La recensione che vi proponiamo oggi non tratterà un romanzo storico, bensì un saggio che ha come argomento uno dei temi più affascinanti della storia italiana, che ha grandissima risonanza anche all’estero e che continua ad affascinare tutti: la storia della famiglia fiorentina de’ Medici.
Un libro che già dal titolo, I Medici. Ascesa e potere di una grande dinastia (Diarkos 2020), lascia intuire chiaramente il suo argomento, possiamo dire il suo intento programmatico poiché ci permette di conoscere la storia dei membri più importanti di questa famiglia. L’autrice Claudia Tripodi è una specialista del settore, dottore di ricerca in storia medievale all’università di Firenze e non nuova all’ambiente editoriale, visto che ha già dato alle stampe altri libri per un pubblico di specialisti.
Ma necessitiamo di un altro libri sui Medici? Negli ultimi anni siamo stati bombardati, fra libri, film e serie televisive, di prodotti a tema Medici che, in parte, ci hanno allontanato dalla realtà storica mostrandoci una visione attualizzata della famiglia; la risposta quindi è si, abbiamo bisogno di un libro che ci aiuti a tornare sulla “retta via”. La storia di questa famiglia si snoda fra la fine del Trecento e la prima metà del Settecento, non finisce con Lorenzo de’ Medici (per saperne di più su questa figura vi rimandiamo al nostro articolo https://medievaleggiando.it/luomo-politico-dietro-il-mecenate-ritratto-di-lorenzo-de-medici/), anzi continua per più di due secoli. Spesso tutto questo sembra scomparire di fronte alla figura del Magnifico, ma ecco che ci viene in soccorso il libro di Claudia Tripodi, che ci propone biografie approfondite dei membri più importanti della dinastia, che sono molti di più di quanti siano soliti pensare i neofiti, fino alla sua estinzione.
Si parte dal capostipite Giovanni di Bicci il quale creò il famoso Banco Medici che, più avanti, presterà i soldi anche a papi e sovrani di tutta Europa; passando per l’intramontabile Lorenzo, il granduca Cosimo I, il primo a potersi fregiare di questo titolo, il granduca Ferdinando I dall’animo compassionevole e protettore di Galileo Galilei. Ovviamente non mancano le grandi donne della famiglia come Caterina reggente di Francia o l’ultima della dinastia: Anna Maria Luisa che è ancora oggi ricordata e ringraziata per aver impedito che l’immenso patrimonio artistico della famiglia andasse disperso. Ci vengono fornite anche delle biografie più brevi sui Medici del ramo cadetto o su coloro che hanno seguito una carriera ecclesiastica. Ogni personaggio di questa grande famiglia ci viene raccontato non solo per quello che ha fatto in vita, ma anche attraverso le parole di chi lo ha conosciuto; l’autrice cerca anche di tratteggiare la sua personalità per non lasciare queste figure fluttuanti nel tempo, ma renderle umane, dotate di passioni e contraddizioni come tutti. Il testo si configura come un saggio storico perché è provvisto di note e di una bibliografia finale, ma ciò non lo dobbiamo pensare come un ostacolo poiché la lettura è molto gradevole e interessante, lo stile è semplice e rivolto a tutti.
In conclusione, se desiderate saperne di più sulla famiglia Medici, che per quasi quattro secoli ha governato su Firenze, vi consiglio vivamente di partire da questo libro che punta a restituire a questa famiglia la sua storia estremamente sfaccettata.
Abbiamo anche colto l’occasione di intervistare l’autrice del libro e qui di seguito troverete le sue interessanti osservazioni.
- Ringraziamo la Dott.ssa Tripodi per averci concesso questa intervista sul suo nuovo libro. Innanzitutto vorrei chiederle perché ha scelto di raccontare la storia della famiglia Medici? E quali obiettivi si è data nello scrivere il volume?
Grazie a voi per avermi contattato.
Innanzitutto devo precisare che questo libro è nato come commissione e non come mia iniziativa. In altre parole mi è stato chiesto se avessi interesse a scrivere un libro divulgativo sulla famiglia Medici e io ho accettato. Questo aspetto, sicuramente, è stato per me quello di maggiore attrattiva: dopo aver pubblicato, nei libri precedenti, il frutto di ricerche di prima mano, mi piaceva l’idea di dedicarmi a una sintesi, rivolta a un pubblico più ampio, se pure sempre con un occhio rivolto alle fonti primarie. E riconosco che scrivere sui Medici di cui è già stato scritto forse non tutto il possibile ma di certo moltissimo, dalle origini all’ultimo erede, e seguirli per circa tre secoli nell’esercizio del potere a Firenze e in Toscana, sia stato sicuramente un azzardo: dire qualcosa di nuovo è improbabile e anche dire qualcosa di già noto in maniera nuova non è semplice.
Ho pensato di organizzare il libro come una sequenza di biografie dei principali membri della linea dinastica che collegassero cronologicamente i Medici di età comunale ai granduchi di età moderna: da Giovanni di Bicci (padre di Cosimo il Vecchio, il primo Medici che ebbe un ruolo di potere a Firenze dai primi decenni del Quattrocento) fino all’ultimo erede, Giangastone, Granduca di Toscana dal 1723 al 1737. Personalmente sono una grande sostenitrice del genere biografico nelle ricostruzioni di impianto storico-famigliare, dove e quando naturalmente lo consenta la qualità della documentazione. Mi sembra un tipo di narrazione piacevole e funzionale al contempo, capace di rendere giustizia agli individui di cui si parla negli aspetti più personali senza tuttavia perdere di vista il contesto storico e l’effetto di quanto accadeva loro d’intorno. Di fatto, nel portare avanti il testo, il proposito di offrire un quadro generale è stato probabilmente messo in secondo piano dall’intento (e dall’auspicio) di restituire un po’ di spessore umano a individui spesso caratterialmente molto diversi e accomunati tra loro solo dal fatto di portare lo stesso cognome e, per così dire, di indossare la stessa corona. Spesso quando si parla della casa dei Medici (ma accade di frequente quando si parla di casate ampie e durature) si tende a procedere per sintesi: si pensa ai suoi esponenti come ad un blocco compatto, responsabile in modo unitario di scelte politiche, indirizzi governativi, progressi e apporti artistico-culturali. E sebbene per evitare il rischio di appiattire la storia dinastica in un finalismo collettivo, si tenda poi a mettere l’accento su alcuni aspetti apparentemente qualificativi delle diverse identità (Cosimo il pater patriae, Lorenzo il Magnifico, i papi Medici, le regine di Francia e via dicendo) ugualmente si finisce spesso, e lo sappiamo bene dai manuali di storia, per dedicare a ciascuna di esse poche righe spersonalizzanti, col risultato che ognuno viene memorizzato come figlio del predecessore e padre del successore, e ricordato per due o tre cose principali. In questo senso mi pare che la biografia, se pure accennata, si presti a ricostruire un po’ dell’uomo dietro al personaggio lasciando spazio agli individui e alle loro grandezze e debolezze personali, che è poi un modo per avvicinarli a noi senza tradire la distanza storica e, proprio tenendo presente questo, ho cercato, dove possibile, di dare risalto anche a qualche tratto caratteriale e psicologico.
- Il libro è stato scritto in questi mesi difficili della pandemia, quindi vorrei chiederle quali sono state le difficoltà che ha dovuto affrontare?
Le difficoltà sono state enormi, e sono quelle che si può immaginare: la mancanza di accesso alle fonti, ai libri, alle opere miscellanee, ma anche l’isolamento, l’assenza di un confronto regolare ma accidentale con i colleghi. Per molti mesi archivi e biblioteche sono stati completamente inaccessibili. In qualche caso la chiusura si è prolungata anche dopo la ripresa ufficiale delle principali attività. Inoltre al momento della riapertura (come anche sta avvenendo adesso) si è configurata una nuova modalità di servizio con forti limitazioni: ingressi contingentati, su prenotazione, con restrizioni spesso ingiustificate nel numero di accessi settimanali, nel numero dei pezzi da consultare e nell’utilizzo degli strumenti di corredo (inventari, ecc.). Nella percezione generale c’è forse un po’ troppo l’idea che archivi e biblioteche siano luoghi dove chi non ha nulla da fare si reca ad ingannare il tempo in mezzo a carte più o meno polverose, alla ricerca del documento o della notizia sensazionale. Più banalmente si tratta invece di posti di cui varie categorie di professionisti (ricercatori, storici, genealogisti, professori, scrittori, architetti ecc.) hanno assoluta necessità per portare avanti il proprio lavoro. Ma se si può andare in archivio solo una volta alla settimana (ammesso che si riesca a prenotare) consultando solo 4 pezzi, e senza avere accesso agli inventari, una ricerca non la si può condurre; se in biblioteca non si ha più accesso al materiale a scaffale aperto e tutto va preventivamente richiesto, con limitazioni del numero dei pezzi, e poi anche quarantenato per 7 o 10 o 14 giorni (a discrezione dell’istituto), è ovvio che i tempi si dilatano e la qualità del lavoro ne risente perché si è forzati a fare delle scelte preventive, cioè, all’atto pratico, a decidere fin da subito (e non dopo una prima ricognizione generale), cosa sia più opportuno consultare e cosa si debba tralasciare. E’ ovvio che una selezione si deve sempre fare quando ci si addentra in una ricerca o in un’opera di sintesi, ma un conto è farlo avendo vagliato le varie possibilità e avendo come unica restrizione la propria sensibilità critica, un altro conto è essere costretti a farlo, preventivamente, dalle circostanze.
Anche se, come ho già detto, questo libro è un lavoro di divulgazione e dunque non si basa su ricerche di prima mano (cosa che in un momento del genere sarebbe stata davvero impossibile) ma si propone come una sintesi, selettiva certo, di quanto già approfondito da altri, lavorare in questo periodo facendo conto soprattutto sulle biblioteche proprie e degli amici e colleghi oltre che delle risorse online è stato difficoltoso, e il rischio che questa limitazione abbia condizionato il taglio della narrazione, o l’approfondimento di alcuni aspetti a discapito di altri, sicuramente c’è.
- È vero che un autore e uno storico non debbono avere preferenze sui personaggi presentati nei loro libri, ma sappiamo che è molto difficile mantenere un atteggiamento distaccato, quindi quale figura storica, fra quelle che presenta nel suo volume, le è piaciuto di più approfondire?
Temo che le preferenze ci siano sempre. Non dico che le preferenze guidino o influenzino l’onestà critica dello storico nella sua attività di ricerca o di ricostruzione, tutt’altro. Ma credo che ogni storico, ogni volta che sceglie di dedicarsi a un personaggio, a un periodo, a una chiave di lettura, nello scegliere dichiaratamente un orientamento esprima velatamente una preferenza. Come studiosa del tardo medioevo, per esempio, posso dirle che le figure Medici che finora pensavo mi fossero più familiari (e dunque più congeniali) sono quelle quattrocentesche, da Cosimo il Vecchio a Lorenzo il Magnifico, sui quali peraltro esiste un’abbondanza di studi specialistici. E forse è Cosimo il Vecchio quello che maggiormente mi incuriosisce, soprattutto per la sua abilità di creare consenso, per la sua capacità di controllo, per lo straordinario avanguardismo e per la lungimiranza con cui seppe mettere in piedi una rete cittadina di alleanze al centro della quale si trovavano sempre la sua banca, la sua famiglia e soprattutto la sua persona. D’altra parte l’incursione nell’età moderna, in secoli anche molto distanti da quelli che io di solito studio e frequento, mi ha messo a contatto con figure che mi hanno spalancato davvero nuovi universi. Penso al primo Granduca, Cosimo I, che pur discendendo da un ramo collaterale della casata (era il figlio di Giovanni dalle Bande Nere) finì per trovarsi, in maniera inattesa, a capo della edificazione di uno Stato e alla testa di una discendenza che di quello Stato avrebbe tenuto saldo il governo per altri due secoli. Penso ai suoi figli, Francesco I e il fratello Ferdinando I, che già nell’aspetto di fanciulli mostravano quella profonda distanza caratteriale che avrebbe poi segnato in età adulta il loro operato. Ma penso anche a una figura controversa come Giangastone, un uomo di grande sensibilità e cultura, sul cui privato, la necessità di assecondare la ragion di stato ebbe un peso insostenibile e infine deleterio. Ho il sospetto, comunque, che le mie simpatie, anche senza volerlo, emergano con forza tra le righe del testo e che basti leggere il libro per capire a chi sono indirizzate. Il tutto a fronte del fatto che, dovendo coprire oltre tre secoli di presenza medicea a Firenze, questo libro è proprio all’opposto dell’approfondimento.
- Secondo lei perché rimaniamo ancora ammaliati dalla storia di questa straordinaria famiglia? E cosa ci trova lei di affascinante?
Guardi, io credo che la cosa straordinaria del dominio mediceo sia stata la sua continuità nel tempo: quasi tre secoli ininterrotti tra il governo informale di Cosimo il Vecchio e il granducato che sarebbe perdurato fino al 1737. Una continuità temporale che, a fronte delle molte differenze di cui parlavo prima, ha consentito anche una continuità di azioni, di promozioni, di tutele. Si pensi solo all’edificazione dello Stato di Toscana o, ancora di più, al grande patrocinio dato da questa famiglia alla cultura, alle arti e alla scienza: Brunelleschi, Ficino, Michelangelo, Vasari, Galilei, ma anche Raffaello nella fase romana, per citarne solo alcuni, sono tra i nomi più celebri di architetti, medici, filosofi, scienziati, artisti, che in epoche diverse transitarono presso la famiglia Medici o presso la loro corte. Molto di quanto i Medici hanno promosso e tutelato è ancora sotto i nostri occhi a Firenze e nella Toscana intera: penso alle architetture civili e religiose, alla ritrattistica, alle opere d’arte, alle sepolture, ma anche alle numerose ville che punteggiano le campagne intorno a Firenze e non solo. E’ davvero difficile insomma, a tutt’oggi, girare per Firenze e imbattersi in qualcosa che sia stato prodotto dal XV secolo in avanti e che non abbia alcun legame con questa famiglia.
Credo poi che alcune figure Medici abbiano un fascino particolare, magari anche in ragione di una storiografia che, intorno al sedimentarsi della loro fama, ha creato, anche involontariamente, un mito. L’esempio più clamoroso mi pare sia proprio Lorenzo il Magnifico, un nome che è diventato l’emblema del Rinascimento e che perfino i più disinteressati tra i non addetti ai lavori hanno presente: dire Lorenzo il Magnifico è un po’ come dire Dante o Shakespeare o Garibaldi. E’ un nome insomma che tutti conoscono e che associano a Firenze e a un periodo di particolare splendore per le arti e la cultura. Di fatto gli anni del dominio di Lorenzo furono anni anche molto contrastati e la sua stessa condotta politica fu segnata da aspetti autoritari e cruenti. Ma a Lorenzo si pensa sempre come a un giovanotto vivace che amava le donne, la poesia e il tempo trascorso a bere con gli amici. Torno a ripetermi: io credo che presso il pubblico più vasto il fascino di questa famiglia stia anche nell’essersi prestata ad alimentare certi miti. Proprio per questo forse, quello che affascina me adesso, è invece esattamente l’inverso, ovvero la possibilità che i Medici ci offrono (grazie alla molta documentazione, all’abbondanza di analisi e di studi e di ricerche condotti su di loro) di fare capolino, dietro la loro grandezza, tra le loro “miserie”: la possibilità insomma, di coglierne, gli aspetti più umani (talora più fragili, talora meno encomiabili) ferma restando quella innegabile combinazione di casualità e determinazione insieme da cui ebbe origine la loro fortuna politica e lo straordinario contributo portato all’arte e alla scienza.
- Vorrei chiudere questa intervista con una domanda che esula dal tema trattato nel libro. Il suo percorso accademico è incentrato sulla storia medievale perciò mi sembra doveroso chiederle che cosa l’affascina di più del Medioevo?
Sa che non lo so? Ossia, io credo di subire, più che il fascino del Medioevo, il fascino delle origini, cioè dell’andare a vedere, a ritroso, come le cose siano cominciate. Per questo nel mio percorso di studi, sebbene fossi istintivamente più propensa verso la storia moderna, ho pensato che avesse più senso partire dal Medioevo: perché quello era l’inizio. Di fatto, come spesso accade, deviare un istinto è un po’ come stirare i capelli molto ricci (o viceversa, arricciare i capelli molto lisci): la possibilità che prima o poi la natura riprenda il sopravvento non la si può escludere. Nel mio caso il rischio è stato scongiurato e mi pare che la mia iniziale attrazione per la storia moderna e la passione per le origini abbiano trovato un buon compromesso proprio nel tardo medioevo, in quei secoli XIV-XV che gli anglosassoni, non a caso, chiamano early modern.
Anche al di là delle mie passioni tuttavia, sospetto che davvero molto del fascino del Medioevo stia nel suo essere alla radice della nostra storia. Nel Medioevo molto si esprimeva per immagini, come sappiamo, perché le immagini avevano la capacità di raggiungere un pubblico più ampio delle parole. Anche nel nostro 2020 le immagini che pure ci raggiungono di continuo grazie a internet e alla tv, conservano un impatto significativo. Prima dicevamo del Covid e dei suoi effetti… Nel bombardamento mediatico che abbiamo subito la scorsa primavera credo che ci ricorderemo tutti a lungo degli ospedali e di tutto quel personale sanitario, irriconoscibile, in tuta da astronauta, che lavorava in condizioni di emergenza, così come ci ricorderemo dei mezzi militari che portavano via i cadaveri per far posto ai nuovi. Ma ci ricorderemo a lungo anche della preghiera di papa Francesco in una piazza san Pietro vuota come non l’avevamo mai vista, e della regina Elisabetta che fa il suo discorso alla nazione citando come esempio la resistenza al nazismo della sua adolescenza. Sono immagini (e parole) che, almeno in Europa, avrebbero avuto un senso anche per un uomo del Medioevo perché come la malattia e la morte sono da sempre presenti nella storia biologica dell’essere umano, così anche il papa e la regina d’Inghilterra sono due archetipi “parlanti” del potere: i soli rappresentanti a tutt’oggi di due poteri universali e plurimillenari le cui origini affondano proprio nel Medioevo. Ecco, anche solo sotto questo aspetto credo che nessuno, a ben guardare, possa dirsi immune dal fascino di quelle origini.
Giulia Panzanelli