Noi di Medievaleggiando abbiamo avuto il piacere e l’onore di poter intervistare la professoressa Eleonora Plebani. La docente svolge l’attività di ricercatrice presso l’Università di Roma La Sapienza; i suoi studi si concentrano sull’Italia del Quattrocento, un periodo assai complicato e ricco di vicende “piccanti” che tanto animano il panorama cinematografico e librario odierno. Nello specifico la professoressa Plebani si occupa della storia urbana basso medievale, focalizzandosi su Firenze e sui suoi rapporti con Roma, non solo commerciali ma anche istituzionali.

 

1)Innanzitutto ringraziamo la professoressa per averci concesso questa intervista. Iniziamo con una domanda semplice, perché ha deciso di studiare storia medievale? Cosa l’affascina maggiormente di questo periodo storico?

 

La scelta dell’indirizzo di studi (nel vecchio ordinamento quadriennale esistevano, infatti, solo quattro Corsi di Laurea ciascuno con un corposo numero di indirizzi) è arrivata durante il mio primo anno alla Sapienza. L’idea iniziale sarebbe stata quella di seguire la strada dell’Italianistica, ma ho iniziato contemporaneamente a frequentare le lezioni di Storia medievale e di Letteratura italiana e ho deciso diversamente. Non certo per demerito del docente, ma

perché il Medioevo che andavo scoprendo giorno dopo giorno non era quello scolastico, bensì un altro mondo. Duro, complesso, difficile da comprendere in un primo momento, ma straordinariamente affascinante. Ho capito che, per “leggere” correttamente il mio tempo e il mio mondo dovevo risalire alle sue radici e quelle radici allungavano le loro ramificazioni proprio fino al Medioevo.

 

Dell’Età di mezzo mi affascinano ancora le sue tante trasformazioni, il fatto che sia l’unica epoca storica la cui genesi sia stata a propria volta storicizzata grazie all’evoluzione del pensiero europeo che, per secoli, si è interrogato sulla formazione del Medioevo, mi affascina l’idea che non esista un solo Medioevo, ma tanti “Medievi” che si susseguono fino ad aprire la strada alla Historia nova, come Keller definiva la Storia moderna. Studiare il Medioevo è come svelare gli strati di un palinsesto, ogni volta in cui la superficie è superata si scopre un altro testo e poi un altro ancora e quello che si porta alla luce non delude mai perché ci sono sempre nuovi significati che le fonti ci comunicano, spesso nuove letture per interpretare in modo inedito eventi apparentemente notissimi, un passato, insomma, che può diventare eterno presente. 

 

2)Ogni studente prima e ogni docente poi ha un suo mentore, un professore da cui è ispirato e instradato sulla via della ricerca storica, ci vuole raccontare la sua esperienza universitaria attraverso il suo o i suoi Maestri?

 

Sotto il profilo disciplinare e personale il mio Maestro è stato il Prof. Ludovico Gatto che, per primo, mi ha fatto conoscere il Medioevo e ha favorito la mia scelta di dedicarmi alla medievistica. Ma non è stato soltanto questo; a lui devo il gusto della narrazione come indivisibile compagna di viaggio di qualsiasi ricerca scientifica, da lui deriva la curiosità di spaziare, talvolta, in ambiti e in temi diversi rispetto a quelli più di frequente praticati, da lui ho imparato che l’attività di ricerca è inscindibile dall’insegnamento e ancora da lui ho appreso che la storia può diventare un viaggio che è bellissimo affrontare insieme con gli studenti. Non solo questo, anche se già è molto. Mi ha insegnato tutto quello che attualmente so del nostro entusiasmante lavoro, mi ha insegnato l’amore per l’indagine storica e le regole scientifiche per trasferirla sulle pagine, mi ha fatto capire che l’odore dei manoscritti non può essere mai disgiunto dall’odore della carta dei libri perché i testimoni del passato devono sempre essere vivificati dalle interpretazioni degli storici, mi ha insegnato il metodo storico e mi ha fornito gli strumenti per metterlo in atto e mi ha fatto comprendere, soprattutto, che nessuno studio – neppure il più prestigioso – ha valore se non diventa un ponte tra chi lo realizza e chi lo leggerà perché la cultura, quella vera, non è solo accademia, bensì disseminazione delle conoscenze. Vorrei ricordare, però, altri due Maestri, anche se non strettamente legati ai miei interessi scientifici: il Prof. Bruno Luiselli, straordinario docente di Letteratura latina che con il Prof. Gatto condivideva non solo l’amicizia personale, ma anche la capacità di far scomparire tutto il resto del mondo quando svolgeva le sue lezioni e il Prof. Agostino Lombardo, docente di Letteratura inglese, per il quale non ci sono aggettivi che possano descrivere il suo magistero. Aveva anche lui la rara capacità di portare i suoi studenti dovunque andasse l’argomento delle sue lezioni, facendoci perdere il senso del tempo e dello spazio e lasciandoci sempre desiderosi di continuare, di andare avanti, di non lasciare quei mondi così lontani, ma che grazie alla spiegazione diventavano così familiari e vicini. Ecco, da tutti loro, nella mia esperienza universitaria, ho cercato di apprendere e di applicare il metodo di analisi, di interpretazione critica, di lettura e di restituzione dell’oggetto del mio studio. Si parva licet componere magnis, ovviamente, ma cercando sempre di stimolare e di essere stimolata dall’unica vera motivazione che, da millenni, fa progredire il sapere: la sete di conoscenza.

 

3)Come abbiamo scritto nella presentazione, Lei si occupa dell’Italia del Quattrocento, uno dei periodi della storia fra i più intricati, poiché in quel contesto si dipanano una serie di trame e sottotrame a livello politico, istituzionale, militare etc. che non sempre sono facili da ricostruire. Quindi vorremmo sapere se esiste un “trucco”, un modo per districarsi al meglio nello studio del Quattrocento italiano?

 

Domanda difficilissima!!! No, non esiste nessun trucco, ma solo l’umiltà di capire che un quattrocentista non può occuparsi di tutto il Quattrocento, sia in senso spaziale e sia in senso temporale. Tutti i secoli bassomedievali sono caratterizzati da una bipolarità cronologica che ha nella metà, circa, del secolo e in uno o più precisi avvenimenti il suo punto di svolta, nonché la causa di una serie di cambiamenti. Nel XII sec. l’elezione di Federico I Barbarossa che influenzò in profondità la storia delle città italiane, nel Duecento la morte di Federico II di Svevia che rappresentò il primo, determinante momento di rielaborazione e di trasformazione dell’idea stessa di impero e del suo ruolo nella società cristiana, nel Trecento la Peste Nera, nel Quattrocento la Lega italica per la nostra penisola, la caduta di Costantinopoli e la fine della Guerra dei Cent’Anni rispettivamente per l’est e per l’ovest dell’Europa.

Ecco, per il Quattrocento studiare la prima o la seconda metà significa occuparsi di due periodi differenti, così come dedicarsi all’Italia o a uno qualunque degli Stati europei vuol dire prendere in considerazione sistemi e strutture profondamente difformi.

Per l’Italia, poi, il problema è ancora più complesso a causa della multiformità delle formazioni statali, delle differenze istituzionali, del dialogo politico tra i vari interlocutori che operavano in contesti con fondamenti parecchio eterogenei. Il “trucco” – se così vogliamo chiamarlo – è una vera e propria esigenza disciplinare: scegliere un periodo, un ambito e approfondirlo. La proiezione verso le altre formazioni statali segue di conseguenza nella contestualizzazione del proprio oggetto di interesse scientifico, soprattutto perché ci si rende facilmente conto che qualsiasi avvenimento era connesso con quelli coevi in una trama complessa di rapporti e di relazioni, di azioni e di conseguenze, in cui nessun fatto e nessun protagonista poteva pensare di poter intervenire senza che l’esito del suo operato avesse ricadute in contesti apparentemente distanti. Si possono sicuramente analizzare trasversalmente, anche in senso diacronico, alcune tematiche o alcune tipologie di fonti (la guerra, il problema degli eserciti mercenari, la corrispondenza diplomatica, la produzione documentaria, la legittimazione del potere e così via), però secondo me è fondamentale partire da un punto preciso per coltivare i propri interessi, studiarlo, approfondirlo e poi, dopo aver acquisito esperienza e conoscenze, cominciare ad allargare l’orizzonte.

 

4) Nel 2019 è stata pubblicata una sua monografia dal titolo I Consoli del Mare di Firenze nel Quattrocento (Sapienza Università Editrice 2019). Noi siamo abituati a pensare a Firenze come a un città dal dominio prettamente terrestre e spesso dimentichiamo che le merci prodotte o importate prendevano anche la via del mare, ci vuole fornire una breve spiegazione su questo argomento?

 

La magistratura dei Consoli del Mare aveva, in realtà, scopi non soltanto di natura economica, ma anche politica e di consolidamento dello stato territoriale fiorentino. La conquista di Pisa del 1406 aveva consentito a Firenze, tra l’altro, di acquisire uno dei più importanti scali portuali toscani, l’arsenale e la flotta. L’ingresso nel circuito delle potenze mediterranee e l’utilizzo dei contatti commerciali pisani in aree extraeuropee (il Maghreb hafside e l’Egitto mamelucco, ad esempio) sarebbero dovuti essere l’inizio di una nuova fase della storia mercantile fiorentina, oltre, naturalmente, a rappresentare, nei piani dell’oligarchia dominante (quella albizzesca, nella prima fase della storia del Consolato del Mare di Firenze), l’affrancamento dalla dipendenza da altre marinerie per il trasporto delle merci. Il progetto, proseguito con numerose modifiche dal governo mediceo, si rivelò tuttavia fallimentare per una serie di ragioni: la difficile sostenibilità economica, la costante commistione tra esercizio dell’azione politica e tutela dei propri interessi mercantili e bancari da parte della famiglia egemone che rese la linea di navigazione di ponente (quella forse più interessante) appannaggio pressoché esclusivo dei Medici, la scarsa attitudine all’attività marittima da parte dei Fiorentini, la presenza invasiva delle Arti, il ricorso sempre massiccio da parte dei mercanti di Firenze al noleggio di unità navali esterne, la mai definita sfera di azione e di competenze dei Consoli del Mare. Per tutte queste ragioni, alla fine del Quattrocento, il Consolato del Mare fu revocato. Il progetto fu recuperato in età granducale, ma quella è davvero un’altra storia.

 

5)Comunemente, quando pensiamo al Quattrocento, la nostra mente vola subito a Firenze, la città culla dell’Umanesimo e del Rinascimento, la città indissolubilmente legata a una delle più importanti famiglie italiane e dalla fama intramontabile: i Medici. Lei, nel corso dei suoi studi, ha toccato anche la storia di questa famiglia e perciò vorremmo chiederLe perché, a suo giudizio, rimaniamo ancora affascinati da loro?

 

Il fascino dei Medici, secondo me, risiede nell’eccezionalità della storia delle prime generazioni.

La capacità di seguire una linea continua e ininterrotta di promozione sociale senza forzare la mano con l’imposizione violenta della loro egemonia, la costruzione di una ricchezza familiare di proporzioni europee, la creazione di legami politici e amicali ai massimi livelli italiani e continentali senza manifestare, in una prima fase, alcun interesse precipuo per l’attività pubblica.

E poi il cambio di passo con Cosimo, un genio assoluto del radicamento del casato in tutti gli ambiti della vita fiorentina (istituzionale, mercantile, sociale, religioso) senza modificare apparentemente niente nell’assetto dello stato fiorentino, mantenendo inalterate le magistrature repubblicane, difendendo strenuamente la Florentina libertas e predisponendone, allo stesso tempo, il controllo dall’interno usando gli strumenti che la stessa struttura politica di Firenze gli metteva a disposizione. E poi l’amore per la cultura, per l’arte, per la letteratura, per la classicità così come per le straordinarie energie creative che il Quattrocento, unico forse tra i secoli dell’età post-classica, produceva e dispiegava con una prodigalità che tuttora toglie il fiato. L’evergetismo come instrumentum regni utilizzato all’interno di un reggimento repubblicano, il benessere dei concittadini come ufficiale scopo dell’azione politica, il consenso dal basso come pilastro fondamentale dell’egemonia familiare. Un’eredità che i successori di Cosimo, Lorenzo sicuramente molto più di Piero, accrebbero, ampliarono e consolidarono creando il mito di una famiglia che, pur tra ombre che la Storia in quanto scienza non può nascondere, ci hanno tramandato un lascito di luce sostanziata di tesori di inestimabile valore e di capacità politiche e diplomatiche di ineguagliabile grandezza.

 

6)Una delle figure di spicco della famiglia Medici è sicuramente Lorenzo di Piero de’ Medici, detto il Magnifico, una figura carismatica che, ancora oggi, risulta affascinante ai nostri occhi. Secondo lei perché? Ci vuole fornire tre aggettivi che, a suo parere, caratterizzano Lorenzo?

 

Penso che le grandi figure del passato destino tutte interesse, curiosità e, nella maggior parte dei casi, ammirazione. Siamo nani appollaiati sulle spalle di giganti, è ovvio che si subisca il fascino di chi ci ha preceduto. Lorenzo, in particolare, è una figura multiforme e difficilmente catalogabile: signore di Firenze, seppure senza alcuna titolarità ufficiale, mecenate, poeta, politico, diplomatico, mercante e banchiere. Come scriveva con la consueta lucidità Niccolò Machiavelli nelle sue Istorie fiorentine «si vedeva in lui essere due persone diverse quasi con impossibile congiunzione congiunte». La magnificenza di Lorenzo, infatti, derivava da uno strettissimo controllo delle istituzioni fiorentine, da una politica clientelare invasiva e costante, da un sempre più accentuato svuotamento delle magistrature repubblicane, dall’attuazione di una diplomazia parallela da lui gestita e affiancata – e spesso sovrapposta – a quella ufficiale. E ancora: l’uso della prodigalità, dell’accrescimento della grandezza di Firenze come indubbio omaggio alla città, ma anche come celebrazione dei Medici e di se stesso, del carisma personale come nucleo di aggregazione del consenso. Ma aveva una visione politica che nessuno dei contemporanei possedeva, non soltanto a tutela di Firenze e dei Medici, ma dell’intero sistema peninsulare; capiva perfettamente e con chiarezza che i pericoli per l’Italia venivano dalle grandi potenze europee, così come dagli Ottomani e, nel suo disegno, la logica dell’equilibrio non serviva soltanto a mantenere inalterati gli assetti italiani, ma anche a impedire che la debolezza degli stati della penisola rendesse l’Italia la porta per l’ingresso dei Turchi in Europa. Per raggiungere i suoi fini politici Lorenzo non si fece scrupolo di usare i figli e le figlie, il banco Medici, il patrimonio personale, consapevole che il destino di Firenze e, per esteso, dell’Italia e non solo, dipendeva dalla solidità della sua posizione. Ciò che accadde dopo la sua morte precoce gli diede totalmente ragione.

Perché non dovremmo sentirci tuttora attratti da un personaggio di tale levatura, complessità e straordinaria intelligenza? Guardandoci intorno, direi che sarebbe impossibile non esserlo. Descriverlo in tre aggettivi? Impresa improba e sicuramente inadeguata a rendere conto della sua personalità. Schematizzando al massimo direi: eclettico, scaltro, poliedrico.

7)Firenze e la famiglia de’ Medici, ultimamente, stanno diventando sempre più oggetto di rivisitazioni mediatiche, fra film, serie televisive e libri, ma non sempre ci troviamo di fronte a prodotti di buona qualità. Quanto, secondo lei, può essere deleterio un approccio “impreciso” ad un periodo storico così ricco di sfumature? E quanto è importante, come storico e docente, tenersi aggiornati su questi prodotti?

 

Personalmente sono sempre favorevole a operazioni di ricostruzione storica che spazino dal mondo dell’audiovisivo a quello della narrativa e capisco anche bene la necessità di adattare a un pubblico più vasto, anche di non addetti ai lavori, le grandi vicende storiche. Quindi, qualche concessione alla fiction e all’invenzione può anche essere legittima.

Ciò che non condivido è l’alterazione completa della personalità dei protagonisti, la creazione ex novo di vicende, il fraintendimento volontario dei rapporti fra i vari personaggi, l’arroganza di voler trattare in maniera del tutto disinvolta figure realmente esistite, donne e uomini che hanno contribuito a scrivere il nostro passato e a costruire il nostro presente e che, soprattutto nel caso dei Medici e delle loro straordinarie biografie, non hanno alcun bisogno di essere “addomesticati” e piegati alle ragioni dello spettacolo.

Quello che trovo deleterio è esattamente questo: l’indifferenza verso la Storia, verso i suoi protagonisti e verso i suoi comprimari e la volontà di credere – e di far credere – che tutto possa essere manipolato e inventato (anche l’ambientazione, i luoghi e gli spazi), in un gioco al ribasso che rende un pessimo servizio a operatori e a spettatori. Il risvolto positivo è tuttavia quello, forse, di aver suscitato curiosità: se anche pochi tra coloro che guardano o leggono quanto ultimamente è stato prodotto sui Medici decidessero di approfondire leggendo saggi scientifici e attendibili e quindi avvicinandosi correttamente all’argomento, uno scopo costruttivo sarebbe stato raggiunto. Sono anche convinta che, dopo aver rilevato le differenze tra il prodotto di massa e quello meno noto, i “curiosi” si renderebbero conto di quanto inutile, per ciò che concerne i Medici, sia romanzare la loro storia: il loro fascino risalta ancora di più analizzando le vicende così come si sono davvero svolte. Per gli storici e docenti ritengo sia un dovere deontologico aggiornarsi su ciò che proviene dal mondo dello spettacolo e della narrativa: per capire cosa debba essere rettificato, è necessario conoscere i prodotti, per indirizzare gli studenti verso strumenti corretti di conoscenza, è indispensabile avere contezza di ciò contro cui si stanno mettendo in guardia.  

8)Firenze vuol dire Medici, ma in realtà esistono tante famiglie che hanno contribuito a rendere grande la città; Lei in particolare si è occupata della famiglia Tornabuoni, in un libro I Tornabuoni. Una famiglia fiorentina alla fine del Medioevo (FrancoAngeli 2002), le andrebbe di spiegarci l’apporto di questa famiglia alla storia della città?

 

I Tornabuoni sono stati l’argomento della mia tesi di dottorato dalla quale, poi, è derivata la monografia citata. Sono una famiglia che definirei senza esitazione di comprimari, legati ai Medici da vincoli di parentela (la madre di Lorenzo il Magnifico era Lucrezia Tornabuoni), affari e politica, dai Medici dipendenti in termini di prestigio e di affermazione sociale e ai Medici lealmente fedeli dalle prime generazioni, sino alla dinastia granducale. Nacquero, come casato autonomo, molto tardi, alla fine del XIV secolo, staccandosi dal ceppo dei Tornaquinci allo scopo di allontanarsi dal gruppo dei Magnati e riuscire, in questo modo, ad avere accesso alle cariche pubbliche. L’adesione alla fazione medicea fu la cifra distintiva della politica familiare dei Tornabuoni che si inserirono precocemente all’interno del gruppo dei più stretti collaboratori dei Medici. Furono diplomatici e uomini di affari, ecclesiastici e mecenati e alcuni di loro non esitarono a sacrificare la propria vita per non tradire l’alleanza con i Medici. In un certo senso brillarono sempre di luce riflessa, però lasciarono a Firenze alcune testimonianze artistiche di grande bellezza: la cappella Tornabuoni nella Basilica fiorentina di Santa Maria Novella e il palazzo di famiglia, edificato dallo stesso architetto che costruì palazzo Medici. Oggi è tuttora visibile nella via che dalla famiglia prende il nome, anche se le trasformazioni ottocentesche ne hanno in buona parte alterato la struttura originaria.

 

9)Avviandoci alla conclusione di questa intervista rimangono un paio di domande da farLe. Il Medioevo rappresenta il nostro passato e spesso, per quanto risulti affascinante, si giudica anche inutile studiarlo, vorremmo sapere da lei il perché dobbiamo ancora impegnarci nello studio, nella decifrazione di questo periodo così sfaccettato?

 

Perché è sul Medioevo che si fonda in buona parte la civiltà occidentale come noi oggi la conosciamo. Dai macroproblemi (le strutture statali, la formazione culturale universitaria, gli assetti societari, l’economia su scala globale) alle questioni più prettamente italiane (le diversità tra le diverse aree del nostro Paese, l’importanza delle strutture locali, il campanilismo, la nostra cultura post-classica) il Medioevo è la base da cui dobbiamo partire. Quando si doveva decidere il nome per la moneta europea una delle proposte fu di recuperare il termine “fiorino” in onore del conio fiorentino che, nel basso Medioevo, diventò una vera e propria valuta continentale. C’è chi afferma che il Times New Roman, il font più utilizzato nella videoscrittura, derivi dalla carolina, la scrittura nata presso la Schola palatina di Carlo Magno. L’assegno, strumento finanziario contemporaneo, è il lontano discendente della lettera di cambio utilizzata massicciamente nel tardo Medioevo. La pandemia che ci ha colpito in questi ultimi mesi è stata immediatamente accostata alla Peste Nera di metà Trecento.

Insomma, non penso si possa comprendere davvero la società a noi contemporanea se non si abbiano basi solide di Storia medievale; il Medioevo non è l’età di decadenza che segue lo splendore della classicità e dal quale si riemerge alla luce con il Rinascimento. Il Medioevo è la fucina dove si forgiarono gli strumenti per costruire un mondo rinnovato, il Medioevo è la trasformazione dell’età antica in una diversa, fondata su basi nuove grazie all’apporto di energie differenti e venute da lontano, il Medioevo è il periodo in cui andò sviluppandosi la mentalità di cui siamo gli eredi. Senza conoscere il Medioevo non possiamo capire neppure noi stessi, né da dove veniamo e né, soprattutto, dove stiamo andando.

 

10)Un’ultima domanda, in questo caso molto facile, Le andrebbe di condividere con noi i suoi progetti futuri?

 

Nei miei progetti futuri ci sono ancora almeno un articolo dedicato all’attività marittima fiorentina e molte idee su argomenti attinenti la politica e la diplomazia della Firenze medicea e laurenziana. In particolare, intendo continuare ad approfondire la figura e l’operato di Pier Filippo Pandolfini – uno dei personaggi più vicini a Lorenzo il Magnifico – abile agente diplomatico accreditato presso la corte pontificia numerose volte al quale, presto o tardi, dedicherò una monografia. Poi esaminerò – per ragioni di convegni e giornate di studio – sia un momento specifico del pontificato di Niccolò V (gli anni finali del suo papato, quelli della pace di Lodi e della Lega italica) visto attraverso la testimonianza degli oratori fiorentini a Roma e sia le intersezioni tra le corrispondenze economico-mercantili e diplomatiche negli ultimi decenni del Medioevo. E poi ancora uno sguardo agli anni di papa Eugenio IV, in dettaglio il 1437, l’anno in cui Roma fu interessata da un’ondata di peste. Non escludo, infine, di riunire in un’unica pubblicazione monografica tutti gli articoli che ho già dedicato al pontificato di Eugenio IV. Insomma, tante idee nell’attesa che finalmente gli archivi e le biblioteche possano nuovamente aprire le loro porte in maniera non contingentata. 

 

Ringraziamo la professoressa Eleonora Plebani per averci dedicato il suo tempo.

 

Andrea Feliziani, Giulia Panzanelli

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Written by : Redazione

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