In noi la parola eresia evoca immagini di persone che vivono nell’ombra, impossibilitate a dire la loro opinione, di professare la propria fede, visioni di roghi con una vittima urlante sotto gli sguardi soddisfatti di inquisitori, di pubblica umiliazione.
Che sia stato realmente così non vi sono dubbi, anche se nell’interpretare questo fenomeno occorre stare attenti a non utilizzare il nostro punto di vista. Ma cosa vuol dire eresia?
Partiamo dall’etimologia. Eresia deriva dal greco aìresis che letteralmente significa “prendere per se stessi”: in senso più ampio, “scelta”, “modo di vedere particolare e tendente alla separazione”. L’eresia o l’eterodossia (i termini si equivalgono) si definiscono in base a un’ortodossia. Nel Nuovo Testamento il termine “eresia” viene usato nel senso di divisione; San Paolo, intorno alla metà del I secolo, sosteneva che le eresie, divisioni fra cristiani, erano necessarie affinché si potesse conoscere chi praticava la vera fede. E, ovviamente, i credenti non erano esonerati dalla lotta contro chi sbagliava.
Quindi, nella metà del I secolo l’eresia è un “male necessario” poiché serve a comprendere chi ha torto e chi ragione.
Quando il cristianesimo diventa una religione riconosciuta nell’Impero Romano e inizia a istituzionalizzarsi, si avverte ancora di più la necessità di comprendere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Il Concilio di Nicea (325), uno dei più conosciuti, è una tappa fondamentale nella costruzione della religione cristiana: vengono stabiliti i dogmi più importanti e, quindi, delineando cosa è ortodosso si decide anche cosa non lo è. Ed ecco che compare la prima eresia: l’arianesimo.
Secondo il suo fondatore, Ario, nella Trinità solo il Padre può essere considerato Dio, perché increato; il Figlio, essendo un intermediario ed essendo stato creato non partecipa della natura divina. Capiamo bene che, sostenendo questo, cade buona parte della dottrina cristiana.
L’arianesimo fu molto longevo. Se dall’Impero fu debellato presto, questa dottrina attecchì nelle popolazioni “barbariche”, che si spostavano nei territori romani. Infine, dopo un’accanita lotta, l’ortodossia prese il sopravvento.
Non elencherò tutte le altre eresie del Tardo Antico, faremo invece un salto di diversi secoli: se per tutto l’Alto Medioevo pare non ci siano stati eretici, o almeno le fonti non ne parlano, l’XI secolo segna la ripresa della predicazione ereticale.
Questo accadde per diversi fattori: la Chiesa di Roma aveva iniziato a costituirsi in un’organizzazione ecclesiastica centralizzata e orientata in senso monarchico, portando così anche all’eliminazione di ogni possibile ingerenza dei laici nei suoi affari. Un esempio su tutti: l’elezione del papa era una questione che non riguardava gli ecclesiastici bensì le famiglie romane, ma due concili sentenziarono che questa sarebbe stata ad appannaggio del clero.
Nel contempo, il maggiore accesso alla cultura, la circolazione degli uomini e quindi delle idee fecero sì che anche il semplice credente si interessasse alla vita religiosa con rinnovata devozione e nuove esigenze. Alcuni laici e chierici riuscirono a esprimere questa tensione religiosa in termini ortodossi ma altri no: questi ultimi divennero quindi i nuovi eretici.
Spiegare cosa sia l’eresia non è semplice, soprattutto perché questa si definisce in base a cosa è ortodosso e di conseguenza si ha una visione falsata del fenomeno. Nonostante ciò e nonostante si sia proposto più volte, nel mondo accademico, di sostituire questo termine con un altro meno orientato, il vocabolo eresia ha attecchito anche nella modernità, così come nel Medioevo.
Spero quindi con questo contributo di essere riuscita a spiegare che questa parola cela in sé una contraddizione di fondo, la quale può essere superata comprendendo che il suo valore risiede altrove.
Giulia Panzanelli
Per approfondire:
GAROFANI BARBARA, Le eresie medievali, Carocci, Roma 2009.
LAMBERT MALCOM, Medieval heresy. Popular movements from Gregorian reform to the Reformation, Blackwell, Oxford – Cambridge 1992.
MERLO GIOVANNI GRADO, Eretici ed eresie medievali, Il Mulino, Bologna 2011.