Boccaccio scrive il Decameron alla fine del terribile attacco di peste che colpì Firenze dalla primavera all’autunno dell’anno 1348. Probabilmente l’inizio della stesura risale ai primi mesi del 1349 e, secondo la critica, Boccaccio concluderà l’opera tra il 1351 e il 1353. 

Il titolo Decameron viene dal greco e vuol dire ‘dieci giornate’ e già l’autore, proprio all’inizio del libro, introduce l’argomento dell’opera: 

“Comincia il libro chiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in diece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini”. 

Il riferimento a Galeotto, è un chiarissimo eco a un famoso passo della Commedia dantesca, nell’episodio di Paolo e Francesca (Inferno V, 137: «Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse»), e serve all’autore per introdurre il tema dell’amore e delle donne. Come infatti Galeotto aiutò Lancillotto a conquistare l’amore di Ginevra, così il Decameron deve aiutare le donne, alle quali è dedicato, suggerendo alcuni comportamenti in grado di dare consolazione alle loro pene d’amore. 

Le dieci giornate che compongono il Decameron sono precedute e introdotte da brevi riassunti chiamati “rubriche”. Il termine “rubrìca”, attestato in italiano a partire dal XIV secolo, viene dal latino rubrica (derivato da ruber = rosso) che significa sia ‘terra rossa’, usata nella ceramica primitiva per dare il rosso alla creta, e sia ‘titolo della legge’, che veniva scritto in rosso, per evidenziarlo.

Dal secondo significato deriva l’uso tipico del Medioevo di “rubrica, che nei testi giuridici dell’epoca indica il titolo della legge (quindi una sintesi) e le segnature e i richiami in genere presenti in un testo. Nei codici manoscritti la rubrica indica i titoli, i sommari o le lettere iniziali (molte volte infatti scritti in rosso). Nei libri divisi in capitoli, come il Decameron, la “rubrica” indica la sintesi del contenuto dei singoli capitoli a essi premessa. 

A differenza delle precedenti raccolte di novelle, Boccaccio porta una novità nella struttura del suo Decameron, perché introduce la “cornice”, un elemento narrativo che serve a collegare fra loro i racconti (secondo una tradizione araba e orientale, un esempio è il testo Le Mille e una notte). Nel Decameron la cornice è un elemento fondamentale nella linearità narrativa del testo, perché serve all’autore per mediare, connettere o dividere, e qualche volta a commentare le varie novelle.

Perfetta è poi l’uso della cornice nel Proemio, perché introduce il lettore nell’atmosfera in cui le novelle vengono raccontate, cioè durante la peste nera con la distruzione dei costumi e della vita degli uomini. A questa visione oscura e terribile di morte si oppone l’atmosfera ispirata ai valori cortesi di ordine e di gentilezza dell’onesta brigata, che cerca conforto e rifugio nel contado fuori Firenze. 

I dieci giovani, protagonisti dell’opera, decidono infatti di recarsi per qualche giorno fuori della città di Firenze in preda al disordine della peste per trascorrere il tempo passeggiando, cantando, scherzando e raccontando novelle. La decisione di fuggire dalla terribile situazione è presa dalle sette donne (di età̀ compresa fra i diciotto e i ventotto anni): queste si incontrano nella chiesa di Santa Maria Novella e a loro si uniscono tre giovani ragazzi.

I dieci componenti della brigata giovanile sono: Pampinea, la più̀ saggia e matura, che per prima fa la proposta; poi Elissa, Lauretta, Neifile, Fiammetta, Filomena, Emilia; infine Panfilo, Filostrato, Dioneo. I nomi evocano talora protagonisti delle opere giovanili di Boccaccio, ma contengono anche allusioni letterarie, come nel caso di Elissa (è il nome fenicio di Didone, la sfortunata amante di Enea) o di Lauretta (che evoca la Laura petrarchesca) o suggeriscono, attraverso l’etimologia, le tendenze del carattere: un esempio è Dioneo che deriva da Dione, madre di Venere, e allude infatti a un temperamento lussurioso. Secondo gli studiosi la scelta del numero sette per la componente delle novellatrici probabilmente contiene un’allusione alle Arti liberali o alle Muse. 

Boccaccio, nel Proemio, racconta che i dieci giovani si recano in un luogo lontano dalla città, in un bel palazzo con un magnifico giardino: in questo luogo “fuori dal mondo” passano il loro tempo di diletto eleggendo ogni giorno un re o una regina in modo che tutti, a turno, possano ricoprire questo ruolo.

Il re o la regina deve decidere l’organizzazione della giornata e l’argomento delle novelle, che quindi cambierà quotidianamente; si stabilisce anche che ciascuno dei dieci giovani racconterà una novella al giorno proprio sul tema stabilito la sera precedente, poi alla fine di ogni giornata, uno dei novellieri canterà una canzone.

Nella struttura della scelta dei temi ci sono delle eccezioni: infatti sono a tema libero la Prima giornata e la Nona. In totale la permanenza fuori città dei giovani dura quattordici giorni: dal mercoledì della prima settimana al martedì della terza; solo per dieci giorni però sono impegnati nel raccontare le novelle: infatti il novellare viene interrotto due volte (la prima e la seconda settimana) per due giorni consecutivi, il venerdì, giorno sacro della passione di Cristo, e il sabato, dedicato all’igiene e al riposo. 

Di seguito si elencano le giornate, con i rispettivi re e regine e i temi:

  • Prima giornata: Pampinea, tema libero.
  • Seconda giornata: Filomena, il potere della fortuna con le avventure a lieto fine.
  • Terza giornata: Neifile, il potere dell’ingegno o dell’industria.
  • Quarta giornata: Filostrato, gli amori infelici.
  • Quinta giornata: Fiammetta, gli amori felici.
  • Sesta giornata: Elissa, l’efficacia dei motti di spirito o delle risposte argute.
  • Settima giornata: Dioneo, le beffe ai mariti.
  • Ottava giornata: Lauretta: le altre beffe.
  • Nona giornata: Emilia, tema libero.
  • Decima giornata: esempi di liberalità e di magnificenza.

Giovanni Boccaccio sceglie ovviamente diversi temi per ogni giornata, ma in realtà il testo rivela le sfaccettature di un affresco del mondo umano attraverso cinque macro tematiche, che ogni uomo attraversa nel cammino della vita: la fortuna, la natura, l’amore, l’ingegno e l’onestà.

Boccaccio attribuisce un ruolo decisivo proprio alla Fortuna, perché questa non rappresenta più, come nella concezione religiosa medievale, come in Dante, una diretta espressione della volontà divina, ma, in una chiave di lettura interamente laica, è quel complesso di circostanze che sfuggono al controllo diretto dell’uomo. Noi oggi questo concetto di fortuna lo chiamiamo il ‘caso’.

Per Boccaccio la fortuna determina la condizione sociale (tra povertà e ricchezza) e sottopone gli uomini alla prova e a inevitabili imprevisti. Rispetto ad essa l’uomo per sopravvivere è chiamato a ricorrere al proprio ingegno (inteso come astuzia, intuitività, spirito pratico, intelligenza, prontezza nel rispondere, ect.) per raggiungere i propri obiettivi.

L’esito della lotta tra fortuna e ingegno è imprevedibile e mutevole, ma in numerosi casi Boccaccio lascia intendere che l’uomo è in grado di fronteggiare e modificare una situazione sfavorevole a suo vantaggio. Proprio su questo è chiaro il pensiero di Boccaccio riguardo concetto di morale: questa è uno strumento, e come tale può essere usato sia per scopi nobili quanto per azioni moralmente riprovevoli. 

Nell’introduzione alla IV giornata, Boccaccio intende l’amore come una forza naturale e irrefrenabile, un istinto a cui non è possibile opporsi completamente, ma che non è di per sé condannabile e può essere interpretato in modo positivo anche nei suoi aspetti fisici (ci si riferisce alla sessualità, tema molto presente nell’Opera). Proprio in quanto impulso ‘naturale’, l’amore spesso si scontra con le convenzioni e le regole della società cattolica del Medioevo, spingendo gli amanti a ricorrere all’ingegno per coronare il loro desiderio (da qui il tema delle astuzie e delle beffe ai mariti), che però può anche portare a dover raccontare delle tragedie (come le giornate dedicate agli amori infelici).

L’amore nel Decameron è un motore che con esiti imprevedibili unisce le persone di diversa cultura e di diverso ceto sociale; su questo, le donne tanto amate da Boccaccio e suo pubblico scelto per il Decameron, giocano spesso un ruolo attivo alla pari dell’uomo, in quanto non sono solo un oggetto della passione, ma agiscono e combattono in prima persona per affermare il loro volere e portare a loro vantaggio la fortuna. 

 

Martina Michelangeli x Medievaleggiando

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Written by : Redazione

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One Comment

  1. Maurizio Mecozzi 22 Novembre 2022 at 7:33 - Reply

    Grazie

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