La lira italiana, amatissima e utilizzata fino al marzo 2002, ha una storia lunghissima alle spalle. Una storia che ha accompagnato per più di mille anni l’economia dell’Europa e che ha origine da uno degli uomini più potenti del Medioevo, Carlo Magno.
Il re dei Franchi riuscì ad entrare in Italia, tra il 773 e il 774, grazie alla vittoria ottenuta sui Longobardi di Re Desiderio, il conflitto varrà anche da ispirazione per la tragedia manzoniana del 1822, l’Adelchi.
La gestione del territorio appena acquisito fu intelligente da parte di Carlo, poiché mantenne le istituzioni e le leggi longobarde per non creare tumulti. Intervenne però sul sistema economico, facendosi continuatore della riforma monetaria cominciata dal padre, Pipino il Breve.
La riforma monetaria carolingia ebbe il merito di abolire il sistema basato sul solido d’oro di origine Costantiniana, ancora utilizzato nell’impero bizantino e su cui si basavano le coniazioni longobarde. In una prima fase i Longobardi coniarono infatti monete ad imitazione del solido, solo in un secondo momento avviarono una coniazione indipendente.
Il nuovo sistema monetario sarebbe stato monometallico, basato su una sola moneta argentea, il denaro. Carlo impose, inoltre, che per ogni libbra d’argento venissero prodotti 240 denari. La libbra non era altro che una unità di conto di origine romana, equivalente a circa 325 grammi.
Il denaro (1,7 grammi) seppur coniato in una lega di ottimo argento (950 millesimi) non bastava a effettuare pagamenti importanti, i quali potevano riguardare acquisti di interi terreni o di abitazioni. Contando che non furono coniati multipli del denaro per secoli, diventò comune negli scambi utilizzare la lira/libbra in quanto mera unità ideale di conto, per non confrontarsi con calcoli troppo elevati. Un esempio potrebbe essere rendere 6.240 denari come 26 lire. Alla fine delle riforme carolingie il sistema monetario si basava su queste equivalenze:
1 lira/libbra = 20 soldi = 240 denari. Nell’intero sistema, l’unica moneta coniata, utilizzata e a disposizione del popolo era e rimarrà per molto tempo il solo denaro d’argento.
I primi segni di decadenza del denaro e di conseguenza della lira, si verificarono più di un secolo dopo la riforma. I denari di Berengario I e Berengario II pesavano meno ed erano inquinati da una maggiore percentuale di rame. Un tentativo di riportare l’ordine fu effettuato dagli ottoniani, per frenare il peggioramento della qualità del denaro stabilirono che: il nuovo peso legale del denaro sarebbe stato di 1,4 grammi e che avrebbe contenuto una percentuale di argento fino nella lega, pari a 830 millesimi.
La maggiore necessità di moneta e le nuove circostanze storiche avevano portato quindi ad abbassare la qualità e il peso del denaro compromettendo il rapporto lira/libbra. La lira in quanto unità di conto continuava a valere 240 denari, questi ultimi erano però più piccoli e meno pregiati dei loro omonimi precedenti. La lira si era definitivamente liberata dell’unità di peso da cui aveva tratto origine.
La diffusione della lira sul territorio italiano fu però solo parziale. Il Sud era ancora molto legato alla monetazione di influenza bizantina e sarà poi oggetto di sottomissione dei musulmani. Le zecche che rientrarono nella “zona lira”, a partire dalla riforma carolingia fino all’inizio dell’XI secolo, erano infatti tutte raggruppate nel nord Italia. A guidare il gruppo furono sicuramente le zecche di Pavia e Milano; la prima delle due città a partire dall’anno 774 e fino al 1024 fu la capitale del Regno italico, questo valse la possibilità di controllare al meglio la coniazione in quella zona, grazie ai maggiori controlli del re.
Seguono a ruota Lucca, che ebbe un ruolo fondamentale nel regno longobardo e la coppia Verona–Venezia con la prima a prendersi la scena.
Dopo l’anno Mille la lira andò incontro a una nuova fase della sua ancora giovane vita. Le zecche che in quel momento producevano la maggioranza del denaro circolante erano diventate: Pavia, Milano, Lucca e Verona.
La crescita sempre maggiore della popolazione, ma soprattutto dell’economia e quindi della richiesta di monete, portò le varie zecche a perdere l’allineamento che era stato precedentemente fissato dagli Ottoni. Tutte le autorità territoriali, tramite il lavoro delle zecche, decisero di far prevalere gli interessi dell’economia, producendo un numero sempre maggiore di monete a parità di metallo nobile disponibile. La lira milanese, pavese, veronese e lucchese aveva a quel punto acquistato un differente valore, confrontata con le altre. La scelta andò sicuramente a discapito della singola moneta; quest’ultima per certo perse di qualità, ma risultò essere la mossa vincente per ridare vitalità ad una economia che nei secoli precedenti si era impantanata.
Mattia Rescigno
Per approfondire:
Carlo M. Cipolla, Le avventure della lira, Il Mulino, 2012.
Barbero Alessandro, Carlo Magno – Un padre dell’Europa, Laterza, 2006.