“…c’era passione in me, per la pittura”.

Lalla Romano, Nei mari estremi 

 

 

La produzione poetica e narrativa di Lalla Romano (1906-200) risulta segnata da due elementi che possono aiutarci a comprendere meglio il suo rapporto con il Medioevo, un periodo storico che è ben presente tra le righe della sua opera: il primo riguarda l’argomento della sua tesi di laurea in Filologia romanza, discussa presso l’Università di Torino nel 1928 e pubblicata nel 2007, che la impegnò nello studio critico delle Rime di Cino da Pistoia (1270-1336) in un confronto serrato con il fenomeno dello Stilnovo; il secondo il suo essere anche pittrice e quindi conoscitrice della storia dell’arte, che si tradusse in un costante ricorso a immagini tratte dalle arti figurative e a termini aggettivanti che rimandano a puntuali categorie critiche. 

Voglio fin da subito precisare che questo contributo, lungi dal voler essere esaustivo, intende proporre alcuni spunti, che, si spera, sappiano comunque spingere verso l’opera della Romano con una sensibilità diversa, non scevra da una ricerca curiosa di altri riferimenti e suggestioni medievali.

Partirei dall’opera poetica, con cui la stessa Romano esordì nel 1941, un’opera che mostra come lo studio della lirica duecentesca segnò il suo linguaggio, accompagnandola fin nella sua tarda produzione – nell’introduzione a Poesie per Giovanni, una raccolta pubblicata postuma nel 2007, Giovanni Tesio definisce infatti le sue poesie “databili ma non datate, perché si tratta di poesie che procedono sempre da emozioni non deperibili, per l’energia che le muove, nell’esattezza dei primitivi come Cino da Pistoia”. Ma torniamo ai suoi esordi. La prima raccolta poetica si intitola Fiore, e ha proprio nella lirica medievale una delle sue fonti. Tale influenza si coglie principalmente in tre aspetti: nella scelta stessa del titolo, che richiama l’espressione latina Florilegium, termine che nella letteratura medievale designava una raccolta di componimenti poetici; nelle soluzioni metriche adottate, con l’uso di strofe come distici, terzine e quartine, e di versi come l’endecasillabo e il novenario; e nella concezione dell’amore di impronta stilnovista, intesa quindi come forza capace di nobilitare l’animo umano, rielaborata dalla Romano in modo originale ovvero senza mai cadere nella mera imitazione ma traducendosi in uno degli strumenti espressivi della soggettività secondo esigenze proprie della poesia moderna. Solo un esempio, che riprendo da uno studio di Daniel Raffini: la poesia Amore, che richiama proprio gli stilemi della poesia stilnovista, si apre con il verso “Un tempo amore mi addusse”, calco dell’incipit del sonetto dantesco “Un dì si venne a me Malinconia”. A ciò si aggiunga la presenza nello stesso sonetto di Dante della personificazione dell’amore, “che venia/ vestito di novo d’un drappo nero,/ e nel suo capo portava un cappello”, un’immagine figurale medievale che ritorna in diversi componimenti della Romano e che ha suggerito di indicare tra le sue fonti anche i romanzi cavallereschi francesi.

Veniamo ora al libro Nei mari estremi (1987), citato nel titolo, e qui preso come esempio significativo di “Medioevo tra le righe”. Accanto al poliedrico interesse di Lalla Romano per la pittura, che si traduce in una galleria di nomi che comprende Modigliani, De Chirico, Carpaccio, Giorgione, Courbet, Correggio, e Cranach, emergono infatti diversi riferimenti al mondo medievale, che vanno a porsi come immagini in assenza capaci di accentuare la forza visiva del suo linguaggio. 

Un primo passaggio su cui vorrei soffermarmi riguarda l’abbigliamento e ci riporta alla mente le figure femminili che popolano alcuni cicli pittorici del XIV secolo, come gli Effetti del Buon Governo di Pietro Lorenzetti (Siena, Palazzo Pubblico, Sala della Pace; 1338-39)

fetti del Buon Governo di Pietro Lorenzetti (Siena, Palazzo Pubblico, Sala della Pace)

o le Storie di Sant’Orsola che Tommaso da Modena dipinse in una cappella della chiesa di Santa Margherita degli Eremitani a Treviso, ora conservate nel Museo Santa Caterina (1355-58): qui le vesti sono ancora ampie e morbide in linea con una moda che di lì a poco lascerà il passo a tagli più aderenti.

“Il tempo era grigio, lassù c’era vento e freddo; al ritorno scendemmo correndo fuori dai sentieri. Io indossavo un abito elegante, suppongo per lui. […] Era lungo e liscio, nero, di seta molto pesante e molle; assomigliava agli abiti delle donne negli affreschi del ‘300” (cap. 13).

 

Altri riferimenti a un immaginario medievale, venato, per l’indeterminatezza dei riferimenti, da possibili suggestioni paleocristiane, riportano sulla pagina e quindi nella mente del lettore ora le espressioni dei visi di certi profeti, come quelli che campeggiano nel ciclo musivo di Sant’Apollinare nuovo a Ravenna (VI sec.), ora le tonalità degli incarnati delle figure dipinte: 

 Profeta, Ravenna, Sant’Apollinare nuovo

Grandi vecchi sono in tutta la pittura; i profeti dei mosaici, coi loro occhi limpidi, le teste solenni ieratiche” (cap. 70);

Mi piaceva che risultassimo, anche per il colore, un uomo e una donna come nelle pitture arcaiche” (cap. 37).

 

E qui Lalla Romano sembra richiamare una delle pratiche pittoriche che Cennino Cennini riporta nel suo Libro dell’Arte, un trattato trecentesco di tecniche artistiche, dove leggiamo “L’uomo bello vuole essere bruno, e la femmina bianca” (cap. LXX), a indicare come gli incarnati dovessero essere differenziati attraverso un’attenta modulazione dei toni, rendendo più scuri quelli maschili e perlacei quelli delle donne.

 

E se nel capitolo 97 non manca la concretezza di un ambiente architettonico frequentato dalla scrittrice e definito secondo una precisa categoria critica, quella della purezza delle forme – “Quando andavo ancora in chiesa preferivo il Carmine [di Milano], più pura, di struttura romanica” -, il debito di Lalla Romano nei confronti del mondo figurale medievale, a cui ricorre per dare concretezza a sensazioni forti e profonde, che passano dalla vita, alla poesia, alla scrittura, attraverso il filtro delle immagini, è dichiarato in questo passaggio che riporto in conclusione:

 

Una poesia «espressionista», credo degli anni quaranta, ha immagini molto forti, dettate dall’angoscia della separazione:

 

tu vai lontano

ed io scateno dietro a te la muta

degli ansanti segugi

ti raggiunge

dovunque l’esercito implorante

ascolta: in mezzo al cielo

angeli dissennati

senza ritegno gridano il tuo nome.

 

Quest’ultima immagine è figurale (medievale): gli angeli sono quelli della Deposizione di Giotto ad Assisi” (cap. 67).

Giotto, Deposizione dalla croce, Assisi, Basilica Superiore

E di Giotto “tra le righe” avremo di nuovo modo di parlare.

 

Federica Volpera

 

Per approfondire:

RAFFINI DANIEL, “Dipingo sempre mentre guardo”: Lalla Romano tra immagine e parola, in IGLESIAS REDONDO MARÍA ROSA, PUIG GUISADO JAIME, (coordinadores), Intersecciones: relaciones entre artes y literatura, Benilde Ediciones, Sevilla 2017, pp. 116-128

  • La poesia di Lalla Romano, in MILAGRO MARTIN CLAVIJO, MATTIA BIANCHI, (coordinadores),  Desafiando al olvido: escritoras italianas inéditas, Ediciones Universidad de Salamanca, Salamanca 2018, pp. 435-447

ROMANO LALLA, La lirica di Cino da Pistoia, Nino Aragno, Torino 2007

  • Nei mari estremi, Mondadori, Milano 1987

Sito: http://www.lallaromano.it/ 

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Written by : Redazione

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One Comment

  1. Laura Poggio 5 Settembre 2023 at 22:45 - Reply

    Uno studio molto interessante etimolante .un artico che si legge tutto d’un fiato con comparazioni e spunti originali che interpretano una similitudine tra due periodi storici , tra due mondi che sembrano lontani ma che invece avvicinano il lettore in modo spontaneo e accattivante a una lettura stimolante e comparativa.

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