I carolingi conquistano il potere facendosi largo con la spada in pugno e la lancia in resta. Un primo e fondamentale punto di svolta sarà la battaglia di Tetry (668), che porta al successo Pipino di Heristal. Successivamente, Carlo Martello si farà notare nella battaglia di Poitiers (732) e nella “guerra civile franca” (715-719) mentre Pipino il Breve riesce a piegare la resistenza aquitana. Inoltre interviene contro i longobardi e, nel 751, detronizza Childerico II, ultimo sovrano merovingio.

Successivamente, passiamo alle spettacolari conquiste di Carlo Magno che sottomette il Regno Longobardo, la Baviera e la Catalogna. L’impero carolingio nel corso dell’VIII secolo deve proteggere un territorio tanto vasto sia dalle scorrerie dei saraceni che delle popolazioni del nord, i vichinghi.

Come abbiamo già visto, la guerra medievale  viene portata avanti con il saccheggio, come ci mostrano gli Annales regni francorum o la Cronaca di Fredegario. Ad esempio operarono così sia Pipino il Breve, per piegare la resistenza del conte d’Aquitania Guiferio, sia Carlo Magno per schiacciare i sassoni.

Fatto questo piccolo preambolo, partiamo da una domanda semplice. Chi poteva fare la guerra? In linea di principio, tutti gli uomini liberi del mondo franco. Ad esempio, nella sola regione della Settimania (793) si fece ricorso alla leva generale, chiamata lantweri.

Esisteva, però, una serie di regole per la chiamata degli armati che si basava sul possesso della terra. Mediamente un manso era coltivato da una famiglia per il suo sostentamento, utilizzando il lavoro di una coppia di buoi. Più mansi potevano essere gestiti sia da piccoli proprietari che da latifondisti. Le famiglie che possedevano da 2 a più mansi, dovevano armare un proprio membro. Chi ne aveva meno di due, poteva fornire gli equipaggiamenti per armare un contadino, unendosi ad altre famiglie.

Quindi, l’esercito era diviso tra paganti e partenti. Ad esempio nell’Anno Domini 808 sappiamo di quattro contadini padroni della terra, ma senza schiavi sottoposti, che si organizzano per armare uno dei quattro. Gli altri tre, invece, avrebbero contribuito alle spese per l’armamento.

Una spia della funzionalità di questo sistema ci è fornita da un’ordine di Ludovico il Pio per l’anno 829 che chiede ai conti di compilare liste di partenti e paganti divisi per contee. Queste liste dovevano esistere anche in passato e, probabilmente, esisteva anche un elenco dei vassalli del re che avrebbero fornito sia forza militare che risorse materiali.

I vassalli del re, come quelli dei principali signori, erano chiamati all’esercizio delle armi. Inoltre, anche la Chiesa era tenuta a prestare un notevole aiuto alla macchina militare.

Infatti, fin da Carlo Martello, le grandi estensioni territoriali della Chiesa erano utilizzate per ricavare fonti di approvvigionamento per la guerra. Anche i vescovi e i prelati dovevano armarsi e partire, soprattutto in caso di chiamata generale in una data regione, come abbiamo visto per la Settimania.

Questo coinvolgimento dei principali esponenti ecclesiastici non era ben visto da persone del calibro di Paolino di Pella e papa Adriano.

Da un punto di vista organizzativo, l’esercito franco va diviso tra cavalleria e fanteria. Per il periodo merovingio sappiamo, da un passo di Gregorio di Tours, che la cavalleria fu usata nella guerra dei Franchi contro i Turingi. Questi ultimi, per respingere le armate di Thierry I scavarono dei fossi e li ricoprirono di zolle. Arrivati i cavalieri franchi  caddero nelle trappole.

Va comunque considerato che la cavalleria era minoritaria nelle armate merovingie e aumentò i propri effettivi a partire dall’VIII secolo. Non dobbiamo pensare che vi fu una vera e propria rivoluzione militare in risposta alle incursioni arabe o avare. Piuttosto, siamo di fronte ad un progressivo utilizzo del cavallo per una serie di ragioni sociali, politiche, economiche e tecniche.

Per quanto concerne l’armamento della cavalleria, va fatto un distinguo tra quella pesante (catafratta) e la leggera (scarae). La prima era utilizzata nelle principali operazioni di battaglia. La seconda doveva difendere le salmerie e la retroguardia, costituita da una colonna di armati e carri trainati dai buoi. Inoltre, era addetta alle operazioni di esplorazione del territorio.

Gli armamenti erano vari e, secondo le prescrizioni dei capitolari carolingi, i cavalieri pesanti dovevano armarsi con una lancia. Ne esistevano di due tipi: una lunga, che arrivava a 2 metri e terminava con una punta a freccia, usata per le cariche, ed una di tipo corto, per il combattimento ravvicinato.

Per quanto riguarda le spade, ne esistevano di vario genere: la spada lunga a doppio filo (due bordi taglienti), con una lama di 90 cm e larga 6. La spada corta, invece, arrivava ad un massimo di 40-50 cm; esisteva anche la spada a un solo taglio.

L’armamento difensivo era composto da uno scudo di legno ricoperto di cuoio e munito di umbone, la borchia metallica semisferica posta al centro dello scudo. L’elmo era ricavato da una calotta di cuoio o di ferro, imbottito internamente di stoffa. Le altri parti del corpo erano protette dai cosciali o scinieri e dalla brunia, una giacchetta di cuoio o tela, tessuta con crini di cavallo. Inoltre, era rafforzata da piastre o anelli metallici, tanti quanti se ne poteva permettere il proprietario.

Tutto questo armamento, al completo, poteva arrivare a costare anche 20 vacche.

Le bruniae avevano un costo elevato e non tutti i combattenti a cavallo le possedevano. Ad esempio, un nobile bavaro di nome Hroadachar ne aveva acquistata una da un vescovo al costo di una serie di terre. Inoltre, sappiamo che ai mercati era assolutamente vietato vendere le bruniae al di fuori dei confini dell’Impero. Questa regola valeva anche per altre armi ed è la spia dell’intervento reale nella gestione degli armamenti.

Per quanto concerne sempre l’approvvigionamento, erano coinvolti anche i monasteri, sia maschili che femminili. Questi avevano ricevuto ordini ben precisi: potevano immagazzinare armi di vario genere, bruniae comprese, in caso qualcuno le avesse cedute in elemosina.

Anche l’arco, le frecce e la faretra erano presenti nell’armamento dei caballari, come attesta un capitolare dell’806; mentre in altri capitolari precedenti, questa menzione diretta non compare. C’è chi ha interpretato questo fatto come un’aggiunta dovuta al contatto dei franchi con la popolazione degli Avari che combattevano con degli arcieri a cavallo. Al contempo sono state ritrovate, per epoche precedenti, sia delle punte di frecce in alcune tombe franche che delle menzioni di queste armi nelle leges Salica e Ripuaria.

Nel periodo carolingio aumentò la possibilità di disporre del cavallo poiché il suo costo passò da 12 a 7 soldi, come attesta la Lex Ripuaria. Questa è la spia di quanto il quadrupede fosse diventato centrale negli eserciti.

Un problema storico notevole, invece, è la comparsa della staffa. Questo finimento è la base d’appoggio del piede per il cavaliere . Sconosciuto nel mondo greco-romano, è presente nella Cina del V secolo a.C e nel mondo bizantino del VI secolo d.C. Per quanto riguarda la presenza o meno della staffa nel mondo carolingio, sappiamo che al tempo di Ludovico il Pio era poco utilizzata, mentre non era presa in considerazione dai Normanni.

Risale al IX secolo la prima raffigurazione della staffa nel mondo mitteleuropeo, contenuta in un manoscritto miniato, sito nell’abbazia di San Gallo. In esso solo alcuni cavalieri vengono raffigurati con la staffa. Una seconda fonte è un aneddoto dell’VIII secolo. Secondo il racconto, Carlo Magno promise un vescovado ad un giovane ecclesiastico che, preso dall’entusiasmo per la notizia corse e saltò sul cavallo non badando allo sgabello posto ai suoi piedi. Il sovrano, quindi, che considerò indecoroso un tale comportamento da parte di un giovane vescovo, ritirò la sua promessa.

Questo aneddoto, vero o presunto che sia, ci è stato tramandato da Notkero, compositore franco del IX secolo che scrisse le Gesta Karoli Magni per conto di Carlo III detto il Grosso. La logica conclusione che ci viene data da questi due esempi è chiara: la staffa non era ancora diffusa nel mondo franco.

I fanti, invece, erano armati diversamente. Le disposizioni ai tempi di Carlo Magno sono precise. I pedites dovevano essere muniti di lancia, scudo, arco, una corda di ricambio e, almeno, dodici frecce. Era assolutamente vietato presentarsi alle adunate armati di bastone. Rispetto al passato merovingio, infatti, l’armamento – e l’importanza – dei fanti si semplifica. Evidentemente, la cavalleria poteva essere appoggiata da fanti armati di arco e frecce, senza che questi costituissero il nerbo principale.

Andrea Feliziani

Per approfondire:

BACHRACH BERNARD S, Early Carolingian Warfare. Prelude to Empire, 2011,
University of Pennsylvania Press 2011.

BARBERO ALESSANDRO, Carlo Magno padre dell’Europa, Laterza 2004.

CONTAMINE PHILIPPE, La guerra nel Medioevo, Il Mulino, Bologna 2011.

FLORI JEAN, Cavalieri e Cavalleria nel Medioevo, Einaudi 1999.

SETTIA ALDO, Assedi rapine e battaglie, Laterza 2009.

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Written by : Redazione

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