Cosa rende interessante studiare le origini del rapporto tra Venezia e l’Oriente Bizantino?
L’attuale persistenza di un legame intergovernativo che unisce Stati di passata appartenenza all’impero britannico. Questa relazione ha suscitato, in tempi piuttosto recenti, un confronto con lo Stato da mar, il network mediterraneo costruito da Venezia a partire dal 1204, l’anno in cui, come potenza vincitrice della quarta crociata, prese possesso di fondamentali possedimenti nella rotta verso Oriente. Prescindendo dall’utilizzo del termine Commonwealth – accettabile laddove, tra i centri che ne parteciparono, risulti confermata una certa omogeneità a livello culturale, amministrativo e commerciale –, già da prima la potenza lagunare aveva puntato gli occhi su Bisanzio.
È nota e assai studiata la presenza di un quartiere veneziano nella capitale bizantina nella metà del XII secolo, sorto intorno al fondaco costantinopolitano concesso con quel documento imperiale – detto crisobollo – emesso nel 1082, con cui si sanciva, insieme ad altri privilegi, l’esenzione dei dazi doganali in favore dei mercanti veneziani. In quell’occasione si trattava di un premio per l’impegno prestato da Venezia contro i Normanni e aveva un significativo precedente nel crisobollo del 992, quando quella tassa (kommerkion), poi abolita, era stata ridotta da 30 a 17 solidi. Tuttavia, ancora prima si può trovare un altro momento in cui si espresse concretamente l’attrazione veneziana verso l’Oriente bizantino. Questa riflessione ci riconduce a cavallo tra VIII e IX secolo e, precisamente, a quell’episodio conosciuto come guerra franco-veneta (806-812).
Secondo uno studio di Dietrich Claude, a partire dalla fine del VII secolo il possesso delle Venezie – cioè le diverse isole lagunari dell’ex provincia bizantina Venetia et Histria, sottoposta all’Esarcato di Ravenna – avrebbe acquisito importanza come conseguenza dello spostamento, verso la valle del Po, dell’asse del commercio tra Europa centrale e Mediterraneo. Il Ducato venetico, che aveva faticosamente acquistato l’indipendenza da Ravenna nel secondo quarto dell’VIII secolo, era rimasto, dopo la caduta dell’Esarcato (751), il solo baluardo bizantino in Italia settentrionale. Il re longobardo Astolfo (749-756) non ebbe il tempo di spingersi fino all’area lagunare, perché interrotto dall’incursione del re franco Pipino (751-768) e poi sconfitto a Pavia (756), ma l’impresa fu tentata successivamente da Desiderio, re dei Longobardi dal 757 al 774: dopo aver annesso l’Istria al suo regno ne sottopose i vescovi alla giurisdizione ecclesiastica della longobarda Aquileia, sottraendoli a quella di Grado. La sconfitta di Desiderio nel 774 non fece che trasferire i medesimi piani di conquista sull’autorità del re dei Franchi, Carlo Magno (768-814), il quale, con l’appoggio di papa Adriano I (772-795), tentò a più riprese di impadronirsi delle Venezie attraverso un rapido accerchiamento.
Nel 785 il pontefice romano garantì a Grazioso, vescovo ravennate dal 784 al 789, la tanto ambita conferma dei possedimenti in Emilia, Romagna e Marche solo al prezzo della cacciata di tutti i venetici residenti nella propria diocesi; due anni più tardi, Carlo si assoggettò l’Istria, minacciando il Ducato delle Venezie su più fronti. In quella circostanza il patriarca di Grado fu costretto a garantire la propria fedeltà all’occidente franco, ma il nuovo allineamento avrebbe determinato in meno di vent’anni un cruciale dissidio con i vescovi suoi sottoposti. Già nel 798, dopo la morte di Obeliebato, vescovo di Olivolo, il patriarca gradense, per rimarcare il suo nuovo allineamento, si oppose all’elezione del greco Cristoforo: sono gli anni in cui la civiltà lagunare stava iniziando a risvegliarsi nel segno dell’obbedienza a Costantinopoli. Nell’802 la fazione filobizantina trovò il proprio portavoce nella figura del doge venetico – cioè un esponente dell’aristocrazia ex-bizantina, eletto con il titolo di dux – Giovanni Galbaio, che inviò contro Grado una spedizione guidata dal figlio Maurizio, culminata con la condanna “per alto tradimento” del patriarca, anch’egli di nome Giovanni.
Egli venne fatto precipitare da una torre per mano dello stesso Maurizio. Poco dopo ascese al trono patriarcale Fortunato, orientato verso il partito filofranco non meno del predecessore. Il neoeletto si recò presso Carlo, adesso imperatore dei Romani (800-814), ottenendo da quest’ultimo la concessione di diritti ecclesiastici sui vescovati istriani; il doge Giovanni, filobizantino, fuggì insieme al figlio Maurizio e a Cristoforo di Olivolo. Tuttavia, essi non furono dimenticati dall’alleato orientale: nell’809 salpò una flotta bizantina, ai comandi di Paolo prefetto di Cefalonia, al fine di rafforzare il dominio in tutta l’area alto-adriatica. La spedizione dovette scontrarsi con Pipino, figlio di Carlo e re d’Italia (781-810), che sconfisse i bizantini presso Comacchio, ma fu poi costretto a indietreggiare dopo un eclatante e decisivo insuccesso ad Albiola. Dopo tali eventi, nell’812, le due parti raggiunsero la pace di Aquisgrana: il basileus (imperatore bizantino) Michele I Rangabe (811-813), rappresentato per l’occasione dal legato Arsafio, riconobbe l’autorità imperiale di Carlo – a più di dieci anni dalla celebre incoronazione dell’anno 800 – e ottenne, di contro, l’impegno a rispettare l’egemonia bizantina sulle isole lagunari venetiche e su Istria, Liburnia e Dalmazia. Prima di tornare a Bisanzio, Arsafio si premurò di confermare la lealtà delle Venezie, conferendo l’autorità dogale ad Agnello Particiaco (o Partecipazio), un nobile di Eraclea che spostò la sede del Ducato venetico a Rivoaltum (Rialto) e fondò la dinastia che avrebbe condizionato la politica delle Venezie in senso filogreco nel IX secolo e oltre.
Il figlio e successore di Agnello, Giustiniano (827-829), viene ricordato nelle cronache come hypatos (ipato), titolo riferibile soltanto a chi avesse compiuto, per qualsiasi motivazione, un viaggio a Costantinopoli. Colpiscono, inoltre, i suoi lasciti al monastero di San Zaccaria, tra cui si legge di una stauroteca (un reliquiario contenente frammenti della croce di Cristo) e di molte altre preziosità bizantine. Nello stesso testamento del doge è ricordato il reimpiego delle pietre della casa Theophilato de Torcello per la costruzione della basilica di San Marco, quasi a voler sottolineare l’ascendenza aristocratico-bizantina nell’opera di monumentalizzazione della laguna. Nell’827, sempre all’insegna della costruzione di un’identità veneziana, lo stesso doge aveva inviato ad Alessandria, sotto copertura, i mercanti Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, al fine di trafugare le spoglie di san Marco, cui era attribuita l’evangelizzazione delle genti aquileiensi e lagunari. Come sappiamo dalla Translatio sancti Marci (testo agiografico del XI secolo), esse raggiunsero Rialto il 31 gennaio 828.
Circa quattrocento anni dopo, fu un altro furto ad arricchire nuovamente il prestigio della basilica marciana, quello dei cavalli dell’ippodromo di Costantinopoli, sottratti dopo la crociata di cui si è parlato all’inizio dell’articolo. Se questo gesto può apparire contraddittorio alla luce dei precedenti privilegi ricevuti da Bisanzio, bisogna tener conto del fatto che la guerra franco-veneta aveva sì proiettato i lagunari verso il commercio orientale, ma li aveva anche costretti, negli anni a venire, a un’intricata autodefinizione, complicata dalla difficoltà di rappresentare un faro bizantino in Occidente, rischiosamente esposto al Sacro romano Impero. La risposta fu spesso l’ambiguità e il doppio gioco, dai quali si definì il pragmatismo veneziano, per cui, attingendo dal lessico politico contemporaneo, è stato coerentemente usato il termine Realpolitik. Un esempio ne è l’utilizzo dei denarii d’argento diffusi nell’occidente franco e, ancor di più, nella legenda impressa su questi, che recita «Deus conserva Romanorum imperium», lasciando la possibilità sia ai basileis sia ai sovrani carolingi di immedesimarsi nell’augurio.
Filippo Vaccaro
Per approfondire:
I trattati con Bisanzio (992-1198), a cura di M. Pozza e G. Ravegnani, Il cardo, Venezia 1993.
Bergamo, N., Venezia bizantina, dal mito della fondazione al 1082, Helvetia, Spinea 2018.
Cosentino, S. , Storia dell’Italia bizantina (VI-XI secolo). Da Giustiniano ai Normanni, Bononia University Press, Bologna 2008.
Nicol, D. M., Venezia e Bisanzio, Rusconi, Milano 1990.
Ravegnani, G., Bisanzio e Venezia, Il Mulino, Bologna 2007.