Come un nano rimproverò Balin della morte di Lanceor, e come re Marco di Cornovaglia trovò gli amanti e innalzò loro un sepolcro
Mentre Balin e Balan stavano parlando, dalla parte di Camelot sopraggiunse al galoppo un nano che, alla vista dei corpi degli amanti, cominciò a lamentarsi e a strapparsi i capelli.
«Chi è stato?» chiese poi ai fratelli. «Perché lo domandate?» replicò Balan. «Voglio saperlo.»
«Sono stato io» rispose allora Balin. «Ho ucciso il cavaliere per difesa: mi aveva inseguito e mi avrebbe messo a morte se non lo avessi fatto io. La damigella, invece, si è uccisa per amore. Io ne sono molto addolorato e, in suo nome, mi sono ripromesso di mostrare il più grande affetto a tutte le donne.»
«Ahimè, vi siete messo in un guaio perché questo cavaliere era molto valoroso, e siate certo che i suoi parenti vi daranno la caccia per ogni terra finché non vi avranno ucciso.»
«Non li temo; ma sarei davvero triste se la sua morte mi facesse cadere in disgrazia presso il mio signore Artù» replicò il giovane.
Giungeva intanto re Marco di Cornovaglia che, visti i cadaveri e indovinato quello che era accaduto, si mostrò commosso per l’amore che doveva avere unito gli amanti e dichiarò che avrebbe fatto costruire per loro un sepolcro nel luogo stesso in cui erano morti. Poi impartì l’ordine che i suoi padiglioni fossero rizzati nei pressi e andò in cerca di una lastra sepolcrale. Quando ne trovò una bella e preziosa in una chiesa sotterrò gli amanti e sulla lastra che chiudeva la tomba fece incidere i loro nomi e queste parole:
QUI GIACCIONO LANCEOR FIGLIO DEL RE D’IRLANDA,
CHE SFIDÒ BALIN A DUELLO E FU UCCISO, E LA SUA DAMA, COLOMBA, CHE PER IL DOLORE E IL CORDOGLIO SI DETTE LA MORTE CON LA SPADA DELL‟AMATO.
Come Merlino profetizzò che ser Lancillotto e ser Tristano, due tra i migliori cavalieri del mondo, si sarebbero battuti in quello stesso luogo
Qualche tempo dopo Merlino si presentò a re Marco, ammirò la sua opera e gli disse:
«In questo stesso luogo i due cavalieri più leali in amore che saranno mai esistiti, ser Lancillotto del Lago e ser Tristano, si batteranno nello scontro più cruento che si possa immaginare, e tuttavia non resteranno uccisi.» Poi fece scrivere a lettere d’oro i loro nomi sulla lastra tombale. «Siete un uomo straordinario a parlare di simili portenti» osservò re Marco. «Ma siete anche rude e scortese perché narrate fatti come questi. Come vi chiamate?»
«Per ora non ve lo dirò, ma quando ser Tristano sarà sorpreso con la sua regina udrete e conoscerete il mio nome e saprete cose che non vi piaceranno» gli rispose Merlino.
Poi si rivolse a Balin aggiungendo: «Vi siete tirato addosso la sventura allorché non avete fermato la mano della damigella; se l’aveste voluto avreste potuto farlo.» «Sulla mia parola, non avrei potuto perché si è uccisa all’improvviso» esclamò Balin. «Mi dispiace, ma a causa della sua morte voi infliggerete il colpo più doloroso che sarà mai stato vibrato dopo quello che si abbatté su Nostro Signore, perché ferirete il cavaliere più leale e onorato del mondo, e per dodici anni tre regni saranno ridotti alla miseria, all’infelicità e alla sofferenza. Passeranno poi molti altri anni prima che il cavaliere ferito guarisca.»
Infine chiese congedo. «Se fossi certo che avete detto la verità, compirei un’impresa pericolosa in modo da restarne ucciso: così farei di voi un mentitore» gli disse Balin.
Ma Merlino era già scomparso. Allora il giovane e il fratello fecero per accomiatarsi da re Marco, che chiese loro il nome dell’uccisore della damigella. «Sire» gli rispose Balan «come vedete egli porta due spade, perciò potrete chiamarlo il Cavaliere dalle Due Spade.»
Mentre re Marco prendeva la strada per Camelot, Balin si dirigeva con il fratello verso re Rience. In cammino si imbatterono in Merlino, che non riconobbero perché si era travestito e che chiese loro dove stessero andando. «Non vi è motivo di rispondervi» replicò Balin, domandandogli a sua volta il nome. «Ora non ve lo dirò.»
«E un cattivo segno: se foste un uomo leale dovreste dircelo» osservarono i due cavalieri. «Sia come sia» ribattè Merlino. «Posso dirvi però che avete preso questa strada per incontrare re Rience, ma che non farete nulla senza il mio consiglio.» «Ah, siete Merlino!» esclamò Balin. «Allora ci faremo guidare da voi.»
«Se verrete con me vi farete onore, ma badate di comportarvi da cavalieri perché ne avrete bisogno.»
«Non temete, faremo tutto quello che potremo» gli rispose Balin.
Come Balin e il fratello, consigliati da Merlino, catturarono re Rience e lo portarono da Artù
Merlino li accompagnò in un bosco frondoso vicino alla strada, tolse le briglie ai cavalli e li fece pascolare, poi esortò i fratelli a riposare. Verso mezzanotte ordinò loro di alzarsi e di prepararsi, perché Rience si stava avvicinando. Il re infatti aveva preso sessanta dei suoi migliori cavalieri e si era messo in cammino mandandone avanti venti ad avvisare la dama di Vance del suo arrivo, perché quella notte si sarebbe coricato con lei.
«Qual è il re?» chiese Balin a Merlino. «Aspettate e lo vedrete presto.»
E infatti poco dopo lo indicò ai fratelli; allora Balin e Balan gli si avventarono contro, lo colpirono e lo ferirono gravemente, lasciandolo riverso in terra; poi uccisero a dritta e a manca più di quaranta uomini. Mentre gli altri si davano alla fuga, Balin e Balan tornarono da re Rience per mozzargli il capo, ma il ferito implorò misericordia, dicendo: «Risparmiatemi, prodi cavalieri. Dalla mia vita potreste ricavare dei vantaggi che non otterreste con la mia morte.» Balin e Balan ne convennero, e lo deposero su una lettiga a cavalli. Intanto Merlino era scomparso e si era presentato da Artù, per riferirgli che il suo peggiore nemico era stato sconfitto e fatto prigioniero da due cavalieri desiderosi di averlo come loro signore; il giorno dopo il re avrebbe saputo il loro nome. Poco dopo il Cavaliere dalle Due Spade e il fratello arrivarono a corte con Rience, che affidarono in custodia ai guardiani delle porte. E, dopo che all’alba essi furono ripartiti, Artù andò a dare il benvenuto al vinto.
«Ditemi quale avventura vi ha condotto qui» gli chiese poi. «Fu una mala ventura, sire!»
«Chi vi ha vinto?» «Il Cavaliere dalle Due Spade e suo fratello, due campioni di straordinario valore.»
«Non li conosco, ma sono molto obbligato verso di loro.» «Ora, sire, vi dirò io chi sono» intervenne Merlino. «Uno è quel Balin che conquistò la spada, l’altro suo fratello Balan. Sono entrambi cavalieri valorosi e onorati, ma Balin non vivrà a lungo, e la sua morte provocherà un immenso dolore.»
«È un vero peccato!» esclamò Artù. «Gli devo molto e ho mal meritato la sua cortesia.» «Sire, come presto potrete vedere egli farà ancora molto per voi. Ora ditemi se siete ben munito, perché domani prima di mezzogiorno Nero, fratello di re Rience, vi attaccherà con un grande esercito. Voi perciò preparatevi, io devo andare.»
Come re Artù combattè contro Nero e re Lot di Orkney, e in qual modo questi fu ingannato da Merlino e dodici re furono uccisi
Re Artù suddivise i propri uomini in dieci battaglioni, quanti ne aveva Nero, ma molto meno consistenti. Questi intanto era sceso in campo davanti al castello di Terrabil e aveva formato un’avanguardia composta dalla maggior parte dei suoi; ma, poiché Merlino si era recato da re Lot dell’isola di Orkney e lo aveva trattenuto parlandogli di una profezia, Nero e tutte le sue genti furono sbaragliati.
In quell’occasione ser Kay il Siniscalco combattè con grande valore, tanto che per tutta la vita non ne perse più il merito. Anche ser Hervis di Revel compì magnifiche prodezze, e Artù uccise venti cavalieri e ne mutilò quaranta. Alla battaglia parteciparono anche il Cavaliere dalle Due Spade e il fratello Balan, e compirono tali gesta che tutti dissero ammirati che dovevano essere angeli mandati dal cielo o diavoli venuti dall’inferno, e lo stesso Artù dichiarò che erano i migliori cavalieri che avesse mai visto. Ma a un certo punto qualcuno avvertì re Lot che, mentre egli indugiava, Nero e le sue genti venivano distrutti e uccisi.
«Ahimè, è una vergogna che la mia assenza provochi la morte di tanti valentuomini!» esclamò Lot. «Se io e Nero ci fossimo battuti fianco a fianco, nessun esercito sarebbe stato capace di eguagliarci. Quell’impostore mi ha beffato con la sua profezia!» Merlino, infatti, sapeva che quel giorno un re sarebbe morto e che, se re Lot avesse partecipato al primo scontro, Artù sarebbe stato ucciso e le sue genti sbaragliate; così, pur desiderando che si salvassero entrambi i sovrani, aveva preferito fosse Lot a soccombere.
«Sarà meglio trattare o combattere contro Artù?» si chiedeva intanto questi. «Attaccateli, sire. I suoi uomini sono stanchi per la lunga lotta e noi siamo ancora freschi» gli suggerì un cavaliere. «Allora, che tutti facciano la loro parte, io farò la mia!» decise re Lot. Le bandiere furono dispiegate e i combattenti si scontrarono e spezzarono le lance. Ma i cavalieri di Artù, con l’aiuto del Cavaliere dalle Due Spade e del fratello Balan, ebbero presto la meglio. Infatti, per quanto Lot compisse magnifiche prodezze tenendosi sempre in prima fila, sostenendo le proprie genti e affrontando i nemici, tuttavia non potè resistere a lungo, e fu un vero peccato che un cavaliere tanto valoroso, che era appartenuto alla corte di Artù, dovesse essere sopraffatto. Ma era il marito della sorella del re e ne era divenuto nemico, dacché Artù si era coricato con sua moglie concependo in lei Mordred.
Ora accadde che nella mischia Pellinor, il valoroso cavaliere che veniva chiamato il Cavaliere della Bestia Latrante, assestasse un colpo possente a Lot: fallito il bersaglio, la spada si abbatté invece sul collo del destriero facendolo cadere in terra insieme al re; allora Pellinor vibrò un altro fendente che spaccò a Lot l’elmo e il capo fino alla fronte. Morto il sovrano, l’esercito di Orkney si dette alla fuga perdendo molti altri uomini.
Più tardi Pellinor avrebbe pagato per il proprio gesto, perché ser Galvano, dieci anni dopo essere stato fatto cavaliere, lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani per vendicare la morte del padre. Nella battaglia perirono anche dodici sovrani del partito di re Lot, che furono sepolti tutti insieme nella chiesa di Santo Stefano a Camelot, mentre gli altri caduti erano stati inumati in una grande caverna.
Della sepoltura dei dodici re, e come Merlino profetizzò che Balin avrebbe inferto il Colpo Doloroso
Per la sepoltura arrivarono la moglie di Lot, Morgawse, con i quattro figli Galvano, Agravano, Gaheris e Gareth, oltre a re Uriens, padre di ser Ivano, e a Morgana la Fata, sua moglie e sorella di Artù. Il re ordinò che la tomba di Lot fosse molto più sfarzosa di quella degli altri sovrani e volle seguire i lavori di persona. Poi, con l’aiuto delle sottili arti di Merlino, fece scolpire dodici immagini di ottone e di rame dorato che riproducevano le fattezze dei re e tenevano in mano dodici candele di cera che ardevano giorno e notte. Una statua raffigurante Artù con la spada snudata in pugno le sovrastava tutte.
«Quando sarò morto le candele cesseranno di ardere, e poco dopo voi affronterete e porterete a compimento le avventure del Sangrail» disse poi Merlino al re. Aggiunse che Balin, l’onorato cavaliere dalle Due Spade, avrebbe inferto il Colpo Doloroso che avrebbe causato tremende vendette. «Dove sono Balin, Balan e Pellinor?» gli domandò Artù. «Incontrerete presto Pellinor, e Balin non rimarrà a lungo lontano da voi, ma suo fratello partirà e non lo rivedrete più. Badate, sire, di conservare con cura il fodero di Excalibur e ricordate che finché l‟avrete con voi le vostre ferite, per quanto gravi, non sanguineranno.»
Ma poco tempo dopo il re, che nutriva una profonda fiducia nella sorella Morgana la Fata, le affidò il fodero, e la dama, che amava un cavaliere di nome Accolon più di quanto amasse re Uriens e lo stesso Artù del quale anzi voleva la morte, fece per incantesimo un fodero del tutto simile a quello, e consegnò l’altro all’amante che in seguito fu sul punto di uccidere il re.
Come un cavaliere dolente si presentò da Artù, come poi Balin lo andò a cercare, e come quel cavaliere fu ucciso da un avversario invisibile
Passarono uno o due giorni e Artù, sentendosi poco bene, fece rizzare un padiglione in un prato e si distese per dormire su un pagliericcio. Non riusciva a trovare riposo, quando ad un tratto udì un forte scalpiccio di cavalli; allora guardò fuori dalla porta e vide passare un cavaliere che sembrava oppresso da un profondo dolore.
«Fermatevi, bel signore, e ditemi perché siete tanto triste» gli domandò il re. «Potete fare poco per me» rispose quello, allontanandosi in direzione del castello di Meliot. Intanto sopraggiungeva Balin che smontò di sella, si avvicinò al re a piedi e lo salutò. «Siate il benvenuto» gli disse il sovrano. «Or non è molto, è passato di qui un cavaliere che mostrava i segni di una profonda afflizione per qualcosa che non saprei dirvi. In nome della vostra cortesia, vi chiederei di farlo tornare per amore o per forza.»
«Per vostra signoria farei ben più di questo» fu la risposta di Balin, che si affrettò a gettarsi al galoppo, sì che poco dopo trovò il cavaliere nella foresta in compagnia di una damigella. «Signore, dovete venire con me da Artù per spiegargli cosa vi affligge» gli disse allora. «Non lo farò, perché danneggerebbe molto me e non gioverebbe a voi» gli rispose lo sconosciuto. «Vi prego di venire con me, messere» insistè Balin. «Altrimenti dovrò battermi e, per quanto mi ripugni, sarò costretto a condurvici con la forza.» «Se verrò mi farete da mallevadore?» gli chiese il cavaliere. «Sì, a costo della vita.»
Allora lo sconosciuto si decise ad accompagnarlo lasciando sola la damigella. Ma erano appena arrivati davanti al padiglione di Artù che un cavaliere invisibile lo trapassò con una lancia. «Ahimè, mi ero affidato a voi e Garlon mi ha ucciso!» esclamò il ferito. «Prendete il mio cavallo, che è migliore del vostro, e correte dalla damigella che vi mostrerà la strada per proseguire la mia ricerca. Poi, quando potrete, vendicherete la mia morte.» «Ve lo prometto e ne faccio voto in nome della cavalleria» rispose Balin allontanandosi addolorato.
Artù provvide a un’onorevole sepoltura per il cavaliere e sulla tomba fece scrivere che vi giaceva Herlews il Barbuto, ucciso a tradimento da Garlon. Da allora la damigella portò sempre su di sé il troncone della lancia con cui Herlews era stato messo a morte.
Come Balin incontrò Garlon a un banchetto e lo uccise per trarre da lui il sangue che avrebbe guarito il figlio del suo ospite
Balin e la damigella cavalcavano da tre o quattro giorni senza incontrare avventure quando presero per caso alloggio nella casa di un ricco gentiluomo. Durante il desinare, sentendo dei lamenti accorati provenire da una camera vicina, Balin chiese all’ospite di che si trattasse.
«Recentemente, signore, ho partecipato a una giostra e mi sono battuto con un cavaliere fratello di re Pellinor. L’ho atterrato due volte, e quello ha giurato che si sarebbe vendicato sulla persona che amo di più, e ha ferito mio figlio, che guarirà solo con il sangue del cavaliere invisibile di cui non conosco il nome.» «Ma lo conosco io!» esclamò Balin. «Si chiama Garlon e ha ucciso un mio cavaliere facendomi un tale affronto che preferirei battermi con lui piuttosto che possedere tutto l’oro del mondo.»
«Allora vi dirò cosa dovrete fare » gli disse l’ospite. «Re Pellam di Listenoise ha fatto bandire per la contrada che tra venti giorni terrà una grande festa cui potranno partecipare solo cavalieri accompagnati dalla moglie o da un’amica. Quel giorno incontrerete il nostro nemico.»
«Vi prometto che avrete il suo sangue per vostro figlio.» Così il mattino dopo il giovane partì con la damigella e con il gentiluomo, e due settimane più tardi raggiunse Pellam proprio nel giorno in cui aveva inizio la grande festa. Smontati e condotti i cavalli nelle scuderie, i tre si recarono al castello, ma l’ospite di Balin non fu lasciato entrare perché non aveva dama; Balin, invece, fu accolto con cortesia, accompagnato in una stanza, disarmato e rivestito con bellissimi abiti. Ma quando lo invitarono a deporre la spada egli rispose:
«Non lo farò, perché nel mio paese è costume che un cavaliere non si separi mai dalla propria arma. Osserverò quest’usanza oppure ripartirò come sono venuto.» Allora gli fu concesso di tenere la spada e fu condotto nella sala e fatto sedere tra cavalieri d’onore cui il giovane chiese se vi fosse anche Garlon.
«È quello laggiù con la faccia tutta nera» gli rispose uno. «È il cavaliere più straordinario che vi sia al mondo e ha ucciso molti avversari valorosi rendendosi invisibile.»
«Ah, è proprio quello!» esclamò Balin, immergendosi poi in profondi pensieri.
“Se lo ucciderò qui non avrò scampo” si disse. “Ma se lo lascio stare adesso, può darsi che non abbia mai più un’altra occasione, ed egli provocherà ulteriori danni.” Ma Garlon, che aveva notato che Balin lo osservava, gli si avvicinò e lo colpì al viso col dorso della mano dicendogli: «Perché mi guardate così, cavaliere? Vergognatevi! Mangiate, piuttosto, e fate quello per cui siete venuto.» «Avete ragione» si decise allora Balin. «Non è il primo affronto che mi recate e quindi farò proprio quello per cui sono venuto qui.» Si alzò di scatto e gli spaccò la testa fino alle spalle. Poi si rivolse alla damigella e le disse: «Datemi il troncone della lancia con cui ha ucciso il vostro cavaliere.» La fanciulla si affrettò a porgerglielo, e Balin ne trapassò Garlon esclamando: «Con questo avete messo a morte un buon cavaliere: ora esso è infitto nel vostro corpo!» Infine andò dall’uomo che lo aveva ospitato e gli disse: «Adesso potete prendere il sangue che vi serve per curare vostro figlio.»
Come Balin si batté con re Pellam e spezzò la propria spada, e come prese la lancia con cui inflisse il Colpo Doloroso
Tutti i cavalieri presenti balzarono in piedi per assalire Balin, mentre re Pellam gli diceva indignato: «Perché hai ucciso mio fratello? La pagherai con la vita.» «Allora battetevi di persona» replicò Balin.
«Lo farò per amore di mio fratello» dichiarò il re, che poi afferrò un’arma e cercò di colpire Balin con tutte le sue forze. Ma il giovane riuscì a parare il colpo con la spada, che tuttavia gli si spezzò in due. Rimasto disarmato, si precipitò allora alla ricerca di un’altra arma entrando prima in una stanza poi in un’altra e in un’altra ancora, senza riuscire a trovare nulla e sempre incalzato dappresso da re Pellam. Infine varcò la porta di una camera meravigliosamente decorata e vide che vi si trovava un uomo disteso su un letto coperto dai più splendidi drappi d’oro che si possano immaginare. Vicino al letto, su un tavolo d’oro puro sorretto da quattro zampe d’argento, era posata una lancia di singolare fattura. Balin la afferrò, si volse a fronteggiare Pellam e lo colpì con forza, facendolo cadere in terra privo di sensi. Allora il tetto e le mura del castello crollarono e anche Balin fu gettato al suolo, dove rimase senza potersi muovere.
Come Balin fu liberato da Merlino e salvò un cavaliere che voleva uccidersi per amore
Per tre giorni Pellam e Balin restarono sepolti sotto le rovine del castello che era diroccato a causa del Colpo Doloroso. Ma poi arrivò Merlino che aiutò il giovane a rialzarsi, gli procurò un buon cavallo poiché il suo era morto e gli ordinò di lasciare il paese. «Vorrei trovare la mia damigella» gli disse Balin. «Ecco dove giace morta!» gli rispose Merlino indicando le rovine del castello. Da allora re Pellam rimase infermo per molti anni, e guarì solo quando fu curato da Galahad, il nobile principe, nel corso della ricerca del Sangrail – il bacile che conteneva il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo portato in Inghilterra da Giuseppe d’Arimatea, cui un tempo era appartenuto anche lo splendido letto. La lancia che aveva inferto il Colpo Doloroso era la stessa con cui Longino aveva ferito Nostro Signore al cuore, e poiché re Pellam era affine alla stirpe di Giuseppe e l’uomo più degno di quei tempi, la sua infermità provocò dolore, lutti e pene.
Mentre Balin prendeva commiato da Merlino, quest’ultimo gli rivelò che non si sarebbero mai più incontrati. Il giovane attraversò città e amene campagne trovando ovunque gente morta e uccisa, mentre i sopravvissuti gli gridavano: «Balin, hai portato la sventura nel nostro paese perché il Colpo Doloroso inferto a re Pellam ha distrutto tre contrade. Ma sta’ certo che la vendetta si abbatterà sul tuo capo!» Uscito da quelle terre, Balin si sentì molto sollevato e continuò a cavalcare per otto giorni senza incontrare avventure, finché scorse una torre che si elevava in una valle nel folto di una bella foresta. Legato a un albero vi era un grosso cavallo da battaglia accanto a cui sedeva un cavaliere bello e ben fatto che si lamentava forte.
«Dio vi salvi!» lo salutò Balin. «Ditemi perché siete tanto addolorato e io farò tutto quello che potrò per darvi sollievo.» «Signor cavaliere, invece mi causate una grave pena perché ero immerso in ameni pensieri e voi ora avete rinnovato il mio dolore» gli rispose lo sconosciuto. Allora Balin si allontanò un poco, e stava accudendo al proprio cavallo quando lo sentì dire: «Bella signora, perché avete mancato alla vostra parola! Mi avevate promesso di incontrarmi qui a mezzogiorno, e adesso non mi resta che maledirvi per avermi donata la spada con cui mi ucciderò.» E intanto aveva estratto l’arma. Ma Balin fu lesto a corrergli accanto e ad afferrargli la mano. «Lasciatemi o vi ucciderò!» esclamò lo sconosciuto.
«Non ce ne sarà bisogno» replicò Balin. «Prometto che vi aiuterò a far tornare da voi la vostra dama, ma dovete dirmi dove si trova.» «Come vi chiamate?» «Balin il Selvaggio.»
«Ah, signore, vi conosco bene: siete il valoroso Cavaliere dalle Due Spade.»
«E il vostro nome qual è?» domandò a sua volta Balin. «Garnish della Montagna. Sono figlio di un uomo povero, ma il mio valore e il mio coraggio mi hanno valso di essere fatto cavaliere dal duca Hermel, che mi ha donato anche delle terre. Amo sua figlia e credevo ch’ella mi ricambiasse.» «Quanto è lontana da qui?»
«Solo sei miglia.» «Allora andiamo» disse Balin. I due cavalieri cavalcarono veloci e arrivarono ai piedi di un bel castello circondato da buone mura e da fossati. «Entrerò io e guarderò se è qui» disse Balin. La cercò in varie camere, e in una trovò il suo letto, ma la damigella non c’era. Allora guardò in un bel giardinetto e la vide distesa su una trapunta di sciamito verde sotto un albero d’alloro, strettamente abbracciata a un cavaliere e con la testa riversa sull’erba. Era una fanciulla bellissima, mentre l’uomo con il quale si accompagnava era il più brutto che egli avesse mai visto. II giovane riattraversò il castello e andò a riferire a Garnish, poi lo guidò al giardinetto.
Come Gamish uccise la dama che amava e colui che giaceva con lei, come poi si diede la morte con la propria spada, e come Balin si diresse verso il castello dove avrebbe perso la vita
Alla vista della damigella abbracciata al cavaliere, Garnish fu preso da un tale dolore che cominciò a perdere sangue dalla bocca e dal naso. Poi afferrò la spada e con un solo colpo spiccò la testa agli amanti. «Oh, Balin, che dolore mi hai causato!» si lamentò infine. «Avrei potuto sopportare la mia pena se tu non mi avessi mostrato questo spettacolo.» «Ma io l’ho fatto per rafforzare il tuo coraggio e perché tu cessassi di amare la damigella di cui avevi constatato con i tuoi stessi occhi l’infedeltà̀. Dio sa se non ho fatto altro che quello che vorrei tu facessi per me.» «Ora il mio dolore è due volte più grande di quanto possa sopportare!» ripetè Garnish. «Ho ucciso colei che ho amato di più al mondo.»
Così dicendo si gettò sulla spada e se la fece penetrare in corpo fino all’elsa. Allora Balin si affrettò ad allontanarsi per paura che si dicesse che li aveva uccisi tutti lui. Cavalcò per tre giorni, poi arrivò davanti a una croce su cui erano incise in lettere d’oro le seguenti parole:
NESSUN CAVALIERE SOLITARIO DEVE OSARE DI PROCEDERE VERSO QUESTO CASTELLO.
«Balin il Selvaggio, venendo in questa contrada hai varcato i tuoi confini. Sarà meglio che torni indietro» gli disse un vecchio gentiluomo canuto che gli era venuto incontro. Poi scomparve, e agli orecchi di Balin giunse un suono di corno che sembrava annunciare la morte di una preda. “Questo corno suona per me. Sono io la preda, anche se non sono ancora morto” pensò il giovane. Ed ecco che comparvero un centinaio di dame e numerosi cavalieri che gli dettero il benvenuto e lo festeggiarono con cortesia; poi lo condussero nel castello dove vi erano danze, musiche di menestrelli e ogni sorta di svaghi e dove la dama del luogo gli disse:
«Cavaliere dalle Due Spade, dovrete giostrare con un campione che è a guardia di un’isola vicina, perché chiunque passa da qui deve soggiacere a questo costume prima di poter proseguire per il proprio cammino.»
«È un’usanza deplorevole » osservò Balin «ma se così deve essere, sono pronto. Spesso i viaggiatori sono stanchi come pure i loro cavalli, e tuttavia, per quanto il mio destriero sia spossato, il mio cuore è fresco. Quindi sarò lieto di battermi anche se dovessi trovarvi la morte.»
«Mi sembra che il vostro scudo non sia in buone condizioni, signore» gli disse un cavaliere. «Vi prego di permettermi di offrirvene uno più grande.» Così Balin lasciò il proprio scudo e ne prese uno dall’impresa sconosciuta, poi si diresse verso l’isola, montò con il cavallo su una grande imbarcazione e, giunto sull’altra sponda, incontrò una damigella che gli disse: «Perché avete lasciato il vostro scudo, Balin? Vi siete esposto a un grave rischio perché esso vi avrebbe permesso di essere riconosciuto.» «Mi rammarico di essere entrato in questo paese, ma ora non posso tornare indietro senza vergogna» replicò Balin.
«Accetterò quindi come viene l‟avventura che mi attende, sia vita o morte.» Poi si assicurò che l’armatura fosse in buono stato, si segnò e montò in sella.
Come Balin si scontrò con Balan, e come i due fratelli si batterono riconoscendosi solo quando furono feriti a morte
Ecco allora uscire da un castello e farglisi incontro un cavaliere tutto vestito di rosso come la gualdrappa del destriero che montava. Alla vista di Balin, quegli pensò si trattasse del fratello perché portava due spade; ma poi, non riconoscendo i colori dello scudo, si convinse che non poteva essere lui. Perciò entrambi abbassarono le lance e si scagliarono l’uno contro l’altro con straordinaria velocità mirando agli scudi: il cozzo fu fortissimo, e i cavalli rovinarono al suolo insieme ai cavalieri, che svennero. E poiché Balin, stanco del viaggio, era rimasto gravemente contuso nella caduta, Balan fu il primo a rimettersi in piedi e a sguainare la spada. Vedendolo avvicinarsi, anche Balin si rialzò e gli andò incontro, ma Balan gli vibrò un fendente che gli attraversò lo scudo e fece a pezzi l’elmo. Allora Balin rispose con la spada fatale e mancò poco che l’uccidesse.
Si batterono a lungo, fin quando furono entrambi senza fiato. Ma poi Balin alzò gli occhi verso il castello e vide che le torri erano piene di dame; allora si gettò nuovamente nella lotta e tornarono a ferirsi dolorosamente. A volte si fermavano per riprendere fiato, ma poi lo scambio di colpi continuava: il terreno era rosso di sangue, ed entrambi erano feriti tanto gravemente che la più piccola delle loro piaghe sarebbe stata mortale per il gigante più possente del mondo. Eppure ripresero a duellare, e con tale violenza che si sarebbe stentato a credere possibile tanto spargimento di sangue in un solo scontro. E quando i loro giachi furono smagliati al punto da lasciarli nudi da tutte le parti, Balan, che era il più giovane, si trasse un poco indietro e si lasciò cadere al suolo.
«Chi sei?» gli chiese Balin. «Non ho mai incontrato prima d’ora un cavaliere che mi tenesse testa.» «Il mio nome è Balan e sono fratello del prode Balin.» «Non avessi mai veduto questo giorno!» esclamò questi, cadendo in terra svenuto. Balan gli si avvicinò carponi e gli tolse l’elmo, ma non potè riconoscerlo tanto il suo viso era devastato e coperto di sangue. «Fratello, mi hai ucciso e io ho ucciso te. Il mondo intero parlerà di noi» disse poi Balin quando si fu ripreso. «Perché mai non ti ho riconosciuto!» si lamentò Balan. «Avevo notato le due spade, ma dato che portavi uno scudo non tuo ti avevo creduto un altro.» «È colpa di uno sciagurato cavaliere che facendomelo cambiare ci ha dato la morte. Se potessi sopravvivere distruggerei il castello per i malvagi costumi che alberga.»
«E sarebbe ben fatto!» approvò Balan. «Da quando vi arrivai non ebbi più la possibilità di ripartirne perché uccisi il cavaliere che era a guardia dell’isola. Lo stesso accadrà anche a te, fratello. Avresti dovuto uccidermi, come del resto hai fatto, ma poi metterti in salvo con la fuga.» In quel mentre sopraggiungeva la signora del castello con quattro cavalieri, sei dame e sei servitori, e sentì le pietose parole che si scambiavano i fratelli.
«Uscimmo entrambi da un medesimo sacello, il ventre di nostra madre, e giaceremo insieme in una stessa fossa» dicevano. Balan pregò la dama, per la sua cortesia e per il leale servigio che le aveva prestato, di seppellirli insieme sul terreno dello scontro, ed ella glielo promise piangendo ed aggiungendo che la loro sepoltura sarebbe stata la più sfarzosa possibile. «Ora, signora, vorreste mandare a chiamare un prete che ci somministri i sacramenti e il corpo benedetto di Nostro Signore Gesù Cristo?» «Sarà fatto» rispose la dama. « Quando i nostri corpi riposeranno nella tomba, che recherà scritto come due fratelli si misero vicendevolmente a morte, tutti i bravi cavalieri e gli uomini di buon cuore pregheranno su di essa per la salvezza delle nostre anime » aggiunse poi Balin. Le dame e le gentildonne piansero di pietà; poi Balan morì, ma Balin visse ancora fino alla mezzanotte seguente, e quando furono sepolti la dama fece scrivere sulla tomba che Balan era stato ucciso dal fratello, ma non potè menzionare il nome di Balin perché non lo conosceva.
Come Merlino li seppellì, e della spada di Balin
Il mattino successivo comparve Merlino e fece incidere in lettere d’oro sulla tomba dei fratelli una scritta che diceva:
QUI GIACE BALIN IL SELVAGGIO, CHE ERA IL CAVALIERE DALLE DUE SPADE CHE INFERSE IL COLPO DOLOROSO.
Poi, presa la spada di Balin e sostituitone il pomo con un altro, ordinò a un cavaliere di brandirla, ma quello non vi riuscì nonostante i ripetuti sforzi. Allora Merlino scoppiò a ridere. «Perché ridete?» gli chiese il cavaliere. «Solo i campioni migliori del mondo potranno maneggiare questa spada, cioè Lancillotto e suo figlio Galahad. E con quest’arma Lancillotto ucciderà ser Galvano, il nipote di re Artù» gli rispose Merlino, che fece incidere la profezia sul pomo della spada.
Poi operò perché un ponte di ferro e di acciaio collegasse l’isola con la terraferma, e lo fece largo solo mezzo piede perché soltanto l’uomo più eccellente e mondo da malizia e villania potesse avere l’ardire di attraversarlo. Inoltre lasciò sull’isola il fodero della spada di Balin perché Galahad potesse trovarlo, e fece sì che per magia la spada restasse infissa in un blocco di marmo grande come la mola di un mulino, che galleggiò per molti anni nella corrente di un fiume fin sotto le mura di Camelot. Un giorno di Pentecoste Galahad, il nobile principe, che aveva già trovato il fodero, avrebbe estratto la spada così come è narrato nel libro del Sangrail.
In seguito Merlino si recò da re Artù, gli raccontò del Colpo Doloroso che Balin aveva vibrato a re Pellam, del mirabile scontro che aveva opposto Balin a Balan, e di come i due fratelli fossero stati sepolti in una medesima tomba, e il re dichiarò che era la storia più pietosa che avesse mai sentito.
Così finisce il racconto dei fratelli Balin e Balan, due valorosi cavalieri nati nel Northumberland.
Martina Michelangeli x Medievaleggiando