È forse sconosciuto ai più che Arlecchino, la variopinta maschera bergamasca oggi celebre al livello nazionale, si ispira tra le varie fonti ad una figura presente nell’Inferno della Divina Commedia di Dante: quella del demone Alichino. Nella Commedia dell’Arte, la maschera è la rappresentazione stilizzata di un volto: dimostra dunque emozioni in modo esagerato. Ogni maschera è nota per avere  caratteristiche proprie: ad esempio, Brighella è dispettoso, Pantalone è un vecchio avaro, il nostro Arlecchino è un imbroglione. 

Ma chi è Alichino? E cosa ha a che vedere con l’odierna maschera di Arlecchino? Meno famoso del suo discendente, Alichino si colloca nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio dantesco, e cioè una delle dieci fosse in cui si trovano i condannati per frode. Insieme ad altri diavoli forma il gruppo dei Malebranche. Compito di questi  ultimi è controllare che i fraudolenti, o “barattieri”, non escano dalla pece bollente  alla quale sono stati destinati dal contrappasso (il meccanismo per il quale la punizione subita è proporzionale alla colpa commessa): pena, essere squartati dai suddetti  diavoli. Ritroviamo Alichino e i Malebranche nei canti XXI, XXII e XXIII dell’inferno dantesco, insieme protagonisti di episodi al limite del buffonesco. Con il diavolo Calcabrina addirittura si azzuffa, e precipitano entrambi malamente nella pece. 

In effetti, ambedue, Alichino e poi Arlecchino, sono il frutto dell’influsso di una figura ancora più antica, sempre collegata agli Inferi. Un personaggio dai contorni sfumati, che troviamo presente in diversi miti europei. Questo si può genericamente  ricondurre alla figura del trickster, e cioè all’archetipo dell’imbroglione. Per quanto riguarda l’origine del nome del diavolo e anche della maschera, si pensa che la radice sia di origine germanica, Hölle König, la cui traduzione è “re dell’inferno”. 

Ma perché una figura del genere è giunta fino a noi? In epoca pagana,  rappresentare il diavolo con una schiera al seguito faceva parte di riti popolari legati all’agricoltura. In seguito, nel Medioevo, si ha nelle rappresentazioni sacre il tentativo di esorcizzare la fobia dei demoni soprannaturali. Li si rende ridicoli, si esagerano i loro tratti, diventano osceni e buffi. 

In Dante, in ogni caso, rispetto alla tradizione precedente notiamo un’attenzione  particolare alla componente comica del personaggio diventato con lui Alichino: il diavolo è ormai sempre più cristallizzato nel suo ruolo di buffone. E da qui in poi  avviene un lungo processo di trasformazione composto di vari passaggi. Il genere teatrale della farsa, nato in Francia nel XIII secolo, e incentrato su fatti e figure stravaganti, lo rende un personaggio profano. Dalla metà del ‘500 la fama di Arlecchino arriverà in Francia e Spagna grazie alla  commedia dell’arte. Successivamente, nel 1600, la maschera si lega alla figura  dell’attore Tristano Martinelli, il quale farà dono ad Arlecchino del costume aderente e multicolore, che richiama l’abbigliamento dei giullari medievali, e del linguaggio “misto”, il dialetto mantovano, con cui lo conosciamo oggi. 

È in questo modo che si arriva alla maschera che oggi conosciamo come Arlecchino: stereotipata, fissa, con tratti caratteristici e un costume personalizzato che ne rimarcano l’unicità.  

Da sempre nell’immaginario collettivo Arlecchino ha riscosso successo per le sue peculiari caratteristiche. Al punto che, in epoca contemporanea, abbiamo sentito l’esigenza di un’ulteriore evoluzione di questa maschera fissa in forme più attuali. La fama di Arlecchino ha sfondato la barriera del teatro, nel quale era stato  relegato, per raggiungere altri campi artistici. Come dimenticare la famosa raccolta  di racconti di Agatha Christie, Il misterioso Signor Quin, che ha come protagonista un fantomatico Harley Quin? Per l’arte si ricorderanno i quadri del pittore francese Jean-Antoine Watteau, come Arlecchino imperatore sulla Luna, e quelli del più celebre spagnolo Pablo Picasso, con Arlecchino che ritorna svariate volte protagonista dei suoi dipinti, per citare i più famosi, Arlecchino e Arlecchino Pensoso. Per la musica internazionale, per citarne solo uno, il brano Harlequin nell’album dei Genesis, Nursery Cryme.  

Si potrebbero fare numerosi altri riferimenti, ma il più rappresentativo è sicuramente il personaggio fumettistico della folle supercriminale Harley Quinn, diventato  celebre a partire dal fumetto Batman: Amore folle del 1994 ad opera di Paul Dini e  Bruce Timm. Dal 2016 ha inoltre raggiunto una notorietà stellare grazie  all’interpretazione dell’attrice Margot Robbie nei film del franchise DC Extended  Universe Suicide Squad e Harley Quinn: Birds of Prey

Cosa ci rimane ad oggi di Arlecchino, in conclusione? Si può dire che rimanga viva  la vena infernale e buffonesca del personaggio, che pur mantenendo una base comune ha subito tante evoluzioni. Sicuramente una figura che tuttavia conserva, ancora oggi, il suo fascino folle e burlesco. 

 

Anna Mattiello 

 

Per approfondire

SERMONTI VITTORIO, Inferno, Milano, Rizzoli, 2001. 

OLDONI MASSIMO, La famiglia di Arlecchino. Il demonio prima della maschera,  Roma, Donzelli, 2021.

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Written by : Redazione

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