L’Abbazia di San Giusto è tradizionalmente datata al XII secolo. Nel corso degli ultimi scavi e successivi restauri dell’abbazia, avvenuti tra la fine degli anni Novanta e conclusisi nel 2014, è stato possibile mettere in discussione la fondazione di età benedettina già ipotizzata dalla studiosa Raspi Serra. Il ritrovamento dei frammenti marmorei databili tra VII e IX secolo oltre ai già noti documenti storici ci danno un ulteriore conferma sia artistica che documentaria della fondazione in età benedettina.

Non abbiamo documenti relativi alla fondazione della prima abbazia, mentre della fase altomedievale ci sono giunti due documenti. Il più antico risale al 962, quando l’abate di Farfa nomina Venerando, abate del monastero di Tuscania. Questa testimonianza, che menziona un abate proveniente dal complesso tuscanese, proviene da un documento oggi disperso, riportato solo nel volume Memorie istoriche della città di Tuscania dello storico Francesco Antonio Turiozzi. Il secondo testo di riferimento è un diploma che porta la firma di Onorio I, datato 967, col quale viene nominato un abate, in cui viene ricordata anche la chiesa di San Giusto della città di Tuscania. Inoltre sappiamo che nel Regestum Farfense, opera del monaco Gregorio da Catino (1060 ca. – 1133 ca.), si ricorda che l’abate di San Giusto aveva inviato un monaco come proposto alla “cella” di Santa Maria del Mignone che era stata devastata dalle incursioni dei saraceni. Possiamo dedurre che il monaco di San Giusto sia andata a riformarla.

Attraverso questi documenti storici possiamo presupporre che ci sia stato un legame tra la San Giusto benedettina e l’Abbazia di Farfa, che insieme a Subiaco e Montecassino erano tra i luoghi fulcro dell’ordine benedettino. Non abbiamo fonti che ci attestino l’abbandono dell’abbazia; probabilmente il centro monasteriale benedettino fu abbandonato in seguito allo spopolamento delle campagne nel X secolo, dovuto alla loro scarsa sicurezza.

L’origine dell’Abbazia di età cistercense è databile al XII secolo, quando una colonia di monaci dell’Abbazia di Fontevivo nel parmense si insediò a San Giusto. Ma perché la chiesa abbaziale benedettina viene abbandonata? Probabilmente essendo al di fuori del centro cittadino era meno protetta dalle scorrerie saracene che caratterizzarono il IX e X secolo. Anche il secolo successivo non fu tranquillo per il territorio, che si trovò al centro della lotta tra papato e impero, che continuò nei secoli XI e XII. L’Abbazia di Fontevivo si era dimostrata nei suoi primi anni di vita dedita al lavoro, alla preghiera e alla disciplina; nel luglio del 1146 il nuovo abate designato e alcuni monaci lasciarono Santa Maria di Fontevivo, verso Tuscania. Il 26 luglio del 1146 fu il dì natale della nuova Abbazia Cistercense. Può stupire che una colonia di monaci sia stata inviata dal nord Italia, ma Tuscania in quel periodo faceva parte dei territori della contessa Matilde. Non è casuale che l’occupazione dell’abbazia coincidesse con un momento politico assai delicato: la crisi del Papato per l’insurrezione di Roma e i continui contrasti tra città guelfe e ghibelline nel viterbese.

Dallo scritto del cardinale Campanari sappiamo che a San Giusto nel 1226 fu edificata nuova e nobilissima chiesa sull’altra sotterranea, con una torre quadrangolare che aveva funzione di campanile, ampliando i dormitori e tutti gli spazi dedicati alla vita monastica. Di significativa importanza è la bolla datata 2 aprile 1178, con la quale il papa Alessandro III concede all’Abbazia di San Giusto larghi privilegi e la protezione apostolica. La vita monastica dell’abbazia attraversa inizialmente un momento di tranquillità e di rispetto dell’ordine. Il 1194 e il 1195 sono anni problematici: l’abate di San Giusto viene condannato per illegalità nell’attribuzione di cariche interne. Dopo questo episodio il luogo di culto entra in crisi con l’Abbazia madre di Fontevivo, la quale nel 1217 decide di troncare definitivamente i rapporti con Tuscania. Da due lettere datate 5 gennaio 1217, inviate da papa Onorio III, si apprende che la tutela di San Giusto è passata all’Abbazia delle Acque Salvie, la quale aveva il compito di correggere la disciplina e la dissestata amministrazione dell’abbazia. Nonostante l’intervento di questa per risanare lo stato disastroso dell’archivio di San Giusto, nel 1255 viene presa la decisione di spostare tutte le carte nell’Abbazia delle Acque Salvie a Roma.

Nel corso dell’anno 1349 un terremoto colpì la zona della Tuscia ma sappiamo con certezza che l’abbazia ne uscì indenne. Un documento del 10 marzo 1358 attesta che San Giusto in quegli anni continuava ad avere i propri abati. Nel secolo successivo abbiamo l’ufficiale soppressione e abbandono dell’Abbazia. Si narra che nell’anno 1460 si trovavano sospese le abbazie di San Giuliano e di San Giusto esistenti sul territorio di Tuscanella.

Successivamente al suo abbandono l’abbazia assunse uno stato di rudere fino ad essere trasformata in una stalla. Durante il Novecento s’interviene sull’abbazia di San Giusto con due campagne di scavo archeologico. Il primo intervento di scavo riguarda la zona della facciata della chiesa e la torre, e viene condotto durante gli anni Cinquanta, quando ancora la chiesa era adibita a stalla. Sostanzialmente il primo intervento viene fatto per la messa in sicurezza del rudere. In questo primo scavo vengono fuori dei frammenti e varie lastre che solo successivamente verranno ricollocate nell’edificio. L’intervento di recupero e restauro vero e proprio avviene negli anni Novanta, quando l’attuale proprietario Mauro Checcoli acquista i terreni in cui sorge l’abbazia da un pastore.

Dopo aver ripercorso in breve la storia dell’abbazia di Giusto posso affermare che è complicato datare le strutture originarie. L’unica sicurezza che abbiamo è l’esistenza di una chiesa di età benedettina, probabilmente edificata agli inizi dell’VIII secolo, riportata in parte alla luce dai recenti scavi effettuati sotto la navata. A ciò si aggiunge il fatto che il più antico riferimento storico risalga al 962, come accennato all’inizio dell’articolo.

Attraverso i reperti rinvenuti nello scavo possiamo ipotizzare la ricostruzione dell’arredo liturgico altomedievale della prima abbazia di San Giusto. Da questi ritrovamenti si ricava che all’interno della chiesa vi fosse una recinzione presbiteriale; uno dei frammenti potrebbe essere attribuito a un ciborio, ovvero una piccola costruzione a forma di baldacchino posta sopra l’altare. Si tratta di una lastra a forma di cuspide come suggerisce l’andamento delle cornici sui bordi, in origine poggiato verosimilmente su un montante rettilineo che costituiva uno dei lati del ciborio.

È possibile fare un paragone con la ricostruzione del frammento scultoreo di marmo dalla chiesa di San Salvatore ad Amelia. La lastra proveniente da Amelia è un frammento di ciborio, come documenta l’attestazione epigrafica. Il rilievo, essendo completo lungo lo spiovente, come indicano la lavorazione, l’iscrizione e la cornice in corrispondenza dell’elica ruotante scolpita, lascia ipotizzare che la lastra dovesse essere a cuspide su montante rettilineo, come nella raffigurazione presente sulla fronte dell’altare reliquario nella chiesa di Santa Maria in Aventino.

 

Il motivo decorativo presente sulla lastra è caratterizzato da una sequenza continua di girali. L’incastro tra un girale e l’altro è di notevole precisione geometrica. Motivi molto simili si possono ritrovare in altre due lastre. Siamo sempre nel centro Italia: la prima lastra viene da Spoleto dalla chiesa di San Gregorio, la seconda si trova nel centro di Raiano (l’Aquila) nella parrocchia di Santa Maria di Contra.

Altri frammenti emersi dagli scavi archeologici documentano una seconda fase altomedievale dell’arredo interno dell’abbazia, dopo quella attribuibile all’età longobarda: si tratta di frammenti relativi a una recinzione presbiteriale. Questi elementi in base al tipo di decorazione, costituito da temi a carattere geometrico-aniconico (non figurativo) realizzati con il tipico nastro di vimini a due capi, possono essere datati alla prima metà del IX secolo. In questo periodo il territorio della Tuscia, compresa Tuscania e il suo circondario, passò sotto il controllo dei pontefici. Nelle sculture della recinzione di San Giusto è possibile avvertire il riflesso di questa mutata situazione storica: i rilievi, infatti, risentono fortemente delle influenze culturali e artistiche provenienti dalla città di Roma, dove si conservano all’interno delle basiliche numerosi esempi di lastre con il medesimo tipo di decoro aniconico e astratto. Elemento tipico della produzione scultorea di età carolingia diffusa in tutta Italia, è largamente documentato, infine, anche nel territorio di Tuscania, come attestano le lastre ancora conservate nella chiesa di Santa Maria Maggiore (riutilizzate nell’ambone) e di San Pietro, ancora in opera nel recinto presbiteriale.

Oggi ci rimangono questi pochi frammenti a dare conferma della fondazione benedettina e a testimoniare ciò che è stata l’abbazia di San Giusto in un passato travagliato e anche un po’ sfortunato sia a livello documentario che conservativo.

L’abbazia che possiamo ora ammirare è sicuramente dubbia nella ricostruzione, ma ci ridona il fascino che un tempo aveva nella vallata del fiume Marta.

Benedetta Lisotti

Per approfondire:

BATTISTI E., L’abbazia di San Giusto presso Tuscania, in “Studi medievali”, CISAM, Spoleto, 1951, pp. 337-347.

BEDINI B. G., S. Giusto di Tuscania, in Viterbium, I, n. 4, 1959, pp. 15-18.

CAMPANARI S., Tuscania e i suoi monumenti, Montefiascone, 1856, tom. I, pp. 119-120.

LISOTTI B., Gli arredi scolpiti inediti altomedievali dell’abbazia di San Giusto a Tuscania: il ciborio e la recinzione presbiteriale, in “L’arredo liturgico fra oriente e occidente”, Silvana Editoriale, Verona, 2021, pp. 244- 251.

RASPI SERRA J., Tuscania: cultura, ed espressione artistica di un centro medievale, Electa, Roma ,1971, pp. 17-36.

TURRIOZZI F. A., Memorie istoriche della città di Tuscania, Roma, 1778, pp. 9 e 55.

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Written by : Redazione

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