Siamo in compagnia del giornalista e scrittore Luca Sarzi Amadè, del quale abbiamo avuto il piacere di recensire il volume Francesco e Isabella. L’età d’oro dei Gonzaga (Laterza 2022). Come giornalista collaborò in passato con la Rai, e con i quotidiani La Repubblica e Il Giorno. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Il duca di Sabbioneta (SugarCo, 1990, e Mimesis, 2013, premiato due volte) L’antenato nel cassetto (Mimesis 2015, con prefazione di Franco Cardini), I Gonzaga. Una dinastia tra Medioevo e Rinascimento (Laterza 2019).
Innanzitutto la vorrei ringraziare per averci concesso questa intervista. Iniziamo con una domanda di rito: come nasce la sua passione per la storia?
La mia passione per la Storia nasce alle elementari: prima i dinosauri, poi l’antica Grecia, infine il Rinascimento. Quand’ero bambino il nonno mi accompagnava a visitare il Palazzo Ducale, e mi accennava aneddoti sui Gonzaga, che ora non ricordo più. Da qui il mio desiderio di conoscere gli antenati (che sono originari della zona), e così, da adolescente, nel corso dei miei rituali soggiorni a Mantova per le vacanze estive o natalizie, mi sono avvicinato alle antiche carte dell’Archivio Gonzaga (che parlano anche della popolazione che viveva nel ducato). Proseguendo nell’indagine, sono emerse interessanti novità sulla storia della Dinastia, alla quale, tra i venti e i trent’anni, ho dedicato alcuni studi.
Nel suo libro L’ antenato nel cassetto. Manuale di scienza genealogica parla della sua esperienza nelle ricerche sui propri antenati. Che consiglio si sente di dare a chi vuole intraprendere questo cammino per la prima volta?
Non cercare origini nobili. Come spiego nel mio manuale (che, ricordiamo, ha la prefazione di Franco Cardini), la nobiltà è qualcosa di molto lontano dallo stereotipo che la gente si è fatta. Non a caso l’ultimo capitolo del libro (apparso tradotto in varie riviste francesi del settore) si intitola appunto “La nobiltà. Oscuro oggetto del desiderio”. Piuttosto è utile cercare la verità: la storia, quella vera, è sempre più bella, più intrigante, più sorprendente degli stereotipi. E soprattutto è maestra di vita.
Veniamo alla famiglia Gonzaga, la grande dinastia di Mantova, che è oggetto del suo interesse. Sul tema si è scritto veramente tanto. Cosa l’ha indotta a scrivere un nuovo libro?
Mi sono accorto che, specie negli ultimi decenni, troppi stereotipi hanno fatto della dinastia virgiliana una sorta di merce turistica. A Mantova si visita il Palazzo Ducale. Ed è giusto così. Ma, per il visitatore comune, è difficile a occhio indovinare ciò che è autentico, che è stato ricostruito, o che è scomparso. Inoltre, pochi si rendono conto del fatto che ai tempi di Francesco II Gonzaga e Isabella d’Este, i personaggi forse più “popolari” della dinastia (beninteso: dopo san Luigi), la vita dei principi si svolgeva soprattutto nelle residenze suburbane. Che oggi non esistono più. A Marmirolo, ad esempio (un centro vicinissimo a Mantova, al di là dei laghi) i Gonzaga avevano un ampio castello medievale, e inoltre ben due palazzi rinascimentali, cui se ne aggiunse a ruota un terzo: centinaia di camere, logge, saloni ricchi di opere d’arte ospitarono vari sovrani di passaggio. C’era poi il castello poligonale di Goito, il palazzo matronale di Porto, con un centinaio di camere ciascuno. E non erano certo le sole residenze fuori città. Tutti annoveravano parchi e giardini, talora di proporzioni sterminate. Ma nulla di tutto questo è rimasto! Nelle pagine di “Francesco e Isabella” ho cercato di ricostruire sui documenti la magia dell’irripetibile vita dei principi.
Finora le biografie si sono concentrate su Isabella d’Este, come personaggio “clou” della famiglia Gonzaga. Nel suo libro Francesco e Isabella. L’età d’oro dei Gonzaga, invece lei presenta, per la prima volta in Italia, un ritratto di questa coppia nel suo insieme. A cosa si deve questa scelta?
Proprio al bisogno di rompere gli stereotipi. Finora Isabella d’Este è stata presentata in chiave un po’ femminista (cosa che non fu mai), rivoluzionaria, intelligente, pionieristica (il che in parte è vero), facendo passare il marito per sciocco, ignorante, vigliacco. In realtà anche lui ebbe i suoi meriti nella storia dell’arte, della musica, della moda. La professoressa Molly Bourne ad esempio lo considera l’ideatore della Galleria d’arte, quale fu poi esemplata alle corti d’Europa. Insieme alla moglie diede poi impulso al teatro, arte in cui Ferrara era regina. Tuttavia se la moglie rilanciò la musica italiana (intesa come musica profana: quella sacra era transalpina), il marito invece costituì una cappella ecclesiastica, di tale importanza che gli stessi musici furono presto chiamati a Roma alla cappella pontificia. Ingiuste anche le accuse di viltà: spericolato sì, lo fu come un po’ tutti gli eroi; e anche spietato, all’occasione, col nemico. Ma seppe dimostrare non comuni doti umane: a dispetto del dilagante integralismo religioso, ad esempio, protesse gli ebrei (espulsi proprio in quel periodo non solo dalla Spagna, ma anche da varie città italiane). Pensate che arrivò a sfoggiare autentici turbanti e ad intrecciare addirittura un’amicizia col sultano dei turchi, ospitandone con tutti i riguardi l’ambasciatore a Mantova. E ciò proprio in un momento in cui i predicatori si scatenavano contro eretici e musulmani. Di più: seppe difendere i contadini in rivolta contro i monaci sfruttatori. Altro che codardo: uno schiaffo al conformismo religioso! La sua passione per le razze canine, ornitologiche ed equine, lo portarono a primeggiare in Europa. Proprio dalla “razza Gonzaga” discenderebbe l’attuale purosangue inglese. Nel libro vi raccontiamo come, tra amori e intrighi.
Nel suo saggio Francesco e Isabella. L’età d’oro dei Gonzaga, lei ha scelto di soffermarsi su un periodo ben preciso della storia della dinastia mantovana. Per quale motivo questo rappresenterebbe il momento d’oro per i Gonzaga e Mantova?
Si è trattato di un momento epico perché tra ‘4 e ‘500 i grandi eserciti nazionali calano nella Penisola, e l’Italia delle signorie si sbriciola. Pochi tra gli Stati più importanti rimangono in piedi. Tra questi Mantova e Ferrara. Le città appunto di Francesco e Isabella. Ma la cosa poco nota è che nello stesso periodo la corte di Mantova acquisì un ruolo nell’intera civiltà europea. Come ha giustamente ricordato Cardini quando è venuto a Milano a presentare il libro in occasione della fiera Bookcity, leggendo si viene “assaliti da una folla di personaggi”. Sono i cortigiani dei Gonzaga. Non si possono raccontare i prìncipi senza render merito a quanti han fatto grande la corte. Merlin Cocai, un monaco ribelle, ad esempio offrì un modello alla satira letteraria (satira dei costumi religiosi, capite?); al contempo è considerato il padre del teatro siciliano moderno. La sua opera di dissacratore (per intenderci) influenzerà in Francia il “Gargantua et Pantagruel”. Per redimere la Chiesa dall’immoralità, Battista Spagnoli -un poliedrico frate pittore, filosofo, pedagogo e poeta- arrivò a proporre il matrimonio dei preti. Le sue opere, presto diffuse in infinite edizioni in Europa (per lo più poesie latine), influenzarono poi la letteratura francese e perfino inglese dei tempi migliori. Al punto che un secolo più tardi Skakespeare lo ricorda più volte nei suoi drammi. Anche gli ebrei animarono il Rinascimento gonzaghesco. Sotto il marchese Francesco II Gonzaga la comunità ebraica raggiunge i suoi accenti più alti: nascono opere ineguagliate e sempre a Mantova anche il primo trattato di regia al mondo. Insomma, spesso si parla dei Gonzaga senza spiegare perché furono realmente importanti. E non è tutto qui… A un parente e cortigiano dei Gonzaga, il Castiglione, si deve il modello del gentiluomo rinascimentale, da cui discenderà anche il gentleman inglese.
La dinastia gonzaghesca conta tantissimi membri, tra ramo principale e cadetti. Le sue origini risalgono inoltre ai tempi della Grancontessa Matilde di Canossa. E’ dunque il DNA che lega i Gonzaga all’universo cavalleresco?
Lei ha giustamente citato Matilde di Canossa, alla cui corte i Gonzaga certo avevano giostrato. Parliamo di un mondo di dame e di cavalieri, ma anche di conflitti religiosi (più tardi, da Mantova è passato anche Martin Lutero). La corte virgiliana contribuì, ad esempio attraverso traduzioni, alla divulgazione della lirica cavalleresca straniera, ad esempio spagnola (ma anche ad influenzare la letteratura spagnola come si evince pure dal mio testo). Ma questo non è tutto. È poco noto (per fare altri esempi) che Matteo Boiardo e Ludovico Ariosto erano, oltre che protetti, anche parenti dei Gonzaga stessi. Non solo: proprio Isabella d’Este discendeva, mediante la nonna materna, Isabella di Taranto, appunto dalla casata francese che, secondo la leggenda, avrebbe dato i natali al paladino Orlando (per secoli “divo” indiscusso della poetica cortigiana), al quale i due poeti innalzarono poi, e proprio sotto gli auspici dei Gonzaga e degli Este, i due poemi che maggiormente influenzarono in seguito non solo la letteratura dell’epoca, ma lo stesso lessico italiano che parliamo ancora oggi. Ecco perché il sottotitolo è “L’età d’oro dei Gonzaga”.
Questo però non è il suo primo libro sui Gonzaga!
No certamente. Per Laterza è uscito nel ’19 I Gonzaga. Una dinastia tra Medioevo e Rinascimento (ormai in edizione economica), che racconta il periodo precedente a Francesco e Isabella. Vale a dire: dai tempi di Matilde di Canossa fino all’alba del Rinascimento; insomma, all’affacciarsi della dinastia alla corte papale e alla scena europea. La vicenda, come noto, è legata al mito del Sacro Graal, e al culto della reliquia del sangue di Cristo, custodita a Mantova fin dai tempi appunto della Grancontessa. Ulteriore anello che lega la casata al mondo cavalleresco. Ancora una volta emergono dettagli in precedena sconosciuti: ad esempio il processo farsa di Agnese Visconti (nel 1391), accusata di adulterio dal marito infedele, Francesco I Gonzaga -un episodio più volte sfruttato da studiosi, romanzieri e drammaturghi- ora sappiamo che si svolse proprio la settimana di carnevale. Altre due biografie ho dedicato a Vespasiano Gonzaga (1531-1591), fondatore di un città ideale del Rinascimento tra Mantova e Cremona (“Il duca di Sabbioneta, guerre e amori di un europeo errante”, da Mimesis), e “Scipione Gonzaga. Vita burrascosa e lieta di un aspirante cardinale del Cinquecento” (Odoya, 2017), che racconta le bizzarre peripezie di un altro cadetto, poeta, studioso, mecenate della casata, che fu deus ex machina nella vita di un grande poeta italiano: Torquato Tasso.
Come ultima domanda le vorrei chiedere quali saranno i suoi progetti futuri e se è prevista la pubblicazione di altri saggi sulla famiglia Gonzaga?
È difficile conoscere in anticipo il futuro. Anche il proprio. Uno scrittore non deve dimenticare che la sua missione è servire i lettori. Ritengo quindi debbano essere i lettori stessi a decidere se mi vorranno ancora.
Giulia Panzanelli