La donna guerriera, la valchiria o la shieldmaiden, che tanto ci affascina appartiene principalmente al mondo degli eroi e delle divinità, cantate nei testi medievali e spesso riproposte in romanzi, videogiochi e serie televisive.

Oggi voglio invece gettare uno sguardo alla dimensione più quotidiana e comune della vita della donna nella Scandinavia e nell’Islanda del periodo medievale.

L’aura di libertà che circonda la donna del mondo nordico è in parte una proiezione moderna: nel momento in cui guardiamo ad una delle istituzioni fondanti della società come il matrimonio, l’immagine che si delinea è alquanto differente, come vedremo a breve.

I principali testi che ci presentano il matrimonio prima dell’avvento del cristianesimo sono le raccolte di leggi e le saghe degli islandesi, le íslendingasögur – va precisato che all’interno del vasto insieme di testi denominati saghe, la rappresentazione della donna varia molto a seconda dei sottogeneri, e allo stesso modo aumenta o diminuisce la veridicità dell’immagine che ci restituisce.

Le donne forti e indipendenti che troviamo nelle saghe degli islandesi, in particolare si guardi la Laxdæla Saga, sono frutto sia della realtà storica in cui nascono questi scritti, ma anche di una idealizzazione letteraria.

Tornando all’istituzione del matrimonio, iniziamo sottolineando che a muovere i primi passi è una figura maschile, si tratti del futuro sposo o del padre di quest’ultimo.

Il fidanzamento era quindi un contratto tra due uomini, dove lo sposo prometteva una cifra conosciuta come “il prezzo della sposa”, il mundr in antico norreno, per ottenere la mano della fanciulla.

In cambio, il padre della sposa o colui che l’aveva sotto la propria protezione, dopo aver dichiarato il suo diritto di darla in sposa prometteva di versare al matrimonio una dote, l’eredità della donna.

Il matrimonio si celebrava solitamente entro il compiersi dell’anno successivo, nella casa di uno dei due sposi, ed i festeggiamenti duravano vari giorni. Per essere considerato valido agli occhi della legge, almeno sei testimoni dovevano vedere gli sposi dirigersi al talamo nuziale.

In tutto ciò, l’opinione della donna purtroppo aveva scarsa rilevanza: come nel resto dell’Europa, medievale ma non solo, il matrimonio era uno strumento per forgiare alleanze e per placare faide, mosso spesso da motivazioni economiche.

A dispetto di tale pratica, per noi arretrata, esistevano però possibilità tuttavia più vicine all’ideale di indipendenza femminile che spesso si associa alle popolazioni germaniche del nord Europa: esisteva infatti il divorzio, che, sebbene pare non fosse comune, poteva essere richiesto anche dalle donne e prevedeva che il coniuge si dichiarasse divorziato di fronte a testimoni.

Una volta sciolto il vincolo matrimoniale, era possibile risposarsi, e accadeva frequentemente in tempi brevi.

Le leggi islandesi si esprimevano contro la bigamia, ma più saghe raccontano di uomini di potere e re che avevano diverse mogli. Finanche nel Medioevo centrale che vede il diffondersi del cristianesimo.

Con l’avvento del cristianesimo ci furono inevitabilmente dei cambiamenti: il matrimonio in quanto sacramento non poteva essere dissolto, ma d’altro canto il consenso della sposa venne introdotto tramite le leggi canoniche continentali nel XII secolo.

La cerimonia nuziale veniva adesso svolta in pubblico, inizialmente di fronte all’ingresso della chiesa e poi all’interno, non più in una dimora, e il prete che officiava le nozze accompagnava poi la coppia al talamo, sottolineando lo scopo procreativo del matrimonio.

Rimanendo in tema, soffermiamoci brevemente su un aspetto della vita prettamente femminile: la gravidanza e il parto.

Le possibilità di sopravvivenza della puerpera dipendevano, com’è naturale dedurre, dalla sua condizione sociale in quanto fattore determinante di agi, nutrizione, aiuti a disposizione e condizioni di vita in generale.

Tuttavia, bisogna considerare anche che le donne di alto rango, appartenenti a famiglie reali, potevano incorrere in maggiori rischi per via della giovane età in cui venivano date in sposa.

Antiche leggi svedesi e islandesi prevedevano inoltre che l’indennizzo dovuto per l’uccisione di una donna incinta fosse il doppio del valore che era necessario risarcire per altri omicidi, indipendentemente dal sesso del defunto.

Nel XV secolo appare nelle fonti la figura della levatrice in quanto persona specializzata nell’assistenza alle partorienti. Nel basso Medioevo era praticato anche il parto cesareo, nonostante la Chiesa lo avesse proibito.

Legata al parto era la festività chiamata kvindegilde. Dal XIII secolo al XIX si celebrava il superamento del parto con brindisi, danze e un generale atteggiamento di beffa nei confronti del genere maschile.

Un’altra celebrazione femminile legata al parto, di natura questa volta religiosa e cristiana, ricorreva al termine del periodo di ripresa della donna ed era detta kirkegang (letteralmente “andare in chiesa”).

Il mondo delle donne certo non si limitava alla sfera domestica: si tratta di un universo vasto e complesso che non potevo riassumere per intero in un solo articolo.

Altrettanto complicata e grande è la letteratura antico norrena che, in diverse forme, ci ha tramandato donne memorabili: tante storie che racconteremo lungo il nostro viaggio nel Medioevo.

 

Valérie Morisi

 

Per approfondire:

JACOBSEN GRETHE, Pregnancy and childbirt, in Medieval Scandinavia: An Encyclopedia, edited by Philip Pulsiano and Kristen Wolf, Routledge, London 2007, p. 516.

JOCHENS JENNY, Marriage and divorce, in Medieval Scandinavia: An Encyclopedia, edited by Philip Pulsiano and Kristen Wolf, Routledge, London 2007, pp. 408-410.

JOCHENS JENNY, Women in Old Norse Society, Cornell University Press, New York 1995.

Laxdæla Saga, a cura di Silvia Cosimini, Iperborea, Milano 2015.

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Written by : Redazione

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