Sono andata sul sito dell’esercito italiano per documentarmi sui requisiti d’ammissione e sulle prove alle quali si devono sottoporre i nostri soldati prima e dopo essersi arruolati.
Si richiedono , in generale, forte e robusta costituzione e una ferrea volontà psico-fisica per adattarsi non solo alla rigida gerarchia ma anche per superare il training continuo, spesso svolto nelle condizioni più impervie. Sin dall’antichità ai combattenti sono quindi richiesti sacrificio e obbedienza alle ragioni di stato. Esempio universale è l’Ettore omerico : il saluto alla moglie Andromaca e al figlioletto in fasce non è un semplice quadretto familiare ma l’esempio sovrano di chi corre senza indugio ad obbedire alla patria.
Soldati: gente pragmatica e sobria. Prendete ad esempio Belisario, generale bizantino sotto l’Impero di Giustiniano, dopo un intero giorno di combattimenti contro i Goti su Roma (ugerra greco-gotica 335-353) il condottiero aveva tralasciato il cibo per occuparsi di questioni istituzionali più urgenti. Procopio racconta che solo ” a tarda notte , la moglie e gli intimi che gli stavano intorno lo forzarono a stento a mangiare un pezzo di pane “. Secoli dopo, lo Stupor Mundi non fu da meno.
Secondo quanto narrato da Rolandino da Padova, la ferrea volontà di conquista di Federico II ne assoggettò la fame nel 1236 : il tempo di addentare un pezzo di pane senza neanche smontare da cavallo per poi condurre le sue schiere verso Vicenza. Diciamolo: non si diventava cavalieri da un giorno all’altro. Si richiedeva pratica ed addestramento costante. Sin da bambini, i futuri guerrieri venivano temprati ai disagi della guerra. Presso i Franchi, ad esempio, era uso comune addestrare i ragazzi dall’adolescenza, rendendoli capaci di “sopportare le durezze e le avversità, soffrire la fame, il freddo e il calore del sole”, come asserisce Rabano Mauro nella metà IX sec.
Rambaldo, eroe di fantasia del Cavaliere inesistente di Italo Calvino, si accorge dell’inizio del combattimento dalla cappa di polvere alzatasi all’attacco di entrambi gli schieramenti. “Il segno che era cominciata la battaglia fu la tosse”, scrive l’autore. In effetti, il nostro cavaliere si trovò in un inferno di polvere , sole e vento provocato non solo dal “polverone giallo” dei saraceni in attacco, ma anche da quello che “venne su da terra” in seguito alla carica dei carolingi con cui combatteva. Rimane ignota la fonte storica che ha ispirato questo passo ma una cosa è certa : anche Vegezio nell’ Epitoma rei militaris cita frequentemente la polvere sui campi di battaglia .
Sì, l’estate era tragica. Esempio importante è quello riportatoci da Giovanni Villani. Cascina, 1364. Il conflitto tra Firenze e Pisa esplose in quell’assolato luglio e Giovanni Acuto, condottiero britannico al soldo dei pisani: “aspettò la volta del sole perché li raggi fedissono nel volto delli nimici e a’ suoi nelle spalle”. Inoltre , prima dello scontro vero e proprio, per ingannare Galeotto Malatesta, il comandante fece in modo di far levare “meno polverio” facendo avanzare i suoi a piedi (per quattro miglia!) anziché a cavallo.
Ricordiamo questa battaglia anche per un altro motivo: la perdita del famoso “cartone” michelangiolesco raffigurante Cascina non come un accampamento ma come un campo estivo in cui i fiorentini, colti dalla calura e dalla voglia di freschezza, disarmatisi, si gettarono nell’Arno nel mentre il Malatesta, ormai sessantenne, “se n’era ito nel letto a riposare”. Ovviamente, con queste premesse, alla fine vinsero i pisani.
Non è raro trovare una cappa di polvere nel cielo di tutte le battaglie tra XII e XIII secolo: il 70% delle operazioni militari era infatti concentrato fra maggio e agosto. Spesso , la polvere era così fitta da ostruire la vista ( Nicosia, 23 giugno 1229). La polvere, si univa al problema acqua: Antonio Campano racconta dello scaltro Braccio da Montone il quale, alle porte di Perugia nel 1416, riuscì ad assicurare ai suoi degno approvvigionamento idrico in barba ai nemici, fustigati da sole, polvere negli occhi e stanchezza. La stanchezza fisica era un altro gravoso problema in combattimento.
L’Anonimo Cumano scrive a proposito della battaglia di Rebbio : “Il sudor cola, scorre a rivi per le matide membra. Sangue stillano ovunque i polverosi campi. “. I combattenti, stanchi, sedevano per terra , cercando il ristoro dell’acqua. Per questo motivo, Vegezio prima e Egidio Romano poi nel trattato De regime, suggerivano di abituare sin da fanciulli i futuri soldati alla fatica. Il concetto viene ripreso anche negli Insegnamenti di Teodoro di Monferrato.
Nel corso del tempo divennero più complesse e pesanti. Forse sin dall’età carolingia si iniziò ad insistere sul senso di invulnerabilità dei guerrieri attraverso di esse. Nel Medioevo , in generale, le armature si aggiravano intorno ai 25 kg. Nel corso del XIII secolo, si introdussero elementi in lamiera, più difficili da perforare dalle balestre ma scomodissime perché non traspiranti. Inoltre , armature così composte , potevano provocare dolori alla schiena e alle articolazioni.
Nell’immagine di copertina potete ammirare un Miniatura tratta dalla Bibbia Maciejowski, XIII secolo
Babustoria x Medievaleggiando
Consigli di lettura
GIALLONGO ANGELA, Il bambino medievale. Storie di Infanzie, Dedalo Edizione, 2019;
SETTIA ALDO, Battaglie medievali, il Mulino, 2020;
SETTIA ALDO, Rapine, assedi, battaglie. La guerra nel medioevo, Laterza, 2009.