città: fu innescato da una variante politica (l’uccisione di Valentiniano III), che Genserico non aveva preso in considerazione originariamente. La volontà di creare un connubio romano-barbarico con la rimanente parte della dinastia teodosiana è ampiamente dimostrata dalla storiografia. Le vicende successive a questo evento però non permisero a Genserico di portare a termine i suoi piani. È possibile che il re Vandalo abbia sopravvalutato le sue vere forze? È possibile che i successori del re non fossero all’altezza del compito assegnato loro?

Lo scopriremo insieme in un altro articolo.

Andrea Feliziani

Per approfondire:

FRANCOVICH ONESTI NICOLETTAI Vandali, Carocci Editore, Urbino 2002.

ROBERTO UMBERTORoma capta. Il sacco della città dai Galli ai Lanzichenecchi, Laterza Editore, Bari 2019.

SCHREIBER HERMANNI Vandali, Rizzoli, Milano 1984.

 

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Written by : Redazione

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