“Alla fine della Decima giornata, Dioneo propone di ritornare in città per impedire che una prolungata convivenza possa determinare qualche fastidio e anche per evitare le critiche dei malevoli. Alla fine del soggiorno nel contado, fa un bilancio dei quattordici giorni qui passati, osservando che la vita della brigata non ha superato mai i limiti di decoro e di correttezza che i giovani si erano imposti e che anzi essa è stata sempre caratterizzata da «continua onestà, continua concordia, continua fraternal dimestichezza». Così la mattina del quindicesimo giorno i dieci novellatori ritornano a Firenze e si recano alla chiesa di Santa Maria Novella dove si erano incontrati; qui si accomiatano gli uni dagli altri.”
Nelle sue conclusioni Boccaccio torna a prendere la parola in prima persona rivolgendosi di nuovo alle donne e di fatto concludendo l’autodifesa cominciata nella Introduzione alla Quarta giornata.
Prima di tutto l’autore si difende dall’accusa di aver descritto situazioni e usato parole poco convenienti, ma perché per prima cosa che «la qualità» stessa delle novelle le ha richieste: la forma doveva essere coerente con la materia. In altri termini, seppure implicitamente, Boccaccio si avvicina già a teorizzare l’autonomia della letteratura che deve obbedire solo a proprie leggi intrinseche. A seguire, l’Autore fa appello alle esigenze del realismo: il linguaggio a doppio senso, per indicare situazioni sessuali, è di uso corrente nella vita quotidiana. E anche questa con- siderazione è assai utile per definire la poetica di Boccaccio. Per quanto riguarda particolarmente le obiezioni morali, il poeta di Certaldo risponde che tutto è puro per i puri e che anche le Sacre Scritture, se lette in modo perverso, possono indurre al peccato. Inoltre si deve tener conto che a raccontare le novelle sono dieci giovani cittadini ritiratisi nel contado, in una situazione di evasione dai compiti e dagli obblighi di ogni giorno, e per di più in un momento straordinario, e cioè «in tempo nel quale andar con le brache in capo per iscampo di sé era alli più onesti non disdicevole». Se poi qualcuno si fa scrupolo a leggere novelle che reputa poco convenienti, faccia attenzione alle rubriche iniziali e scelga solo quelle di argomento non erotico. D’altra parte (e ciò vale sia per il carattere morale che per la qualità estetica delle novelle) l’autore protesta, con sottile ironia, di essersi limitato alla trascrizione, e che colpe e meriti spettano in realtà solo ai dieci novellatori.
Un’ultima attenzione è proposta riguardo la lunghezza eccessiva di alcune novelle rimproverata da alcuni critici. L’autore ribatte (anche in questo caso in modo ironico) che le novelle lunghe sono destinate alle donne «oziose» che possono dedicare tranquillamente molto tempo alla lettura, mentre gli uomini di studio, che hanno poco tempo da perdere, possono limitarsi a quelle brevi.
“E lasciando omai a ciascuna e dire e credere come le pare, tempo è da por fine alle parole, Colui umilmente ringraziando che dopo sì lunga fatica col suo aiuto m’ha al disiderato fine condotto: e voi, piacevoli donne, con la sua grazia in pace vi rimanete, di me ricordandovi, se ad alcuna forse alcuna cosa giova l’averle lette.
qui finisce la decima ed ultima giornata del libro
chiamato decameron.”
Parafrasi letterale: “Lasciando ormai ciascuna libera di dire e credere come le pare, è tempo di terminare, ringraziando Colui che mi condotto alla desiderata fine dell’opera con il suo aiuto. Mi rivolgo, infine, alle garbate donne, augurandomi che si ricordino di me, se trarranno alcuna utilità dalla lettura delle novelle. Qui finisce la Decima e ultima giornata del libro chiamato Decameron.”