Poichè nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, non è possibile cancellare in una manciata d’anni la memoria di secoli di precisa suddivisione di campi agricoli e militari, città, strade, acquedotti, politica, complesso sacerdozio e corporazioni di mestiere in virtù dei quali l’Impero Romano d’Occidente lascia un’impronta indelebile nella storia dell’umanità. Andando indietro nel tempo, possiamo ricordare di come mutò tutto il mondo allora conosciuto. Ciò che pareva inalterabile, e per molti secoli lo era stato, si trasformò in un tempo relativamente breve, come mai gli abitanti dell’epoca avrebbero creduto possibile.

Anche voi ricordate? L’anno che sancisce la caduta dell’Impero Romano d’Occidente è il 476 d.C., ma la complessa trasformazione sociale e culturale di tutta l’Europa avviene seguendo il dipanarsi nel tempo di eventi forse unici nella cultura occidentale. Tornando indietro nei secoli proviamo a rivivere, con una certa fatica riassuntiva, gli avvenimenti salienti relativi al primo Medioevo.

Fig. 1 – Corona della regina Teodolinda

Dal 476 d.C. al 568 d.C. circa l’invasione longobarda divide l’Italia politicamente ma anche stilisticamente. I Longobardi, inizialmente una casta militare di origine germanica rigidamente separata inizialmente dalla schiatta latina, ci lasciano una testimonianza artistica sorprendente. Tra gli esempi più interessanti citiamo il Tempietto longobardo di Cividale del Friuli e la vasta tradizione di oreficeria assai caratterizzante della popolazione longobarda quale il tesoro della Regina Teodolinda conservato nel Duomo di Monza.

Dall’VIII secolo in poi, sulla penisola, ai Longobardi succedono i Franchi, che danno vita al periodo detto Carolingio, dal celeberrimo imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo Magno, il quale recupera l’impianto dell’impero nella vasta area dell’Europa centrale, adottando un poetica artistica nuova che mantiene tuttavia salda la connessione con l’idea imperiale romana, innestandola agli elementi nati in seno alla mescolanza delle popolazioni barbariche che si susseguono nella penisola ed in Europa.

Fig. 2 – Uno dei mosaici del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna

In questo succedersi di eventi non va dimenticata, inoltre, la tradizione ancora fortemente radicata all’arte bizantina figlia dell’Impero Romano d’Oriente, di cui possiamo ammirare le testimonianze fondamentali soprattutto a Ravenna, Venezia ed in Sicilia. Le cupole dorate, i mosaici, il Cristus Pantocràtor (busto del Cristo benedicente con le tre dita della mano destra, al modo ortodosso), la solennità dei santi e delle figure sacre alla cristianità di matrice mediterranea hanno ispirato artisti per tutti i secoli a venire, non ultima la tradizione del ‘900 italiano ed il pittore austriaco Gustav Klimt, il quale iniziò ad usare il fondo oro proprio dopo un viaggio a Ravenna.

Il seme assai complesso dell’arte medievale va ricercato dunque nel connubio unico nato dalla sovrapposizione di elementi bizantini, longobardi e franchi. I cosiddetti barbari erano già da tempo insediati all’interno della struttura sociale e, da un certo punto di vista, possiamo parlare di un’operazione di fusione più che di taglio netto. Dal V secolo d.C. per una durata approssimativamente di 1000 anni, in un contesto culturale e stilistico estremamente vasto e vario, nasce il Medioevo che si può così considerare la cerniera tra l’arte classica e l’evo moderno di cui si sentirà il vagito nell’Umanesimo, manifestazione primeva del Rinascimento agli albori del XV secolo.

Se nella concezione dell’arte romana risultava fondamentale l’ideologia imperiale di unità e di supremazia della capitale sulla periferia, la diluizione ed il decentramento dei poteri politici del periodo in esame portarono ad un’espressione del senso trascendente del divino in un’arte che deve rendere visibile e finito ciò che è invisibile e infinito.

Ed è proprio il Medioevo, inoltre, che vive a livello urbanistico un’evoluzione dello spazio antropico, ovvero dello spazio che l’uomo trasforma per il proprio insediamento, tra le più complesse ed affascinanti della storia ad ora conosciuta. La città fortificata romana, il castrum, si riempie e la fortificazione difesa da mura diventa rifugio sicuro da un mondo dove le regole base della civiltà definite in maniera precisa e militare dall’Impero romano mutano velocemente. I bastioni delle città si irrobustiscono in fortilizi, castelli, roccaforti entro i quali difendersi dalle possibili scorrerie agresti di popolazioni le cui intenzioni rimangono spesso il saccheggio, condizione che permane all’ombra di governi sovente malfermi ed instabili.

La casa del Signore (cioè il domus/Duomo) diventa allora il riparo all’interno del quale la popolazione si abbevera alla mistica fontana della fede e dell’elevazione, aspetto della filosofia di vita medievale contemporaneamente impegnata nella trascendenza e nella necessità di sopravvivenza.

Le maestranze di costruttori, di cui parleremo ampiamente nei prossimi articoli, i Magistri Cumacini, i Maestri Campionesi, i Compagnons francesi, gli Antelami, i Cosmati nell’area laziale sono allora i nuovi monaci laici, i Framassoni (= Fratelli muratori) che, in possesso della capacità più importante in epoche difficili, cioè la costruzione, diffondono i canoni dello stile che verrà ripreso dall’arte sacra borgognona e normanna, riesportato poi in Puglia.

Fig. 3 – Editto di Rotari

I Magistri Cumacini, testimoniati fin dall’Editto di Rotari del 22 Novembre del 643 d.C. si possono considerare gli eredi delle antiche corporazioni di età romana consacrate al dio Giano, patrono dei costruttori di templi. Essi recuperavano gli elementi preesistenti quali le colonne, i poderosi conci degli edifici pubblici imperiali, le gradinate dei palazzi, le formidabili arcate dell’ingegneria romana e li ricomponevano nella nuova forma di architettura dell’Alto Medioevo.

La leggenda narra che i costruttori membri delle corporazioni medievali, i quali si muovevano in Europa, vestissero gli indumenti adatti sia al cantiere sia al viaggio, portando con sé la bisaccia contenente gli strumenti dell’opera. Questo modo di abbigliarsi, legato all’operatività di mestiere, sarebbe stato considerato come il saio o la tonaca tanto era ritenuto sacro il lavoro del costruttore.

Ad oggi possiamo ancora considerare queste maestranze i veri eredi della tradizione antica, che traghetta l’arte di costruire il tempio e la casa nel perdurare del Medioevo?

Scopriamolo insieme nel prossimo articolo.

Giovanni Antonio Bassoli

Per approfondire:

AROSIO E., BENFANTE E., CARIONI L., GANDOLA O., GUZZETTI G., MAGGIOLINI A., PAPAVASSILIOU P., TOSI P., I Magistri Comacini nella storia e per lo sviluppo del Lago di Como e della Valle d’Intelvi, Sheiwiller editore, Milano 2006.

CHASTEL ANDRÈ, Storia dell’arte italiana, Laterza, Roma-Bari 1983.

DIONIGI RENZO, I segni dei lapicidi, Diakronia, Vigevano 1996.

SGARBI VITTORIO, Storia Universale dell’Arte, Mondadori, Milano 1988.

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Written by : Redazione

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