Il canto di cui parliamo oggi è il cosiddetto “Canto di Vigilia”, nonché il XXVII del Purgatorio, secondo regno dantesco, in cui avviene la purificazione dell’animo umano e la conseguente possibilità di elevarsi al cielo ed in prossimità di Dio. Ci troviamo nella VII cornice, in cui si sconta il peccato capitale della lussuria, tra i lussuriosi appunto, colpevoli di eccessivo abbandono al piacere sessuale.
A procedere in questo canto sono Dante, il maestro Virgilio e Stazio, poeta latino vissuto nell’età dei Flavi, nativo di Napoli e figlio di un grammatico e maestro di retorica; Dante lo introduce nel XXI canto del Purgatorio, tra i penitenti che scontano il peccato di prodigalità. Sarà Stazio, che completando il suo percorso di redenzione, accompagnerà Dante alle soglie del Paradiso Terrestre.
È un canto che si considera diviso in tre grandi tempi: il primo in cui si narra del passaggio del muro di fuoco, necessario è il suo attraversamento per raggiungere l’ultima scala; il secondo descrive invece la notte, il riposo, presagi e un sogno; il terzo è dedicato al congedo della cara guida, Virgilio, che sulle soglie del Paradiso Terrestre, saluta il suo discepolo.
È la notte tra martedì 12 aprile e mercoledì 13 aprile del 1300. Prosegue l’azione del canto precedente, Dante è colto da un terrore fisico, irrazionale, potremo considerarlo addirittura personale tra debolezze e fragilità, atterrito dall’idea di dover attraversare le fiamme, contro il quale non valgono le rassicurazioni di Virgilio e Stazio, i quali ricordano all’anima in pena che in Purgatorio nulla duole, nulla uccide. Difatti, il solo nome che vince le sue paure è quello di Beatrice, Virgilio ricorda Dante che per rivedere la sua amata, dovrà superare obbligatoriamente le fiamme. Al nome di Beatrice Dante si rianima e segue senza paura Virgilio, non prima che questi lo abbia canzonato e deriso come farebbe un padre con un bambino che fa i capricci. A guidare i tre poeti è la voce di un angelo, l’angelo della castità, che sta dall’altra parte, seguendo la quale essi escono dalla cortina di fuoco. Solo a questo punto, che prosegue per gran parte del canto, la storia del Purgatorio si è conclusa.
Inizia l’ascesa lungo la scala che conduce al Paradiso Terrestre, salita che però deve interrompersi per il sopraggiungere della notte durante la quale, come già nelle due precedenti occasioni, Dante farà un sogno rivelatore. La protagonista è una giovane e bella fanciulla che raccoglie fiori, quasi a simboleggiare la tranquillità dell’animo adesso raggiunta, lontano da drammi, debolezze e paure; ella è Lia, sorella di Rachele, che nell’esegesi biblica è noto simbolo della vita contemplativa. L’atteggiamento di Lia anticipa per molti versi quello di Matelda, la donna che Dante incontrerà nel canto successivo, che riassume l’atteggiamento delle due sorelle, lei è la reale abitatrice dell’Eden.
Qui ora sorge l’aurora, le tenebre intorno fuggono, vi è chiarezza, la luce divampa e si annuncia il chiaro compimento del percorso. Si descrive l’arrivo dei tre poeti in cima alla scala e alle soglie del Paradiso Terrestre, momento tanto atteso, primo momento di Dante, ultimo di Virgilio che con un solenne discorso si congeda dal suo discepolo. Il maestro incorona il discepolo come signore di sé stesso, il suo arbitrio è finalmente “libero, dritto e sano”.
Negli ultimi passi del canto Dante, dinanzi alla bellezza ridente dell’Eden, non può fare altro che rassegnarsi alla dolorosa e angosciante separazione dal suo caro e sommo Virgilio che dichiara “dov’io per me più oltre non discerno” e proseguire libero e sicuro la sua ascesa.
Lorena La Tela
Per approfondire:
E.G. Parodi, La Divina Commedia poema della libertà dell’individuo e il canto XXVII del Purgatorio, Dante, Raccolta di studi, Gorizia 1921.
La Divina Commedia-Purgatorio di Dante Alighieri, commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Oscar, Mondadori Libri.