È un videogioco molto particolare, quello di cui parleremo oggi. Uscito nel 2017 e primo episodio di una probabile trilogia, Hellblade: Senua’s Sacrifice è stato prodotto da Ninja Theory, un’ottima software house conosciuta principalmente per avere sviluppato DMC, il tentato reboot della saga di Devil May Cry.
Così come per il suddetto reboot, il lavoro dello studio nel creare ambientazioni e scenari realistici ed allo stesso tempo onirici ha dato sicuramente i suoi frutti. I luoghi che la nostra protagonista si troverà a visitare sono vivi, inquietanti, bellissimi ma capaci di trasmettere sensazioni oscure al giocatore, dandoci si la voglia di esplorarli, alla ricerca di indizi per poter proseguire l’avventura, ma facendoci stare sempre sul chi vive. È probabilmente questa sensazione uno degli aspetti meglio riusciti di questo videogioco.
Un’ottima realizzazione grafica, unita ad un gameplay riuscito che alterna fasi esplorative e di risoluzione dei puzzle, dandoci la possibilità di esplorare liberamente gli ambienti di gioco alla ricerca di oggetti o “segreti”, ad altre di puro combattimento, molto simili a sessioni di gioco in un hack and slash, sono stati sicuramente la base del successo di critica e commerciale di questo titolo, ma ciò che ha contribuito ad elevare Hellblade al di sopra dei propri concorrenti sono l’atmosfera e la protagonista, Senua.
Siamo ormai abituati a personaggi femminili forti, in grado di farsi valere in un mondo, quello d’azione, predominato da eroi maschili. Le donne, soprattutto all’inizio, per spiccare in questo tipo di videogiochi erano presentati come personaggi senza paura, che si buttavano nell’azione in maniera sconsiderata, affrontando nemici ed esplorando luoghi misteriosi ed oscuri senza farsi problemi. Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una evoluzione nella psicologia dei personaggi, sia femminili che maschili, che spesso si trovano a porsi domande su quello che stanno facendo. Senua appartiene a questa “generazione”.
Il gioco ci pone in un contesto storico: Senua vive alla fine dell’ottavo secolo, una guerriera pita in un mondo dominato da uomini dediti al saccheggio ed alla violenza, dove la superstizione e la paura del diverso la fanno da padrone. Senua è proprio questo, diversa. Fin da piccola è stata maledetta con delle visioni, che la hanno portata ad essere ostracizzata e bersaglio delle paure dei suoi concittadini, tanto da essere spinta all’esilio in quanto ritenuta la responsabile di una epidemia di peste. Poche le figure positive nella sua vita: sua madre, anche lei preda di visioni, Druth, un vecchio eremita e conoscitore delle leggende norrene, e soprattutto Dillion, un giovane guerriero celto di cui si innamorerà.
Proprio la morte di quest’ultimo è la causa del viaggio di Senua, che incapace di accettare la tragica dipartita, tra l’altro causata da un’invasione dei norreni di cui viene, nuovamente, incolpata, si metterà in viaggio per il regno di Hela per poter riottenere indietro l’amato.
Una trama classica, che potrebbe ricordare storie e leggende note anche a noi, come Orfeo ed Euridice, a metà tra la mitologia ed il fantasy. Senua nel suo viaggio si troverà ad avere a che fare con creature da incubo e dei, viaggiando fino agli inferi ed ottenendo aiuto dalle “furie” esseri che la consigliano e la aiutano.
O almeno così sembra.
Andando avanti con la storia, raccontataci tramite flashback e con i dialoghi tra gli esseri che ci consigliano, voci che capiremo ben presto appartenere anche a persone conosciute dalla protagonista, come il saggio Druth o il padre Zynbel, causa della morte della madre e di molti dei traumi subiti da Senua. Voci che ben presto ci verrà rivelato non appartenere ad essere esterni: le furie non sono dei o spiriti che aiutano e consigliano la protagonista, ma sono i pensieri all’interno della mente della protagonista stessa, voci che fin da piccola le sussurrano cosa deve fare. Sono proprio queste voci ed averle consigliato di trovare Hela per poter resuscitare il suo amato Dillion, di cui porta la testa sempre con se. E sono sempre queste voci, a volte in modo contraddittorio, a spiegarle come usare i propri poteri per sconfiggere l’Oscurità che la divora, la maledizione che vuole assoggettare la sua anima, al servizio della stessa Hela.
Ma è davvero Hela il nemico? O è una invenzione delle voci? E da dove vengono? Sono esseri antichi e oscuri che la consigliano, o forse sono qualcos’altro?
Queste e molte altre domande ci poniamo mentre affrontiamo le forze che ci si scagliano contro, impedendoci di proseguire la missione. Ci verranno date risposte, ma il bello di questo gioco è che per molte cose ci viene lasciata libera interpretazione degli eventi.
Un ottimo lavoro è stato svolto sulla caratterizzazione della protagonista. Gli sviluppatori e sceneggiatori hanno fatto approfondite ricerche su un tema che non viene spesso affrontato nel mondo videoludico: la psicosi. Come avrete capito, le voci all’interno della mente di Senua vengono presentate come una forma di psicosi, che calata all’interno dell’ambientazione e del periodo storico viene interpretata dalla protagonista e da coloro che la circondano come una maledizione, o un dono secondo alcuni. Le voci stesse, come avremo modo di accorgerci durante l’avventura, si comportano spesso in maniera contraddittoria, fornendo indizi o ostacolando la protagonista, così come saranno contraddittori gli eventi ed i luoghi che affronteremo, lasciando il dubbio se Senua stia veramente affrontando le orde di Hela o se si tratti di una allucinazione, un modo per superare la propria condizione e la morte di Dillion.
È sicuramente questa ambivalenza, reminiscente di opere come Inception di Nolan, giusto per citare un titolo che ancora oggi divide critica e pubblico sul finale, ad avere sancito il successo di questo videogame, la cui trama viene spesso discussa nei forum degli appassionati, anche in attesa del secondo capitolo, Senua’s Saga: Hellblade II, che dovrebbe uscire tra il 2021 ed il 22.
Un titolo atteso anche da noi, che non vediamo l’ora di giocarlo e recensirlo!
Dario Medaglia