Come ser Lancillotto, ricevuta la lettera di ser Galvano, tornò in Inghilterra, e di altri eventi
Lasciamo ora la regina a Almesbury nei suoi abiti bianchi e neri da badessa e parliamo di ser Lancillotto del Lago cui era giunta notizia che ser Mordred si era fatto incoronare re d’Inghilterra muovendo guerra al proprio padre.
« Ahimè, ser Mordred, due volte traditore! Mi duole che tu mi sia sfuggito di mano, poiché hai recato grave disonore al mio signore Artù » disse ai suoi parenti. « Ed è quanto apprendo dalla lettera inviatami da ser Galvano, che Dio abbia misericordia della sua anima. Ahimè, che debba vivere questo giorno in cui il nobile re che mi ha creato cavaliere viene sconfitto dai propri sudditi e nel suo stesso regno! Ser Galvano mi prega in punto di morte di visitare la sua tomba e il mio cuore non scorderà mai la sua accorata invocazione. Era il cavaliere più nobile che fosse mai nato e io sono il più infelice per avere ucciso lui e i suoi nobili fratelli ser Gaheris e ser Gareth, mio carissimo amico. Ahimè, quest’atto scellerato mi ha tolto ogni felicità, e forse non avrò neppure l’occasione di vendicarmi sull’usurpatore! »
« Cessa i lamenti » gli rispose ser Bors « e pensa innanzitutto a non lasciare impunita la morte di ser Galvano. Dopo che avrai visitato la sua tomba, potrai prendere vendetta in no- me di re Artù e della sua dama Ginevra»
« Ti ringrazio, poiché ti è caro il mio onore! » esclamò ser Lancillotto.
Si apparecchiarono in tutta fretta predisponendo navi e galee per passare in Inghilterra con l’esercito e sbarcarono a Dover con sette sovrani e con un seguito di armati che incuteva paura solo a vederlo. Ser Lancillotto chiese agli abitanti del porto cosa ne fosse stato del re, e gli fu risposto che in un solo giorno era stato ucciso insieme a ser Mordred e ad altri centomila.
« La battaglia finale » aggiunsero « si è svolta a Barham Down il mattino successivo allo sbarco di Artù e il re ha avuto la meglio. »
« Ahimè, sono le notizie più dolorose che il mio cuore abbia mai ricevuto! » si lamentò Lancillotto. « E ora, bei signori, mostratemi, vi prego, la tomba di ser Galvano. »
Fu condotto nel Castello di Dover, e quando vide il sacello si inginocchiò in pianto e pregò dal profondo del cuore per l’anima del valoroso cavaliere. Quella notte ebbe luogo la veglia funebre e a quanti venivano dalla città e dalla campagna ser Lancillotto fece offrire carne e pesce, vino e birra e uno scellino per ciascuno, uomo o donna che fosse. Volle distribuire il denaro con le proprie mani vestito a lutto, e pianse e li supplicò che pregassero per la salvezza di ser Galvano.
Il mattino seguente i preti e i chierici cantarono una messa da requiem, in cui Lancillotto fece un’offerta di cento lire sterline, i sette re di quaranta, e mille cavalieri di una sterlina ciascuno. Le offerte durarono fino a notte, e per un’altra notte ancora ser Lancillotto rimase prono sulla tomba di ser Galvano in preghiera e in pianto. Il terzo giorno convocò i re, i duchi e i conti, i baroni e tutti i nobili cavalieri.
« Bei signori » disse loro « vi ringrazio per essere accorsi da me, ma sappiate che siamo giunti troppo tardi e io ne porterò il rimpianto per tutta la vita. Non ci si può ribellare alla morte e, poiché non c’è altro da fare, andrò a cercare la mia dama la regina Ginevra che, a quanto ho udito, ha sopporta- to gravi pene e disagi ed è costretta a rifugiarsi in Occidente. Voi mi attenderete qui e se non sarò ritornato entro il termine di quindici giorni, risalirete sulle navi insieme a tutti i compagni e ritornerete nel vostro paese. »
Come ser Lancillotto andò in cerca della regina Ginevra, e come la trovò a Almesbury
Si fece allora innanzi ser Bors e disse: « Mio signore, come pensi di percorrere questo regno dove
hai ben pochi amici? » « Sia pure così, tu resterai qui perché continuerò da solo il
mio viaggio senza alcuna scorta » fu la risposta di ser Lancillotto.
Non fu di alcuna utilità insistere, ed egli partì prendendo la direzione di Occidente e continuò la ricerca per sette o otto giorni, finché giunse a un monastero ed entrò nel chiostro. La regina Ginevra lo scorse, lo riconobbe e svenne tre volte di seguito, con gran pena delle sue dame e gentildonne che faticarono alquanto per risollevarla. Quando infine la regina ebbe ritrovato l’uso della parola, le chiamò accanto a sé e disse loro:
« Belle dame, vi chiederete perché sia così turbata: ebbene,
è perché ho visto quel cavaliere laggiù. Vi prego, chiamatelo. » E quando Lancillotto le fu condotto vicino, aggiunse: « La guerra che ha portato alla morte i più nobili cavalieri del mondo è divampata a causa mia e di quest’uomo, e l’amore che ci legava ha causato la rovina del sovrano più onorato della terra. Lancillotto » disse poi « ho assunto questo stato per salvare la mia anima e, con la grazia di Dio e per le piaghe della Sua Passione, confido che dopo la mia morte potrò contemplare il volto benedetto di Gesù Cristo e sedere alla Sua destra nel giorno del Giudizio, poiché in cielo vi sono dei santi che furono peccatori in terra. Perciò, ser Lancillotto, vi supplico di cuore per l’amore che ci fu tra noi di non posare mai più lo sguardo su di me. Vi comando anche, in nome di Dio, che lasciate la mia compagnia e torniate nel vostro regno per preservarlo da guerre e distruzioni. Così come vi ho amato fino ad ora, il mio cuore non mi permetterà più di incontrarvi dopo che a causa vostra e mia è stato annientato il fiore dei re e dei cavalieri. Rientrate dunque nelle vostre terre e prendete moglie per vivere con lei in gioia e letizia. L’unica supplica che il mio cuore vi rivolge è che invochiate il Signore Eterno perché mi conceda di fare am- menda dei miei peccati. »
« Ebbene, mia dolce dama, volete davvero che ritorni nelle mie terre per prendervi moglie? » le chiese ser Lancillotto. « No, signora, sappiate che non lo farò e non mancherò mai a quanto vi promisi un tempo. Dividerò invece la vostra stessa sorte e mi consacrerò a Gesù trascorrendo la vita in preghiera e raccomandandovi a Lui. »
« Ah, ser Lancillotto, davvero voleste farlo e manteneste la vostra promessa! » esclamò la regina. « Ma non credo che non vogliate tornare nel mondo. »
« Signora, dite ciò che volete, ma sapete bene che non ho mai mancato alla mia parola, e Dio non voglia che agisca in modo difforme dal vostro! Nella ricerca del Sangrail avrei abbandonato le vanità mondane se non fosse stato per l’amore che vi portavo, e se allora lo avessi fatto con tutto il mio cuore, la volontà e il pensiero, avrei superato ogni altro cavaliere a eccezione di ser Galahad mio figlio. Se voi vi siete votata alla perfezione, è giusto che lo faccia anch’io perché, mi sia testimone Iddio, solo in voi ho avuto la mia gioia terrena. Se il vostro cuore fosse stato diversamente disposto, vi avrei portata con me nel mio regno. Ma poiché tale è la vostra volontà, vi giuro che se troverò un eremita che voglia accogliermi, a qualunque ordine appartenga, farò penitenza e pregherò fino al termine della mia vita. Ora, madama, vi prego di baciarmi un’ultima volta. »
« Non lo farò mai » si schermì la regina « e astenetevi anche voi da tali atti. »
Come ser Lancillotto giunse all’eremo dell’arcivescovo di Canterbury e come ricevette l’abito da lui
Questo fu il commiato di ser Lancillotto e della regina Ginevra, e non c’è uomo tanto duro di cuore che non piangerebbe del loro dolore, così accorato e straziante da far pensare che venissero trafitti da colpi di lancia. Infine le damigelle trasportarono la regina svenuta nella sua stanza e ser Lancillotto balzò a cavallo piangendo e percorse una vasta foresta per tutto quel giorno e la notte successiva. Ma poi scorse un eremo e una cappella che si ergeva tra due rupi e udì il suono di una campanella che chiamava alla messa. Vi si diresse, legò il cavallo all’ingresso ed entrò per assistere al servi- zio divino. Colui che lo celebrava era il vescovo di Canterbury.
Dopo la funzione, poiché sia il vescovo sia ser Bedivere avevano riconosciuto il cavaliere, si misero a discorrere, e ser Bedivere narrò tutte le sue vicende ravvivando il dolore di ser Lancillotto, che si sentì spezzare il cuore. « Ahimè, come si può nutrire fiducia in questo mondo! » esclamò aprendo le braccia. Poi, inginocchiatosi, chiese al vescovo di confessarlo e di assolverlo e di accettarlo come suo confratello. « Lo farò volentieri » fu la risposta del sant’uomo, che poi lo vestì dell’abito di penitenza. Da quel giorno il cavaliere servì Dio con preghiere e con digiuni. Intanto il suo grande esercito era in attesa a Dover, e ser Lionello, presi con sé quindici baroni, cavalcò verso Londra alla ricerca del suo signore, ma in viaggio fu ucciso insieme a molti altri. Allora ser Bors di Ganis, rispedite in patria le schiere, decise di percorrere tutta l’Inghilterra in lungo e in largo alla ricerca di Lancillotto, e ser Ector di Maris, ser Blamor, ser Bleoberis e altri loro parenti imitarono il suo esempio. Dopo lungo vagare, il caso volle che ser Bors giungesse alla cappella in cui si trovava il cugino e, avendo sentito la campana che chiamava alla messa, smontasse da cavallo e si fermasse ad ascoltarla. Allora gli si avvicinarono il vescovo, ser Lancillotto e ser Bedivere, e ser Bors, alla vista del cugino nell’abito religioso, pregò il vescovo di consentirgli di indossarlo a sua volta. Perciò ricevette la veste e da allora visse in preghiere e digiuni.
Passò mezzo anno, e poi anche ser Galihud, ser Galihodin, ser Blamor, ser Bleoberis, ser Villiars, ser Clarrus e ser Gahalantine giunsero all’eremo e vi si fermarono; e visto che ser Lancillotto aveva scelto una vita di perfezione, non provarono più il desiderio di andarsene e presero come lui l’abito di penitenza.
Dopo sei anni ser Lancillotto fu fatto prete e un anno dopo poté cantare messa. Come lui gli altri cavalieri trascorsero le ore nella lettura e nel servizio divino, nel suonare le campane e nei più umili servigi, mentre i cavalli venivano lasciati pascolare liberamente perché essi non avevano più cura delle ricchezze mondane. Infatti, l’esempio di Lancillotto che conduceva la vita in penitenza, in preghiere e in digiuni, faceva loro dimenticare le proprie stesse pene.
Una notte ser Lancillotto, votato all’astinenza al punto da essere diventato macilento, ebbe una visione in cui gli veniva ordinato di affrettarsi ad Almesbury in remissione dei suoi peccati.
« Troverai la regina Ginevra morta » gli fu detto. « Perciò prendi con te i tuoi compagni, provvedili di una lettiga a cavalli e trasporta qui il suo corpo perché sia seppellito accanto a quello del suo nobile marito, re Artù. »
E la visione si ripeté tre volte.
Come Lancillotto andò ad Almesbury con i sette compagni e, trovata morta la regina Ginevra, la fece traslare a Glastonbury
Ser Lancillotto si alzò prima di giorno e riferì all’eremita la visione che aveva avuto. « Sarebbe bene che vi preparaste » gli suggerì questi. « Dovete prestarle fede.» Ser Lancillotto, presi i sette compagni, si recò a piedi da Glastonbury ad Almesbury, e impiegò più di due giorni a coprire le trenta miglia perché tutti erano deboli e stanchi. Così allorché giunsero al monastero di monache, la regina Ginevra era morta da solo mezz’ora. Le sue dame gli dissero che prima di spirare ella aveva detto loro che ser Lancillotto era prete da quasi un anno, e aveva soggiunto:
« Sta venendo qui più in fretta che può per raccogliere il mio corpo e seppellirlo accanto a quello del mio signore re Artù. » Poi, a voce alta perché tutte la potessero udire, aveva continuato:
« Supplico Dio Onnipotente che non mi sia mai più possibile vedere ser Lancillotto con i miei occhi mortali.» E le dame aggiunsero che ella aveva continuato a esprime- re la stessa preghiera per due giorni di seguito, fino alla morte. Allora il cavaliere contemplò il suo volto trattenendo le lacrime e sospirando. Poi egli stesso uffiziò il servizio funebre secondo tutte le regole, e il mattino dopo cantò messa. Quando fu pronta la lettiga a cavalli, intorno al cadavere della regina furono poste cento torce perennemente ardenti e Lancillotto e i suoi compagni la seguirono cantando, leggendo le orazioni e bruciando incenso. Giunti a Glastonbury, intonarono con grande devozione un canto funebre e il mattino dopo l’eremita celebrò la messa da requiem e ser Lancillotto fu il primo ad assisterlo, seguito dai compagni. Dopo di che la morta fu avvolta dalla testa ai piedi in trenta giri di panno cerato di Rennes, poi fu deposta in un cofano di piombo e infine in una bara di marmo.
Quando fu calata nella fossa ser Lancillotto svenne e rima- se privo di sensi fino a quando l’eremita lo rianimò e gli disse: « Meritate biasimo, perché dispiacete a Dio col vostro dolore terreno. »
« Confido di non dispiacergli, perché Egli conosce il mio animo» replicò il cavaliere. «Il mio dolore non deriva dal ricordo di piaceri peccaminosi, ma è una pena senza fine. Quando riporto alla mente la bellezza e la nobiltà della regina e del suo re e li vedo ora giacere insieme, il mio cuore non può sostenere il mio corpo afflitto. Quando poi rifletto che per mia colpa, orgoglio e superbia sono entrambi periti, essi che non avevano pari tra le genti cristiane, il ricordo della loro cortesia e della mia ingratitudine mi fa mancare il cuore al punto di non potermi reggere in piedi.»
Come ser Lancillotto si ammalò e più tardi morì, e come il suo corpo fu trasportato alla Gioiosa Guardia per esservi sepolto
Da allora ser Lancillotto mangiò e bevve assai poco così che si ammalò sempre più gravemente fino alla consunzione. Né il vescovo né i suoi compagni riuscirono a indurlo a mangia- re, ed egli bevve così poco che si ridusse di un cubito sì che nessuno poteva più riconoscerlo. Pregava giorno e notte e a volte si assopiva di un sonno interrotto prostrato sulla tomba del re e della regina, senza trarre alcun conforto dal vescovo, da ser Bors e dai suoi compagni. Sei settimane dopo ser Lancillotto si sentì mancare e non si alzò più dal letto. Allora mandò a chiamare il vescovo e gli altri cavalieri e disse loro con voce rauca: « Messer vescovo, vi prego di somministrarmi i riti che si addicono a un cristiano. » « Non ne avete bisogno » fu la risposta dell’eremita e dei compagni. « È solo pesantezza di sangue; domattina, con la grazia di Dio vi sentirete meglio. »
« Bei signori, il mio corpo stanco tornerà presto alla terra: le prove che ne ho sono più evidenti di quanto mi sia possibile spiegare. Perciò somministratemi i sacramenti» ripeté il moribondo.
Dopo che si fu confessato ed ebbe ricevuta l’Estrema Unzione e tutto ciò che conviene a un cristiano, pregò il vescovo e i compagni di trasportare il suo corpo alla Gioiosa Guardia. Tuttavia, secondo alcuni, chiese invece di essere portato ad Alnwick e secondo altri a Bamborough.
I cavalieri piansero a lungo e si torsero le mani, ma più tardi andarono a coricarsi. Giacevano tutti in una sola camera quando, passata la mezzanotte, il vescovo eremita scoppiò nel sonno in una grande risata. Subito desti, i cavalieri accorsero al suo letto per chiedergli cosa avesse.
« Gesù misericordioso, perché mi destate? » chiese loro il sant’uomo. « Non sono mai stato tanto allegro e in pace in tutta la mia vita. »
« Perché? » gli domandò ser Bors.
« Ser Lancillotto era con me, circondato da un maggior numero di angeli di quanti uomini abbia mai visto in un giorno » rispose il vescovo. « Gli angeli portavano Lancillotto in cielo, e le porte del Paradiso si aprivano davanti a lui. » « Non è che un disturbo del sonno » replicò ser Bors. « Sono certo che mio cugino è ancora in vita. »
« Può essere » disse il vescovo. « Andate a vedere e saprete la verità. »
Quando ser Bors e gli altri si avvicinarono al letto di Lancillotto lo trovarono morto, ma sulle sue labbra errava il sorriso e intorno a lui aleggiava il più soave profumo che avessero mai sentito. Allora tutti scoppiarono in pianti, si torsero le mani e si abbandonarono alle più amare manifestazioni di dolore. Il mattino dopo il vescovo recitò la messa da requiem, quindi insieme ai cavalieri depose il corpo, circondato da cento candele accese, sulla stessa lettiga che era stata usata per la regina Ginevra. Poi lo accompagnarono tutti insieme e viaggiarono per quindici giorni finché giunsero alla Gioiosa Guardia. Allora lo adagiarono nel centro del coro e lasciarono il suo volto scoperto perché tutti lo potessero vedere, ché tale era il costume di quei tempi.
Mentre erano intenti al servizio divino, si presentò al castello ser Ector di Maris, che aveva trascorso sette anni peregrinando per tutta l’Inghilterra, la Scozia e il Galles, alla ricerca del fratello.
Come ser Ector trovò morto il fratello ser Lancillotto, come Costantino regnò dopo Artù, e fine del libro
Ser Ector sentì i canti e vide le luci accese nel coro della Gioiosa Guardia; allora smontò, allontanò il cavallo ed entrò nella cappella dove trovò gente sconosciuta in pianti e in preghiere.
Ma ser Bors, che lo aveva ravvisato, gli si avvicinò per dirgli che in quello stesso luogo si trovava il corpo del fratello Lancillotto. Allora ser Ector gettò via lo scudo, la spada e l’elmo, si chinò sul volto del morto e cadde svenuto al suolo. E sarebbe difficile descrivere i dolorosi lamenti che uscirono dalle sue labbra quando tornò in sé.
« Ah, Lancillotto » pianse « guida di tutti i cavalieri cristiani, impareggiabile tra i valorosi, ora giaci qui. Eri il più cortese cavaliere che abbia mai portato lo scudo, l’amico più sincero nei confronti di chi ti amava tra quanti hanno mai cavalcato, il più fedele amante tra i peccatori che abbiano mai amato una donna, l’uomo più gentile che abbia mai brandito una spada. La tua bella persona primeggiava sempre tra una folla di cavalieri, e tu eri l’uomo più mansueto e più onorato tra quanti mai si siano intrattenuti a banchetto con le dame. Ma eri anche l’avversario più inflessibile per un nemico mortale che abbia mai posto la lancia in resta. »
Il cadavere di Lancillotto rimase esposto per quindici giorni, e poi fu sepolto con grande devozione. Allora i compagni tornarono lentamente all’eremo del vescovo di Canterbury dove rimasero uniti per più di un mese.
Intanto era stato eletto re d’Inghilterra ser Costantino, figlio di ser Cador di Cornovaglia, un nobilissimo cavaliere che governò il regno con onore. Il nuovo re mandò a chiamare il vescovo di Canterbury e lo reintegrò nella sua carica, così che questi dovette lasciare l’eremo dove invece ser Bedivere rimase fino al termine della sua vita. Ser Bors di Ganis, ser Ector di Maris, ser Gahalantine, ser Galihud, ser Galihodin, ser Blamor, ser Bleoberis, ser Villiars il Valoroso e ser Clarrus di Cleremont tornarono invece nelle loro contrade nono- stante che re Costantino desiderasse tenerli con sé, e vissero in santità nei loro paesi. Invece, secondo alcuni libri inglesi non uscirono più dall’Inghilterra, ma non è che una supposizione dei loro autori, perché il libro francese, l’unico autorizzato, riferisce che ser Bors, ser Ector, ser Blamor e ser Bleoberis si recarono in Terrasanta dove Gesù Cristo era vissuto e morto, come aveva loro ordinato Lancillotto prima di morire e che, messo ordine nei loro possedimenti, si adoprarono a combattere contro i miscredenti o Turchi per amore di Dio e vi persero la vita in un giorno di venerdì santo.
Martina Michelangeli x Medievaleggiando