Quando Boccaccio torna Firenze con il padre tra il 1340 e il 1341 si dedica alla stesura di gran parte delle sue opere in volgare, tra queste l’Elegia di Madonna Fiammetta. Si tratta di un romanzo in prosa che narra la storia di una donna sposata senza amore e poi abbandonata, che introduce per la prima volta nella letteratura l’analisi dei sentimenti e degli stati d’animo tutti al femminile. La novità assoluta dell’opera è che l’io narrante è una donna, proprio la donna che porta il nome dell’amata dall’autore, e che infine prende la parola per scrivere in prima persona il suo romanzo.
La storia si avvale di un punto di vista assolutamente inedito nella letteratura volgare per allargarsi ad analizzare i sentimenti e le emozioni opposte allo stile di vita richiesto nella società medievale. Fiammetta, bella e giovane nobile napoletana, felicemente sposata e soddisfatta della sua vita si reca alla messa per una festa solenne e li è vittima di una violenta attrazione/passione per un giovane uomo fiorentino di nome Panfilo. I due iniziano una relazione di grande coinvolgimento passionale finché Panfilo, richiamato a Firenze dal padre, parte, lasciandola priva di ogni interesse verso la vita, se non fosse che per un certo periodo Fiammetta resta fiduciosa in attesa del ritorno del suo amato. Purtroppo però le giungono notizie di un imminente matrimonio del giovane, rivelatesi poi false, che la portano a tentare il suicidio: tuttavia Panfilo non torna e non tornerà, perché ama ed è riamato da un’altra donna. Fiammetta così è costretta in un matrimonio infelice e solo la letteratura le viene incontro, sia nel porgerle i casi simili al suo di donne abbandonate dei loro amanti e sia nell’offrirle la possibilità, con il narrare la propria storia, di sfogare le lacrime e di soccorrere e ammonire le altre donne che corrono il rischio di un esito amoroso triste simile al suo. Grazie a questo romanzo Boccaccio trova il modo di raccontare la compassione e la condivisione della sofferenza amorosa fra le donne del Medioevo: il romanzo è come una lunga epistola rivolta alle donne presentata come una confessione sincera espressa dalla propria esperienza di felicità e poi di disperazione.
Secondo la critica Fiammetta rappresenta l’autore, essendo, nella finzione narrativa, effettivamente Boccaccio stesso che può essere sia colui che è stato abbandonato e chi abbandona per tornare a Firenze. Si potrebbe trattare di un gioco di alter ego, che non fa che complicare le possibili chiavi di lettura di un testo tutto nuovo dalla conclusione tragica: a Fiammetta è impedita sia la morte per amore, sia l’uscita dal proprio dramma esistenziale che potrebbe risolversi solo a condizione del ritorno dell’amato Panfilo (cosa che però non avverrà mai). Qui si pone il punto di svolta che si ritroverà poi nel Decameron: le donne a cui una giovane donzella afflitta dall’amore si rivolge saranno le stesse “gentilissime donne” destinatarie al capolavoro del Boccaccio. Le donne gentili e innamorate sono le stesse donne che “hanno l’intelletto d’amore” a cui si rivolse Dante per la sua poesia in lode a Beatrice. Questo è il nuovo pubblico di Boccaccio, un vero pubblico privilegiato.
Martina Michelangeli x Medievaleggiando