In questi ultimi anni il Tardoantico è tornato di moda, alla ribalta della discussione storiografica e, di recente, anche della divulgazione storica, come dimostra la recentissima pubblicazione del Professor Arnaldo Marcone: Tarda Antichità. Profilo storico e prospettive storiografiche (Carocci 2020). Andiamo a vedere nel dettaglio cos’è la tardoantichità e come nasce la sua discussione storiografica.
Con “Tarda Antichità” si indica quel periodo della storia che prende le mosse dal III-IV secolo, per finire tra il VI e l’VIII, quindi a cavallo fra il Basso Impero e l’Alto Medioevo. Queste indeterminatezza della datazione sono imputabili alle diverse letture che i singoli storici danno del periodo. Per quanto concerne la sua elaborazione già Carlo Sigonio, storico del XVI secolo, abbozzò una prima “datazione” di quello che noi oggi chiamiamo Tardoantico. Infatti Sigonio sosteneva che il periodo che intercorre tra l’avvento di Diocleziano (284) e la fine di Giustiniano (565) era da considerare come una fase autonoma, con dei caratteri che la distinguevano. Ma Sigonio era lontano dal creare una categoria storiografica, dato che la tripartizione della Storia in epoca antica, medievale e moderna come la conosciamo noi oggi fu opera di Christopher Keller nel XVII secolo.
Successivamente, nei primi anni del XX secolo lo storico dell’arte Alois Riegel “inventò” il Tardoantico o Spätantike, sostenendo che a partire dal periodo costantiniano fino a quello di Carlo Magno si potevano evidenziare degli aspetti artistici differenti rispetto al passato classico. Ciononostante, lo stesso Riegel non era sicuro se fosse più corretto porre l’inizio del Spätantike (artistica) a partire dall’Impero di Marco Aurelio oppure alla fine del periodo costantiniano.
La storiografia quindi inizia a chiedersi se, effettivamente, nel V secolo ci sia stata una sorta di rottura; Henry Pirenne, ad esempio, nel suo saggio Maometto e Carlo Magno, sostenne che la frattura tra mondo antico e Medioevo c’era stata, ma non era imputabile alle popolazioni che provenivano dal nord-est Europa, piuttosto alle conquiste degli arabi di cultura musulmana che, nel VII secolo, modificarono l’assetto economico del Mediterraneo, procedendo con la conquista dell’Africa del Nord.
Da Riegel alla fine della seconda guerra mondiale le discussioni storiografiche dell’epoca produssero svariate letture, come quella dello storico Piganiol che, nel suo L’Empire Chretien (1947), guardò alla fine del mondo antico come ad un impero assassinato dai barbari d’oltreconfine. Inoltre, nella sua lettura, considerò il 382 l’anno in cui l’Imperatore Teodosio aveva sostanzialmente consentito ai Goti di rimanere entro i confini dell’Impero. Nelle teorie di Piganiol era evidente il riferimento indiretto all’invasione nazista della Francia, e all’accondiscendenza delle truppe del generale Petain.
Peter Brown, storico irlandese, formulò una sua idea di Tardoantico, introducendo il concetto di trasformazione del mondo romano. Una delle opere di Brown è stata Il mondo tardo antico, da Marco Aurelio a Maometto (1974), studio che si focalizzava sui cambiamenti inerenti il Mediterraneo orientale.
Arriviamo così agli anni ‘90 quando, dopo qualche decennio di intense discussioni, delle quali fecero parte anche Henri-Irènèe Morrou e Averil Cameron, si aggiunse il classicista italiano Andrea Giardina. In un suo celeberrimo saggio intitolato Esplosione di Tardoantico, Giardina critica questa categoria storiografica ampia che travalica i confini dell’Alto Medioevo. Per lui il Tardo Antico è semplicemente l’Antico Tardo, ovvero i secoli finali dell’Impero Romano. I caratteri principali dell’epoca devono quindi essere l’antichità e non la modernità, al contrario di alcune interpretazioni passate che avevano sostenuto che la Spätantike fosse nata in contrapposizione al concetto di decadenza. Alcuni storici avevano marcato alcune “rivoluzioni”, come il passaggio dalla forma rotolo alla forma libro, oppure la sostituzione della tunica tradizionale con la camisia.
Questa introduzione al Tardo Antico ci ha permesso di vedere come, dal XV secolo ad oggi, il concetto sia divenuto una categoria storiografica e come non tutti l’abbiano accettata, argomentando in maniera magistrale la loro posizione. Sicuramente la difficoltà di fornire una periodizzazione con dei confini chiari, precisi, ha lasciato il fianco scoperto per i suoi detrattori.
La Nostra scelta di inserire nella sezione articoli un Tardoantico che prende le mosse da IV secolo per approdare al VII, è puramente convenzionale. Dal canto nostro, non ci sentivamo di sconfinare nell’Alto Medioevo né di fare un’incursione nel mondo romano: abbiamo voluto limitarci a quella fase di passaggio, dove il “periodo delle migrazioni” inizia a creare le condizioni, soprattutto nella Pars Occidentalis dell’Impero Romano, per delle imponenti trasformazioni di lungo periodo.
Nonostante le discussioni storiografiche che lo hanno contraddistinto, speriamo vivamente di farvi appassionare al Tardoantico. Ci sono moltissime storie alle quali possiamo attingere e tante sono lì, pronte per essere raccontate.
Andrea Feliziani
Per approfondire:
DELOGU PAOLO a cura di, Periodi e contenuti del Medio Evo, Il Ventaglio, Roma 1988.
GIARDINA ANDREA, Esplosione di Tardoantico, in Rivista trimestrale dell’Istituto Gramsci, Studi Storici, gennaio-marzo 1999, anno 40.
OCCHIPINTI ELISA, Che cosa è il Medioevo. Percorsi storiografici tra quattro e ottocento, Cisalpino, Milano 1997.