Chi di voi conosce Federico II di Svevia? Probabilmente tutti. Chiamato il Puer apulie, lo stupor mundi o lo Svevo, fu re di Sicilia e ultimo sacro romano imperatore, prima di un lungo e confusionale interregno. La sua figura storica fu talmente imponente da indurre Ovidio Capitani, celeberrimo medievista della passata generazione, a considerare il 1216 – anno dell’incoronazione di questo straordinario sovrano- come fine del Medioevo, almeno per la penisola (in Storia dell’Italia Medievale 410-1216, Capitani 2004). Una figura così predominante non poteva che alimentare il suo stesso mito, che ha ingessato la sua vera Storia; le ideologie politiche del secolo scorso ne hanno influenzato il giudizio in maniera notevole ma, come sosteneva Benedetto Croce in Teoria e pratiche della storiografia, ogni storia è, ovviamente, storia contemporanea, aspetto che sembra doveroso ricordare, per non cadere in biechi tentativi di rivendicare una presunta “verità storica”.
Il mito di questo imperatore si crea, in un certo senso ancor prima della sua stessa nascita. Complice di questa situazione è, ovviamente, il periodo cruciale che gli uomini e le donne vivono tra il XII ed il XIII secolo, carico di attese messianiche.
La costruzione del mito proseguì e si accentuò durante il culmine dello scontro tra il Papato e l’Impero nel corso del 1200. L’immagine di Federico II fu contornata da una serie di dicerie provenienti dagli ambienti a lui compiacenti, contrapposta a quella nera, costruita ad arte per volontà dell’abilissima macchina di propaganda papale che accusò lo Svevo di eresia e di impersonificare l’Anticristo.
Il mito ovviamente si alimentò, senza soluzione di continuità, dopo la sua morte fino ad entrare nella prima epoca moderna e poi al periodo illuministico. In questa fase della nostra Storia, caratterizzata da scontri razionalistici ed eruditi piuttosto che escatologici come nel ‘200, il mito si laicizza. Infatti, nel XVII secolo, il filosofo e giurista Pietro Giannone (1676-1748) così come lo scrittore e storico Voltaire (1694-1778) consideravano lo Svevo come colui che poneva al centro del proprio progetto politico uno stato assolutistico, ed il paladino dell’anticlericalismo di matrice settecentesca; quindi era, secondo la loro lettura, il campione del giurisdizionalismo e l’antesignano del sovrano illuminato. Questi pensatori quindi, ricercavano i prodromi del moderno, in un periodo considerato oscurantista. Anche Johann Goffried Herder (1744-1803) fu dello stesso avviso, marcandone l’impegno culturale (Leggere l’articolo “Alla ricerca della conoscenza: “La sete di sapere di Federico II“) e sostenendo che aveva dato vita a molte università come quella di Napoli, ricordando quella di Bologna, oltre che nutrire un ottimo rapporto con gli Arabi (è importante precisare che la storiografia attuale non sarebbe completamente d’accordo con queste affermazioni!).
Ma non tutti coltivavano un certo interesse per la figura di Federico, come accadde per Wolfgang Goethe, che in un aneddoto riportato nel suo saggio Viaggio in Italia (1787) ci racconta che quando, arrivato a Caltanissetta, si ritrovò con dei notabili del posto e questi gli chiesero di conversare su Federico II, lui iniziò a parlare di Federico il Grande di Prussia, morto poco prima. Questo episodio è importante per capire che l’interesse verso la figura del nostro imperatore era mutato già all’epoca e, per lo scrittore tedesco, poco importava rispetto al sovrano Prussiano.
Il mito e le riflessioni sullo Svevo continueranno nel corso del tempo, fino ad approdare ai giorni nostri ma, di questo, vi parleremo la prossima volta!
Andrea Feliziani
Per approfondire:
BRANDO MARCO, L’ Imperatore nel suo labirinto. Usi, abusi e riusi del mito di Federico II di Svevia, Tessere, 2019.
DI CARPEGNA F. TOMMASO, Medioevo Militante. La politica di oggi alle prese con barbari e crociati, Einaudi, 2011.
DELLE DONNE FULVIO, Federico II, la condanna della memoria. Metamorfosi di un mito, La Viella, 2012.