Come ser Galvano e ser Ector andarono a confessarsi in un eremo, e come raccontarono all’eremita le visioni che avevano avuto
I due cavalieri seppellirono il compagno con gli onori dovuti al figlio di un re, e sulla tomba fecero scrivere il suo nome e quello di colui che lo aveva ucciso. Poi partirono profondamente rattristati e cavalcarono fino ai piedi dell’aspra montagna, dove legarono i cavalli. Si inerpicarono a piedi fino a che, raggiunta la vetta, videro una povera casa, una cappella e un campicello in cui Nacien era intento a coltivare delle erbe, suo unico nutrimento da molto tempo. Quando l’eremita li scorse, andò loro incontro; li salutò e, ricevuto a sua volta il saluto, chiese loro quale avventura li avesse portati da lui.
«Vorremmo parlarvi e confessarci» risposero i cavalieri.
Nacien si dichiarò pronto ad ascoltarli e, dopo che ebbe saputo chi erano, aggiunse che, se avesse potuto, li avrebbe aiutati con i suoi consigli. Galvano cominciò per primo a riferirgli il sogno che aveva avuto nella cappella; poi fu la volta di ser Ector di narrargli quanto abbiamo già raccontato.
«Signore» disse infine l’eremita a ser Galvano «il bel prato e la rastrelliera simboleggiano la Tavola Rotonda; in particolare il prato sta a significare la pazienza e l’umiltà, che sono appunto sempre vive e verdi.
«La Tavola Rotonda fu istituita proprio perché gli uomini non svilissero queste due virtù, come la cavalleria, che affonda in esse le sue radici, è sorta perché non possa mai essere sconfitta la fraternità che ne è il fondamento.
«Alla rastrelliera si nutrivano centocinquanta tori: non brucavano il prato, perché in tal caso i loro cuori sarebbero stati umili e pazienti, mentre essi erano colmi di superbia. I tori sono i compagni della Tavola Rotonda, neri di peccato e di malvagità: esseri neri, infatti, è come dire essere privi di virtù e incapaci di ben operare. Quanto ai due tori bianchi e a quello con la macchia, i primi simboleggiano ser Galahad e ser Percival, che sono vergini e immacolati, mentre il terzo sarebbe ser Bors di Ganis, che mancò solo una volta alla propria purezza, ma poi si mantenne perfettamente casto e meritò il perdono per quella e per ogni altra colpa. Vi domanderete per quale motivo essi erano legati: ebbene, perché sono cavalieri vergini e casti, e mondi dall’orgoglio.
«I tori che dissero “Andiamo via di qui!” sono coloro che alla solenne festa di Pentecoste si impegnarono nella ricerca del Sangrail senza essersi confessati: essi non potranno mai calcare il prato dell’umiltà e della pazienza, e quindi andranno nelle Terre Desolate, cioè alla morte; infatti molti lasceranno la vita in questa ricerca. I loro peccati li indurranno a uccidersi a vicenda, e quelli che scamperanno saranno incredibilmente macilenti. Infine, dei tre tori bianchi, uno solo tornerà.»
Poi Nacien si rivolse a ser Ector e gli disse:
«E vero che tu e Lancillotto discendeste da un medesimo seggio, cioè dallo stesso nobile e potente lignaggio, e che siete in cerca di ciò che non troverete, il Sangrail, che è l’arcano di Nostro Signore Gesù Cristo. Cosa significa che Lancillotto cadde da cavallo? Che egli ha abbandonato l’orgoglio e accolto l’umiltà, pentendosi amaramente e invocando misericordia per il suo peccato. Così il Signore lo ha vestito di un abito cosparso di nodi, cioè il cilicio che indosserà in ogni giorno della ricerca. Anche l’asino che cavalcava è simbolo di umiltà e di mansuetudine; Dio stesso non volle cavalcare un destriero o un palafreno.»
«L’acqua della fonte si abbassò allorché Lancillotto tentò di berne, ed egli tornò da dove era venuto: la fonte significa la grazia di Dio, cui l’uomo tanto più aspira quanto più ardente è il suo desiderio di riceverla. Quando Lancillotto si trovò vicino al Sangrail si umiliò, perché non si riteneva degno di appressarsi al sacro vaso a causa del peccato mortale di cui si macchiava da molti anni. E allorché si chinò sull’acqua della fonte, comprese la grande provvidenza del Sangrail. Così, avendo servito per ventiquattro anni il diavolo, la sua espiazione durerà ventiquattro giorni; allora potrà tornare a Camelot a riferire quello che ha visto.
«Ora vi spiegherò il significato della mano con il cero e la briglia. La mano va intesa come lo Spirito Santo in cui è riposta la carità, mentre la briglia significa l’astinenza che, allorché imbriglia il cuore di un cristiano, lo trattiene e gli impedisce di cadere in peccato mortale. La candela che spande chiarore e luce indica invece la via retta di Gesù Cristo, di cui sentiste la voce che vi disse: “Cavalieri di poca fede e di cattiva volontà, tre sono le cose che vi mancano: la carità, l’astinenza e la sincerità”. Voi perciò non potrete mai portare a compimento la nobile avventura del Sangrail.»
Del buon consiglio che l’eremita dette loro
«Adesso mi è tutto chiaro e capisco che le vostre parole sono veritiere» disse ser Galvano. «Ora santo padre, vi prego di spiegarmi perché non abbiamo incontrato le avventure che ci aspettavamo e che probabilmente avremmo potuto superare.»
«Te lo dirò volentieri» gli rispose l’eremita. «Ti sei impegnato insieme a molti altri in una ricerca che non porterai mai a termine perché il Sangrail non si mostra ai peccatori. Non ti devi quindi meravigliare se non vi sei riuscito. Tu sei un cavaliere sleale e un grande assassino, mentre per gli uomini buoni questa ricerca è ben altro che una serie di omicidi. Lancillotto, benché abbia commesso gravi colpe, al momento stesso in cui ha intrapreso la ricerca si è impegnato a non peccare più, e infatti non hai mai ucciso né ucciderà un solo uomo fino al suo ritorno a Camelot. Se non fosse per la sua fragilità che probabilmente lo farà ricadere nella colpa con il pensiero, egli sarebbe il primo a compiere l’impresa dopo Galahad. Ma poiché Dio conosce i suoi pensieri e la sua debolezza, gli concederà di morire in santità.»
«Allora, signore, mi sembra di capire che la nostra ricerca è vana» osservò Galvano.
«E così, e altri cento come voi non ne ricaveranno che disonore.»
I due cavalieri lo avevano già raccomandato a Dio e si erano accomiatati, quando Nacien chiamò in disparte Galvano per dirgli:
«Molto tempo è passato dacché fosti fatto cavaliere e non hai mai servito il tuo Creatore. Ora sei un albero decrepito e hai permesso al diavolo di impadronirsi delle foglie e dei frutti che portavi. Fai dunque in modo da rendere a Dio almeno la scorza.»
«Signore, vorrei potermi intrattenere ancora con voi» replicò il cavaliere «ma non mi è possibile: il mio compagno se ne è già andato e mi sta aspettando nella valle.»
«Avresti fatto meglio ad ascoltarmi» concluse l’eremita. Galvano andò a raggiungere Ector; poi entrambi presero i cavalli e cavalcarono fino alla casa di un guardiaboschi che li accolse con gentilezza. Al mattino, salutato l’ospite, si rimisero in cammino e viaggiarono a lungo prima di imbattersi in un’altra avventura.
Martina Michelangeli x Medievaleggiando