Le leggi longobarde sono state fondamentali per l’Italia, non solo perché ne sono rimaste tracce fino all’età moderna (pensiamo solo alla lunga permanenza nel Meridione di alcune leggi sul matrimonio), ma anche perché è grazie alla loro mediazione che abbiamo ricevuto l’ereditarietà del diritto romano. Opinione comune è che i Longobardi abbiano solo devastato e distrutto i territori romani. Ma, la verità è che nell’VIII secolo l’elite sociale del regno romano identificava se stessa come longobarda, ma non perché i Romani fossero servi dei Longobardi, ma perchè erano semplicemente diventati Longobardi anch’essi. Non era più una distinzione “biologica”, ma l’identità longobarda era rappresentata dal rapporto con il re e dall’attività militare.
Fatta questa doverosa premessa, l’argomento di oggi sono, appunto, le leggi longobarde, ma con particolare attenzione sul lessico utilizzato. Tutte le leggi longobarde fanno sempre riferimento al primo codice longobardo: l’Editto di Rotari del 643, composto da circa 388 capitoli. Com’è facile capire, l’Editto di Rotari è il più vasto, il più compartimentato al suo interno e il più studiato. Le altre leggi, come le Leggi di Liutprando (713-735) o le Leggi di Grimualdo (668), si può dire che siano una sua aggiunta (nell’Editto di Rotari stesso si da’ esplicitamente il “permesso” di ampliare il corpus).
Come sono state scritte le leggi longobarde?
Sicuramente le leggi erano pensate in longobardo e poi “tradotte” in latino. Questo perchè il longobardo era una lingua che tendeva all’oralità, ad usare forme allitteranti quali lid in laib ‘entrare nell’eredità’ e gaida et gisil ‘con il bastone e con la freccia’ (oggetti dati allo schiavo per liberarlo). Di conseguenza era necessaria una traduzione e una sistematizzazione in latino per diventare legge vera e propria.
Ma allora i Longobardi hanno copiato i romani?
No, infatti la legislazione longobarda è molto originale nel complesso. Tuttavia non bisogna dimenticare che i Longobardi avevano sempre a disposizione le leggi romane a cui guardavano come a un modello, come uno schema di lavoro, una guida per la stesura. A volte poteva succedere che si riportassero in modo uguale pezzi di leggi romane nelle leggi longobarde, come nel caso del prologo dell’Editto di Rotari, in cui, c’è una parte che sembrerebbe presupporre una stesura passata di tale editto, cosa ovviamente impossibile. C’è questa ambiguità proprio perché il pezzo è stato copiato fedelmente dalla novella 7 del Corpus iuris civilis dell’imperatore Giustiniano. Forse una semplice stesura meccanica? O forse per segnare un nuovo inizio, distaccandosi dal passato?
Chi scriveva le leggi longobarde?
Erano o i Romani stessi, spesso esponenti del clero, o persone con una solida cultura romana.
Il linguaggio usato qual era?
Sicuramente il lessico giuridico usato era molto vario, in quanto comprendeva:
- termini longobardi, più o meno adattati alla morfologia latina;
- parole che conservavano accezioni tecniche del latino giuridico;
- parole con significati più recenti;
- parole con significati rimodellati;
- parole con rideterminazione semantica.
Ma facciamo qualche esempio. Tra le parole che mantengono un significato latino, abbiamo:
- Auctor e venditor che significano entrambe ‘venditore’;
- Emere e conparare ‘comprare’
Ci sono parole latine a cui viene attribuito un significato tecnico:
- Exercitus che in latino classico significava ‘esercito’, viene inteso anche come ‘popolo longobardo come insieme di uomini guerrieri’;
- Inimicitia, classicamente ‘inimicizia’, assume il significato di ‘stato di guerra privata che coinvolgeva i gruppi parentali dell’offeso e dell’offensore’;
- Inimicus ‘nemico’, ma anche ‘Diavolo’ oppure ‘chi è coinvolto in una guerra privata’;
- In capillo nel senso di ‘donna nubile’, perché le donne nubili avevano il capo scoperto, a differenza delle donne sposate che lo avevano coperto;
- Fabula ‘favola’, con il significato di ‘accordi’;
- Certamen ‘gara’, come ‘duello giudiziario.
Alcuni tecnicismi giuridici diventano polisemici (ossia possono avere più significati):
- Absolvere poteva significare ‘prosciogliere’ ma anche ‘manomettere, affrancare un servo’ oppure ‘permettere, consentire’;
- Quaestor ‘accusatore’, ma anche ‘creditore’.
Ma sorge spontanea una domanda, come si è fatto a capire cosa significhino i termini longobardi veri e propri? Grazie alle glosse e ai glossari, che in situazioni come queste sono particolarmente utili. Ad esempio sappiamo che meta e metfia significavano ‘dono nuziale’, morgingab ‘dono del mattino, dono matrimoniale fatto dal marito alla moglie il giorno dopo il matrimonio’, wadia ‘pegno, garanzia’, frater e germanus (quest’ultimo è più che altro un tecnicismo), thinx ‘donazione legale’ e faida ‘inimicizia. stato di guerra privata’ (questo termine, tra l’altro, lo usiamo ancora oggi!).
Insomma, tirando le somme, si può dire che non solo i Longobardi non sono stati il popolo irruento che ha distrutto tutto e cancellato la cultura romana, ma è proprio grazie al loro lavoro di sistematizzazione, di arricchimento e di rielaborazione che abbiamo ricevuto le basi del diritto odierno senza contare anche le parole longobarde che usiamo ancora quotidianamente come russare, scaffale, bara o guancia.
Elena Sola Orlando
PER APPROFONDIRE:
AZZARRA CLAUDIO, GASPARRI STEFANO, Le leggi dei Longobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo germanico, Viella, Roma, 2005.
D’ARGENIO ELISA, Il lessico giuridico delle leggi longobarde, tesi di dottorato, Napoli, 2017.