‹‹Fili de le pute, traite!›› (Figli di “buone donne”, tirate!). Questa frase, opportunamente parafrasata, potrebbe essere stata pronunciata ai nostri giorni da un italiano spazientito, magari intento a dirigere un gruppo di lavoratori sfiancati dalla fatica. E invece, si trova incisa su uno degli affreschi della Basilica di San Clemente (Roma). Non è un segno di vandalismo, bensì una delle primissime testimonianze, risalente all’XI sec., del volgare italiano. 

Procedendo lungo la navata centrale della Basilica inferiore, è possibile ammirare, tra i diversi affreschi riportati alla luce solo a metà del Novecento, la raffigurazione di un episodio tratto dalla Passio Sancti Clementi (Passione di San Clemente), incentrata sulla passione del quarto papa della Chiesa. I prodigi di San Clemente si intrecciano alla storia di un pagano, Sisinnio, il quale, nel seguire segretamente sua moglie Teodora, convertita al cristianesimo, assistette alla celebrazione della Messa da parte del Santo, diventando cieco e sordo. Spinto dalla disperazione di Teodora, San Clemente pregò per l’uomo, il quale guarì improvvisamente. Scettico, Sisinnio accusò il Santo di aver utilizzato su di lui delle arti magiche e dunque ordinò ai suoi servi di legarlo e condurlo al martirio. 

A questo punto, racconta la passio, avvenne un episodio prodigioso: tra i legacci Sisinnio ed i suoi uomini non trovarono San Clemente, bensì una colonna. Il miracolo si era compiuto e da qui l’iscrizione latina presente nell’affresco incorniciata tra due archi: ‹‹Duritiam cordis vestris saxa traere meruistis›› (ovvero “per la durezza del vostro cuore meritaste di trascinare i sassi”). 

Fin qui tutto procede come ci aspetteremmo da un ciclo di affreschi dal carattere agiografico: le parole di ammonimento del Santo suonano come una massima solenne pronunciata rigorosamente in latino. Eppure, lungo l’affresco sono incise bizzarre battute che, proprio come se si trattasse di un fumetto, sono iscritte al fianco del personaggio che le pronuncia. Addirittura, nel caso del pagano coprotagonista di questo episodio sono accompagnate da una didascalia, “Sisinnio”, che ne chiarisce ulteriormente la paternità. Eccole riportate, procedendo da sinistra verso destra: 

Fàlite deretro co lo palo, Carvoncelle!
Albertel, Gosmari, tràite!
Sisinium: fili de le pute, tràite!
Datti da fare da dietro con il palo, Carvoncelle!
Albertel, Gosmari, tirate!
Sisinnio: figli di “buona donna”, tirate!

Nonostante si tratti di espressioni rudimentali, ancora particolarmente vincolate all’origine latina, è facile comprendere quale sia il loro significato. I servi, Carvoncelle, Albertel e Gosmari si incitano a vicenda a trascinare la colonna che, prima che potessero accorgersene, aveva rimpiazzato il corpo di San Clemente. Sisinnio intima loro di tirare, riempiendoli di epiteti tutt’altro che cortesi. 

Al di là di quella che era la funzione narrativa con la quale tali iscrizioni sono state concepite, ad oggi non possiamo che apprezzarne la forma, in quanto si tratta di una delle primissime testimonianze del passaggio dal latino al volgare (si pensi che risale al 1078-1084). Possiamo notare, ad esempio, la comparsa degli articoli determinativi (lo e le) assolutamente assenti in latino e che in queste iscrizioni, per di più, testimoniano un passaggio intermedio del processo di formazione delle preposizioni articolate: l’unione di cum + illum e de + illae che ha portato ai nostri col e delle qui non è ancora completa, ma presente in forma “analitica”, quindi separata. Inoltre nel caso di fili de le pute subentra la realizzazione del complemento di specificazione con preposizione di al posto del genitivo latino. 

Ma com’è possibile che iscrizioni di questo tipo appaiano sulle mura di una Basilica? Si tratta dell’atto di consapevolezza della diffusione di una nuova lingua compiuto dagli ordini religiosi del tempo, come quello benedettino che commissionò, appunto, l’affresco. Al latino, che resterà lingua esclusiva della Chiesa fino al Concilio Vaticano II (1962-1965), si affianca il volgare in una sorta di strategia culturale che rappresenta anche il simbolo di apertura dell’ordine ai laici. La scelta del volgare risulta funzionale anche da un altro punto di vista, legato al fatto che sicuramente non a caso gli enunciati in volgare sono affidati proprio alle bocche di Sisinnio e dei suoi servi. L’intenzione è quella di mantenere i due piani ben distinti: da un lato il Santo, il quale si esprime in latino, dall’altro i pagani ed il loro volgare. 

Incredibile pensare quanta storia abbia accompagnato la nascita e l’evoluzione della nostra lingua. Un processo segnato da spontaneità e risvolti pratici, immagini…e qualche parolaccia. 

 

Sara D’Agostino

Per approfondire:

CELLA ROBERTA, Storia dell’italiano, Il Mulino, Bologna, 2015
D’ACHILLE PAOLO, Breve grammatica storica dell’italiano, Carocci editore, Roma, 2019
Sito ufficiale della Basilica di San Clemente

 

 

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Written by : Redazione

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