Dal punto di vista biografico non abbiamo molte notizie su Thomas Malory, quelle però in nostro possesso sono sufficienti per comprendere più o meno le caratteristiche di questo autore.

Nato Newbold Revell, nella contea del Warwickshire, in Inghilterra, attorno al 1409, fu al servizio del conte Richard Beauchamp e, nel 1436, partecipò all’assedio della cittadina francese di Calais. È di questi anni il matrimonio con una Elisabetta, dalla quale avrà un figlio, Roberto, che morirà ancora giovane. Dal 1450 la sua vita subì un importante cambiamento e ricadranno su di lui una serie di accuse molto gravi (dalla congiura contro il duca di Buckingham al furto, alla estorsione, al sequestro e all’omicidio). Arrestato il 23 luglio 1451, cinque giorni dopo riuscì a fuggire dalla prigione. Malory così divenne il capo di una banda di briganti e iniziò a seminare panico e assaltando anche l’abbazia di Coombe, saccheggiando e usando violenza. Venne arrestato una seconda volta, imprigionato nella famigerata Torre di Londra, da dove sarà liberato in seguito su cauzione. Seguirono altri reati, altre fughe, altri processi. Nel 1456 rappresentò la contea di Warwick nel parlamento che si tenne a Westminster, ma poi conobbe di nuovo la prigione, probabilmente per debiti. Nonostante questa vita violenta, Malory dimostrò lealtà cavalleresca nei confronti del casato dei Lancaster, durante la sanguinosa lotta contro gli York, conosciuta nella storia come la guerra delle “Due Rose”.

Nel 1468, Edoardo IV, degli York, salì al trono e concedette l’amnistia alla parte avversa, però Malory non venne incluso nella grazia reale. Malory morì a Londra, il 14 marzo 1471 e venne sepolto nella cappella di san Francesco della Chiesa dei Grey Friars, presso la prigione di Newgate: probabilmente Malory passò i suoi ultimi giorni tra le mura della Torre. Questo dettaglio ci è riferito anche nella sua opera, attraverso una supplica al lettore per la sua scarcerazione: “Gentiluomini e gentildonne che avete letto il libro di re Artù e dei suoi cavalieri, pregate, ve ne supplico, perché Dio mi possa liberare finché sono ancora in vita”.

Proprio la prigione divenne per Thomas Malory il luogo dove compose la sua opera La morte di Re Artù, portata a termine tra il 1469 e il 1470. William Caxton, primo stampatore inglese, la pubblicò nel 1485 con il titolo Le morte Darthur, attraverso una rivisitazione molto libera del testo originale. Il capolavoro di Malory, originariamente costituito da otto romanzi autonomi, dallo stampatore Caxton viene presentato come un’opera unitaria, formata da 21 libri, divisi in tre sezioni:

    • la prima racconta la nascita di re Artù e la fondazione della Tavola Rotonda, le vicende di Balin e Balan che, per un fatale errore, si uccidono in duello;
    • la seconda racconta la tragica vicenda di Tristano e Isotta la Bionda;
    • l’ultima presenta la vicenda dell’amore infelice tra Lancillotto e Ginevra ma comprende anche il racconto del Santo Graal e della morte di re Artù.

Il libro di Malory è la traduzione e la fusione di varie leggende di quello che viene riconosciuto nell’Epica Medievale come ciclo arturiano o bretone. I romanzi che costituiscono questo ciclo si rifanno “storicamente” a re Artù, un condottiero vissuto nel V secolo, che si distinse nella difesa dall’invasione dei Sassoni. Nell’immaginario popolare però, questo personaggio divenne un re di un grandissimo regno che si estendeva dall’Inghilterra alla Francia del nord, fino a coprire l’Europa intera. La leggenda vuole che, dopo una lunghissima vita trascorsa fra 13 conquiste militari e saggia amministrazione della giustizia, circondato dal “fiore della cavalleria”, Artù sia stato ferito gravemente dal figlio e che sia scomparso dalla vista degli uomini, per ritirarsi su un’isola da cui un giorno ritornerà per guidare un popolo che non ha mai smesso di attenderlo.

Attorno a questo ciclo letterario venne prodotta un’importante produzione romanzesca in cui protagonisti assoluti erano i cavalieri e le loro epiche gesta. La letteratura medievale si impadronì presto di questa nuova figura sociale e ne fece il protagonista di numerosi romanzi in cui si esaltano i valori della cavalleria: tra tutti gli scrittori, che celebrarono l’epopea cavalleresca, va sicuramente ricordato Chretien de Troyes, autore di alcuni romanzi in cui vengono narrate le imprese di Tristano, Lancillotto, Perceval e Ivano. Il tema di gran lunga più importante nei romanzi cavallereschi, e che viene utilizzato anche da Malory nel suo romanzo, è l’amore, che è quasi sempre extraconiugale: come la famosissima storia d’amore di Lancillotto e Ginevra, moglie dello stesso re Artù; o come l’amore tra Tristano e Isotta, moglie di re Marco. Per comprendere questa situazione particolare, dobbiamo ricordare che il matrimonio, nella società feudale, era prima d’ogni altra cosa un’istituzione il tuo scopo era di tutelare il patrimonio familiare, seguendo esigenze politiche e sociali (perciò i sentimenti avevano poca rilevanza). Nei romanzi cavallereschi, l’amore è rappresentato come profonda intesa intellettuale e spirituale, per questo la sua forza è irresistibile: addirittura il più valoro dei cavalieri non piò sfuggirgli. L’altro grande tema del romanzo cavalleresco è l’avventura vissuta dal cavaliere, verso l’ignoto e il mistero, prima di tutto per dimostrare il suo vero valore. La corte di re Artù è il luogo della gioia e dell’armonia, un luogo ideale: l’immagine perfetta della vita cortese; invece il mondo fuori dalle mura del castello è “nemico”, una vera e propria minaccia per Artù e i suoi cavalieri. I valorosi uomini della corte di Artù sono chiamati a combattere contro forze occulte, demoniache e devono rompere incantesimi. Per questo proprio l’avventura è il modo che ha il cavaliere di dimostrare il suo coraggio, per essere accettato tra i favoriti di re Artù e potersi sedere alla Tavola Rotonda (possiamo immaginarlo come un collegio capeggiato dal sovrano, la sua forma tonda però simboleggiava l’autorità “alla pari” di tutti i cavalieri che ne fanno parte).

Thomas Malory si rifà alla tradizione del romanzo cavalleresco francese, anche se riesce a trasmettere una sua visione personale dei temi di questa tradizione. La prima grande novità del romanzo di Malory, rispetto al modello francese, è l’esaltazione dell’avventura e la scelta di minimizzare il tema amoroso e cortese. Il mondo cavalleresco descritto da Malory è cambiato rispetto al mondo cortese dei primi romanzi, per questo i cavalieri di Malory sono legati ad una maggiore concretezza di dimostrare il loro valore. Dando maggiore peso al genere avventuroso, l’amore passa in secondo piano: i duelli e le straordinarie imprese dei cavalieri sono il punto focale dell’opera di Malory, per esaltare pienamente la capacità fisica dei cavalieri. Dal punto di vista stilistico Malory sceglie di rendere semplice la lettura del suo testo, con meno arcaismi e una sintassi piana: per questo emerge la semplificazione dell’intreccio tipico dei romanzi cavallereschi francesi. Malory preferisce scrivere una trama più semplice e lineare, non seguendo la struttura ciclica dei romanzi precedenti, ma scegliendo di raccontare i fatti secondo un ordine cronologico e per aiutare i lettori appassionati a seguire la storia con semplicità. Questo è stato sicuramente uno dei motivi per cui la sua opera, dopo secoli, è ancora così amata e conosciuta.

Martina Michelangeli x Medievaleggiando

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Written by : Redazione

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