Nel 1366 Giovanni Malpaghini da Ravenna, abile amanuense, fu ingaggiato da Francesco Petrarca, autore del celebre Rerum vulgarium fragmenta (meglio noto al pubblico con il titolo di Canzoniere) per copiare le sue Familiares, una raccolta di 350 lettere scritte dal poeta.
Poco dopo, Petrarca scrisse a Giovanni Boccaccio (l’autore del Decameron) una lettera in cui vantava le doti di abile copista di Giovanni Malpaghini, che aveva copiato le sue lettere in una scrittura un po’ diversa da quella che veniva utilizzata normalmente nei libri copiati a quel tempo.
Nel XIV secolo la scrittura maggiormente utilizzata per i libri, in particolare per i libri di studio, era la gotica, una scrittura dal disegno particolarmente angoloso, caratterizzata da lettere sovrapposte e da una serie innumerevole di abbreviature. La gotica diede vita a diverse tipizzazioni, e in Italia si diffusa una gotica dal corpo un po’ più rotondo, anche chiamata rotunda.
La gotica, secondo Francesco Petrarca, era una scrittura molto complessa da leggere, in quanto le lettere erano praticamente sovrapposte, il numero di abbreviazioni eccessivo, e soprattutto risultava inutilmente ornata. Lo stesso autore del Canzoniere scrisse nel 1366 una lettera a Philippe de Cabassoles, amico e dedicatario dell’opera De vita solitaria, in cui diceva che la gotica gli appariva esageratamente compressa, e costringeva il lettore ad uno sforzo che lo rendeva quasi cieco.
Secondo Petrarca, infatti, i libri dovevano somigliare a quelli del X-XI secolo, scritti in una scrittura semplice ed equilibrata, ovvero la minuscola carolina.
Inoltre, Petrarca era insofferente anche per un altro motivo: dal momento che la copia dei testi veniva eseguita da scribi (copisti delle opere altrui), egli lamentava il fatto che, il più delle volte, questi ultimi erano ignoranti, e per questo corrompevano i testi, trascrivendoli in modo rozzo e artigianale. Petrarca, dunque, non riusciva a contemplare l’idea di lasciare ad altri il proprio lavoro.
Ritornando a Giovanni Malpighiani, Petrarca ne lodò le sue qualità perché la scrittura del suo fidato copista era esattamente come voleva lui: una scrittura chiara, semplice, poco ornata, leggibile e, soprattutto, corretta dal punto di vista ortografico. La scrittura utilizzata da Malpaghini, e da Petrarca stesso, prende il nome di semigotica.
Inoltre, Petrarca non si limitò ad un’amara polemica contro la scrittura in uso e contro l’ignoranza degli scribi a prezzo, egli rivoluzionò la gerarchia dei tipi librari che si utilizzavano a quel tempo, inventando un nuovo modello di codice manoscritto: il piccolo libretto da mano.
Petrarca decise, anche, di controllare in maniera autonoma le sue opere, proponendo il “libro d’autore”, ovvero un libro scritto dall’autore stesso (o direttamente sorvegliato dall’autore), destinato a pochi eletti e ad una riproduzione eseguita esclusivamente da colleghi autori o poeti, che avrebbero rispettato il testo così come era stato scritto dall’autore.
Proprio in questa modalità, Petrarca scrisse il suo Canzoniere, al quale lavorò fino alla morte.
Proprio dell’opera più importante di Petrarca, abbiamo tuttora conservato presso la Biblioteca Vaticana l’idiografo (cioè un manoscritto metà autografo di Petrarca, metà copiato proprio da Giovanni Malpaghini), dove è possibile riconoscere la mano dell’autore e la mano del suo fedele scriba. Come si nota dal manoscritto, il Vaticano Latino 3195, Petrarca non riuscirà mai ad abbandonare la gotica, ma la rese una scrittura semplice, elegante, armoniosa e, soprattutto, leggibile e corretta ortograficamente.
Giulia Lucci
Per approfondire:
- Petrucci, Breve storia della scrittura latina, 1989
- Petrucci, La scrittura di Francesco Petrarca, Città del Vaticano 1967
- Cherubini, A. Pratesi, Paleografia latina, l’avventura grafica del mondo occidentale, Città del Vaticano 2010.