Film del 1999, ben prima della serie televisiva Vikings, Il 13° guerriero fece appassionare tanti spettatori ad un ideale, lontano Nord antico, perso tra le nebbie e i secoli, un luogo perfetto per una storia di coraggio e amicizia, di eroi e mostri.
Diretto da John McTiernan (regista anche del famosissimo Die Hard), Il 13° guerriero è basato sul romanzo di Michael Crichton Mangiatori di morte (Eaters of the Dead in inglese), pubblicato nel 1976 e tradotto in italiano l’anno successivo dalla Garzanti.
Il film si apre con una nave che solca il mare in tempesta, dove il nostro protagonista, dal volto noto di Antonio Banderas, appare chiaramente fuori luogo: cosa ci fa un uomo con un turbante arabo su una nave scandinava?
La sua voce ci narra gli eventi che lo hanno portato a rischiare la vita così lontano da casa, contro la sua volontà. Poeta nella città di Baghdad, è la gelosia di un marito a spingere il califfo a nominare Ahmed Ibn Fahdlan ambasciatore, compito che lo spinge a nord fino alle terre dei Bulgari del Volga, dove incontra per la prima volta i Normanni, uomini del Nord tanto temibili da mettere in fuga i Tartari che stavano assalendo la carovana con cui stava viaggiando prima ancora di scendere dalle proprie navi.
Incontriamo quindi i Normanni subito associati ad uno degli elementi che li caratterizza nell’immaginario comune, la nave dalla polena di drago – qui raffigurata in maniera rigorosamente non storica (gli elmi con le corna ci vengono risparmiati, sebbene elmi ed armature siano stati scelti con gran disinvoltura, tanto da mischiare armature cinquecentesche ed elmi da gladiatori). Da contro, possiamo notare con piacere che è stato evitato il termine “vichinghi”, ormai fin troppo usato ed abusato.
Ma questi uomini si rivelano più di guerrieri impavidi; rudi nei modi e nelle parole sì, ma anche uomini d’onore con cui poter costruire un solido rapporto di fratellanza. Introdotto in quanto ambasciatore al capo dell’accampamento normanno Buliwyf (interpretato da Vladimir Kulich), Ahmed assiste al funerale del precedente capo, il quale viene bruciato su una nave caricata di tesori e su cui viene fatta salire anche una delle sue schiave, la quale prima pronuncia una sorta di preghiera o di addio, in cui accetta il suo destino di morte che la condurrà al Valhalla (in realtà l’articolo giusto andrebbe al femminile, la Valhalla, ma di questo discuteremo un’altra volta). Il protagonista entra poi a far parte del gruppo di stranieri dopo che un’indovina (figura tipica della letteratura norrena, che incontriamo già nelle strofe iniziali del primo e più famoso carme dell’Edda poetica, la Vǫluspá) rivela che per sconfiggere un antico male risvegliatosi nella loro terra natale tredici uomini devono partire ad affrontarlo, ma il tredicesimo non deve essere normanno. La scelta ricade così su Ibn Fahdlan, che partirà alla volta del grande e misterioso Nord, e vivrà avventure epiche affrontando mostri e uomini, scoprendo quanto sottile possa essere il confine tra i due.
Ma le radici di questa storia affondano in un Medioevo più vero del medievalismo che vi ho appena descritto e che vi invito a scoprire guardando questo film; partendo dal grande schermo possiamo avventurarci non solo nella letteratura contemporanea, ma anche in quella medievale.
Ahmad Ibn Faḑā’n infatti è esistito realmente e a noi sono giunte le sue memorie.
Quella che viene considerata l’età d’oro della letteratura araba spazia dal 750 al 1055, essendo così in gran parte contemporanea a quella che viene chiamata era vichinga (793-1066), e tra i vari autori arabi che ci forniscono informazioni sugli Scandinavi e i loro spostamenti verso Est il resoconto più noto e probabilmente più accattivante è proprio quello di Ibn Faḑlā’n, realmente un ambasciatore del califfo al-Muqtadir presso i Bulgari del Volga (attuale Russia meridionale) poco dopo il 920. Egli incontrò dei mercanti Rus’ e nel suo racconto troviamo descritto il funerale sopracitato, e troviamo anche notizia dei Rus’ al servizio di Bisanzio come mercenari.
È quindi lontana nel tempo l’origine di questa storia che viene raccontata più e più volte, grazie anche al suo fascino che unisce due mondi così distanti: questo aspetto viene sottolineato più volte nel film, dove le diversità reciproche vengono accettate e diventano occasione di arricchimento, come nelle scene in cui Buliwyf chiede a Ibn Fahdlan se sa “disegnare i suoni” e “riportarli alla vita” e dall’arabo impara a scrivere – topos questo, del capo potente e valoroso che desidera ardentemente accedere ad una conoscenza differente da quella delle armi, che troviamo spesso nella formazione dell’immagine idealizzata di certi sovrani, come accade per Carlo Magno.
Il 13° guerriero è quindi esempio di medievalismo godibilissimo che, anche grazie alle bellissime musiche di Jerry Goldsmith (compositore americano dalla lunga e proficua carriera) in grado di creare un’epicità travolgente, cattura lo spettatore e lo appassiona alle vicende di Ibn Fahdlan, tanto che gli perdoniamo il fatto di essere in grado di trasformare uno spadone in una scimitarra mettendo mano per la prima volta ad una mola, concedendogli la nostra sospensione dell’incredulità per gustarci la sfumatura fiabesca che aleggia sui suoi compagni di avventure forse un po’ stereotipati ma a cui si finisce inevitabilmente per affezionarsi.
Accendete quindi il televisore, e preparatevi ad un lungo viaggio, dal sole di Baghdad fino ai fiordi scandinavi, ad affrontare le nere creature della bruma.
Valérie Morisi
Per approfondire:
CRICHTON MICHAEL, Mangiatori di morte, Garzanti, Milano 1977.
IBN FADLÀN, Un viaggiatore arabo nelle oscure terre del lontano Nord, Luni editrice, Milano 2017.
PERKINS RICHARD, Arabic sources for Scandinavia(ns), in Medieval Scandinavia. An Encyclopedia a cura di Philip Pulsiano e Kirsten Wolf, Routledge, New York 2016, p. 17-18.