Nell’immaginario collettivo non appena sentiamo, o leggiamo, il famoso incipit “C’era una volta” ci immaginiamo la prima lettera miniata, decorata con colori come il rosso o l’oro e tanti ghirigori che completano il tutto. Molti codici medievali infatti, presentavano oltre al testo di riferimento numerose miniature che raffigurano episodi tratti dal testo, semplici fregi decorativi o le più famose iniziali istoriate che mettono in scena, al loro interno, una o più storie.
Durante tutto il Medioevo nei monasteri sparsi per l’Europa andavano via via formandosi sempre più centri scriptoria ossia quegli ambienti dedicati al lavoro dei monaci amanuensi che avevano un arduo compito: tramandare la conoscenza. Gli amanuensi trascrivevano, in latino, tutta la conoscenza che ci era pervenuta dal mondo greco rendendo accessibile, agli studiosi dell’epoca, fonti che fino a quel momento erano sconosciute. Al lavoro di trascrizione degli amanuensi venne poi affiancata la figura del miniatore, colui che “abbelliva” il testo rendendo il codice molto più pregiato. Inizialmente questi codici miniati erano ad uso esclusivo del clero oppure commissionati come doni per re o potenti signori.
In seguito, iniziò a svilupparsi un vero e proprio mercato intorno a questi codici. Grazie all’interesse di studiosi, accademici o anche di famiglie nobili che volevano riempire la loro biblioteca, vennero realizzati sempre più codici miniati e ben presto sorsero dei centri specializzati per questo. Ogni centro poteva avere delle caratteristiche distintive: l’utilizzo di un colore particolare o di una tecnica di impaginazione molto precisa e diversa dalle altre. Questa fiorente compravendita di manoscritti miniati fece sì che l’arte della miniatura medievale progredisse sempre di più.
All’interno di questo mercato trova posto anche la Divina Commedia di Dante, della quale furono realizzati molti manoscritti miniati. Queste copie con le loro raffigurazioni non si limitavano solo ad offrire una rappresentazione del testo, ma cercavano anche di dare un primo commento al testo. Sfortunatamente di tutte queste copie miniate manca un’analisi completa e ciò si deve proprio al grande numero di codici che ci sono pervenuti. La tradizione (cioè l’insieme di tutti i manoscritti pervenuti) della Divina Commedia miniata inizia nella prima metà del Trecento ma arriva quasi fino ai giorni nostri con artisti come Gustave Doré, Salvador Dalì e Renato Guttuso. Tuttavia, grazie a sempre più numerosi gruppi di ricerca e nuove tecniche di digitalizzazione dei manoscritti gli studiosi sperano di poter offrire un panorama sempre più ampio su questo tema.
Dato l’alto numero di codici disponibili, anche noi non possiamo che fare una selezione dei manoscritti e degli episodi rappresentati. Uno dei capitoli più conosciuti del poema dantesco è sicuramente il primo canto dell’Inferno di cui il codice Barberiniano Latino 4112, della Biblioteca Apostolica Vaticana, ci offre una suggestiva miniatura.
In questa carta (antica pagina del manoscritto) a fare da padrone è la miniatura incorniciata che tramite la tecnica dell’illustrazione simultanea ci presenta alcuni momenti salienti dell’Inferno. Proseguendo da sinistra verso destra troviamo la selva con le tre fiere – la lupa, la lonza e il leone – da cui Dante cerca riparo. Il Sommo Poeta è raffigurato con la classica tunica rossa mentre il poeta latino Virgilio è nudo per rimarcare il suo essere spirito. Alla loro destra un diavolo davanti la porta dell’Inferno tormenta i dannati avvolti dalle fiamme mentre un altro diavolo è sulla porta a fare da guardia. Oltre questa miniatura riassuntiva è presente una iniziale abitata, in cui è inserito Dante che regge un libro, ornata con dei fregi floreali. Poco più sopra inoltre troviamo la rubrica (dal latino ruber, cioè rosso) incipitaria che, grazie al colore rosso, si “stacca” dal testo dell’opera e serve come introduzione.
Una seconda miniatura che mette in scena un passo molto famoso è contenuta nel manoscritto 597 della biblioteca del castello di Chantilly.
In questa raffigurazione del terzo canto dell’Inferno sono rappresentate le anime degli ignavi. Questi peccatori sono costretti a seguire un insegna portata da un diavolo mentre vengono tormentati da mosconi e vespe. Tra i peccatori sono presenti anche gli angeli che si ribellarono a Dio e ora hanno sembianze demoniache. Quasi alla fine del gruppo, spicca poi un dannato “famoso” con in testa una tiara: è il papa Celestino V, colui “che fece il gran rifiuto”.
Come ultimo esempio vale la pena spendere alcune parole sul codice strozziano 150 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.
Per il primo canto del Paradiso, questo codice ci presenta un’iniziale abitata in cui troviamo Beatrice che scioglie tutti i dubbi di Dante mentre salgono verso il cielo. La particolarità di questo codice è quella di far parte di una vera e propria serie. Negli anni ‘30 del XIV secolo era attiva a Firenze la bottega di Francesco di Ser Nardo dalla quale uscirono circa un centinaio di manoscritti miniati della Commedia che sono noti come i “Danti del Cento”. Tutti questi codici sono accomunati da medesime tecniche artistiche e di impaginazione; proprio come una serie. Vincenzo Borghini (filologo del XVI secolo) ci lascia nota che “si conta d’uno che con cento Danti ch’egli scrisse, maritò non so quante sue figliuole”.
Al giorno d’oggi attraverso tecniche di digitalizzazione sempre più innovative la Divina Commedia si rivela sempre più accessibile e visualizzabile. Ma non bisogna dimenticare che dietro queste digitalizzazioni c’è il lavoro di tanti gruppi di ricerca. Uno di questi, l’Illuminated Dante Project, è attivo presso l’università di Napoli e vale la pena consultare il loro sito per scoprire tante altre miniature.
Vincenzo Scarpati
Per approfondire:
BALBARINI CHIARA, L’Inferno di Chantilly, Salerno Editrice, Roma 2011
BATTAGLIA RICCI LUCIA, La tradizione figurata della Commedia. Appunti per una storia, «Critica del testo», XIV/2, 2011
BRUNELLO FRANCO, (a cura di) De arte illuminandi, Neri Pozza, Vicenza 1975