Quando pensiamo a Dante una delle prime cose che ci vengono in mente è che sia nato e cresciuto a Firenze, Fiorenza come la chiama lui. Il sommo poeta e la sua città fondano un binomio indissolubile, sia perché egli è nato nella città gigliata sia perché una volta esiliato non smise mai di sperare di farvi ritorno. Il rapporto che lega Dante a Firenze è qualcosa di viscerale, che va al di là della mera finzione letteraria, e che ci mostra il lato più umano del Sommo, che spesso tendiamo a idealizzare. Ma come si presentava Firenze al tempo di Dante?

Se la Firenze dei Medici è la culla del Rinascimento, quella del tempo di Dante è il più importante baluardo del guelfismo italiano. Nel 1265, anno della nascita di Dante, la città paga ancora le conseguenze della sconfitta subita a Montaperti (1260), infatti la battaglia vide la vittoria dei ghibellini, guidati da Siena, e la perdita di potere sulla Toscana di Firenze. La città era intrisa di un forte patriottismo che si trovava in tutte le classi sociali e si provava odio per i ghibellini fiorentini complici dei senesi, tanto che i primi erano considerati dei traditori della patria. Il clima della città era assai frizzante, ma la tensione che si respirava in città non bloccò la crescita economica.

Quindi, quando nasce Dante, la città è lacerata dal conflitto fra le due parti. La Toscana è ghibellina ma non lo sarà per molto, perché papa Urbano IV (1195-1264) sta preparando la discesa di Carlo d’Angiò (1226-1285), fratello del re di Francia, che dovrà sedere sul trono di Sicilia, scalzando il figlio di Federico II Manfredi (1232-1266), capo del ghibellinismo italiano. Sono anni di tensione e il cambiamento può avvenire da un momento all’altro. La svolta avvenne proprio nel 1266 con la morte di Manfredi a Benevento.

Sebbene Firenze desiderasse avere un governo totalmente guelfo, il papa stesso si intromise promuovendo invece un governo formato da entrambe le fazioni, guelfa e ghibellina. Questo esperimento dura pochissimo, tanto che Carlo d’Angiò nel 1267 diventa podestà di Firenze per appianare le divergenze. Le speranze ghibelline rifioriscono con l’arrivo in Italia del giovanissimo Corradino di Svevia (1252-1268), nipote di Federico II, ma dopo poco meno di un anno anche lui fu sconfitto, più precisamente durante la battaglia di Tagliacozzo, dove venne catturato. Pochi mesi dopo, Corradino morì.

Il 1270 è l’anno del trionfo del guelfismo in Toscana e in Italia, anche se persistono sacche ghibelline. La situazione nei 20 anni successivi non cambia, la lotta fra le due fazioni continua a lacerare Firenze, soprattutto la classe magnatizia. Questa situazione spinge le classi medie e popolari, organizzati nelle arti, a istituire un governo che fosse espressione del loro sentire. Ora la città non è più solo divisa tra guelfi e ghibellini, ma anche fra magnati e popolani che si uniscono nel fare fronte comune contro i ghibellini di Arezzo; così nel giugno del 1289 ha luogo la battaglia di Campaldino, alla quale partecipa anche Dante e che vide trionfare Firenze.

Gli ultimi anni del XIII secolo furono relativamente tranquilli ed è il periodo in cui Dante inizia la sua attività politica. La città è comunque in fermento perché aumentano le rivalità fra le due casate magnatizie dei Donati e dei Cerchi, attorno alle quali si venivano schierando, rispettivamente, non soltanto le casate amiche magnatizie, ma anche elementi della grassa e media borghesia e delle classi popolari, con attiva partecipazione anche degli ecclesiastici. Ad aggravare la situazione vi erano le lotte feroci apertesi fra i guelfi pistoiesi, divisi nelle fazioni dei neri e dei bianchi, che si trasferirono, con i loro nomi, a Firenze: i Donati, assieme ai loro sostenitori, prendono le parti dei neri, mentre i Cerchi e relativi seguaci quelle dei bianchi.

Non rimane che accennare alla presenza di Firenze all’interno della Divina Commedia. La città, che nelle opere dantesche pre-esilio è solo un toponimo, nella Commedia diviene una realtà prepotentemente calata nel sentimento di patria perduta. Firenze non è un’entità impalpabile, ma appunto è una realtà che muove la passionalità dantesca e nell’Inferno la città è sempre presentata in maniera duplice: è luogo di vizi e discordie politiche nel Canto VI quando il poeta incontra Ciacco, ma nel Canto X con Farinata degli Uberti Firenze ritorna nobil patria, è dato grandissimo rilievo alla città come utopico punto d’incontro di opposte ideologie, quasi come se Dante volesse esemplare nell’amor patrio il vero rimedio a tante sciagure.

Per concludere, la Firenze del tempo di Dante è un luogo pieno di contrasti che suscita amori e odi, tanto che potremmo dire che la città è un modo di sentire, di essere, ancor prima di essere un luogo fisico.

 

Giulia Panzanelli

 

Per approfondire:

ANTONETTI PIERRE, La vita quotidiana a Firenze ai tempi di Dante, BUR Rizzoli, Milano 2017.

BARBERO ALESSANDRO, Dante, Laterza, Roma – Bari 2020.

CARDINI FRANCO, Breve storia di Firenze, Pacini Editore, Pisa 1990.

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Written by : Redazione

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