Quest’anno, come molti di voi sanno, ricorre il settimo centenario dalla morte di Dante, che spirò a Ravenna nel 1321, dove poi fu sepolto. Oggi il mio intento però è quello di raccontarvi una storia risalente al sesto centenario, quello del 1921.
I nostri protagonisti sono Don Giovanni Mesini e Corrado Ricci. Il primo visse la maggior parte della sua vita a Ravenna, fu un assiduo studioso di Dante ed un iniziatore del suo culto sotto una nuova veste, infatti dal 1913 diresse Il VI Centenario Dantesco – Bollettino del Comitato cattolico per l’omaggio a Dante Alighieri. Il Bollettino ospitò articoli con un taglio divulgativo e scientifico sui luoghi frequentati da Dante, incentrati soprattutto sulla città di Ravenna, oltre ad esplorare il rapporto del poeta fiorentino con la dottrina cattolica. Per suggellare questa unione, venne anche avanzata la proposta per la restaurazione della basilica ravennate di San Francesco, ormai malridotta. Ed è qui che entra in scena il nostro co-protagonista: Corrado Ricci, all’epoca direttore generale delle Antichità e Belle Arti a Roma. Il Ricci apparteneva alla cerchia intellettuale del Carducci, con il quale reinventò il mito della nascita dell’Università di Bologna.
Fortuna volle che l’idea del Mesini si sposasse con quella del Ricci: rimettere mano a quella che poi divenne l‘area dantesca ravennate. Il Ricci, nato a Ravenna, si adoperò per questa serie di iniziative, fino a scrivere per l’occasione L’ultimo rifugio di Dante Alighieri. In questo processo si reinventa una tradizione: la Chiesa di San Francesco diventa chiesa dei funerali di Dante e si forza la lettura delle opere monumentali. Si cerca Dante, insistentemente, e lo si trova: ad esempio sull’arco di una antica porta si individuò una figura seduta e si decise, arbitrariamente, che si trattasse di un ”Dante pensoso” tanto che il Mesini, nel 1920, scrisse un l’articolo La scoperta di un presunto ritratto di Dante e la sua originaria sepoltura in S. Francesco di Ravenna.
Questo processo di esaltazione dell’eredità dantesca (vera o presunta) della città, iniziato appunto grazie ai protagonisti della nostra storia, si concluse negli anni Trenta del secolo scorso. Oggi la zona dantesca è centrale a Ravenna, una parte della città da visitare per chi non l’avesse ancora fatto. L’elogio al Sommo Poeta è imponente: si tratta di una grande area turistico-devozionale, di rispetto, chiamata “zona dantesca” e comprendente la basilica di San Francesco appunto, con i chiostri, il quadrarco e la tomba di Dante, realizzata nella seconda metà del XVIII secolo, in stile neoclassico. Inoltre c’è la presenza di un tumulo che ospitò le spoglie del poeta fiorentino durante le vicende della prima guerra mondiale. L’area è destinata non solo a una ristretta élite culturale che conosce i segreti più reconditi del Sommo, ma anche alle persone comuni, che in un modo o nell’altro, spesso idealizzato, hanno sentito parlare del padre della letteratura italiana.
“Ravenna solitaria sul lembo del mare e cinta dalla sempre verde e odorosa foresta di pini, in quella città si recò Dante Alighieri”: così descrive la città Corrado Ricci, e tutt’ora la memoria di questo grande poeta la permea, la avvolge. Dante è in attesa di essere disvelato da una nuova generazione di curiosi, perché il nostro lavoro è anche questo: evitare che le cose vengano dimenticate, nell’oblio del tempo, mettendo un po’ di ordine nelle idealizzazioni, che sono nuova linfa per gli allori del passato.
Buon Dantedì a tutti voi.
Andrea Feliziani
Per approfondire:
BENINI MARIA GIULIA, Luoghi danteschi. La Basilica di S. Francesco e la zona dantesca a Ravenna, Longo Angelo, 2003;
BENINI MARIA GIULIA, Celebrazione, evocazione, invenzione della zona dantesca a Ravenna in Neomedievalismi: recuperi, evocazioni, invenzioni nelle città dell’Emilia-Romagna, a cura di Maria Giuseppina Muzzarelli, Clueb, 2007;