Fonte di acqua, via per i commerci, scarico di rifiuti, ma anche confine di territorio fin in tempi recenti, come ricordato in una celeberrima intervista di Alberto Sordi, che affermava passata la metà di ponte Garibaldi si entrava a Roma venendo da Trastevere, il rapporto simbiotico tra Roma e il Tevere è sempre stato di amore e odio. Il fiume, fin dagli albori, fu uno degli elementi fondamentali che permisero la crescita e lo sviluppo dell’insediamento.
All’interno della città, il letto si snoda tutt’ora in un percorso sinuoso, in cui si vengono a formare alcuni punti critici con anse particolarmente accentuate: con riferimento alla toponomastica moderna, la prima ansa è all’altezza del quartiere Flaminio, nell’area fuori la porta del Popolo, la seconda tra ponte Cavour e ponte Mazzini e una terza è tra ponte Garibaldi e ponte Sublicio.
Proprio questa sua particolare conformazione, nonostante una modesta portata d’acqua complessiva, comportava frequentemente importanti esondazioni, con conseguenti danni alla città. Non è altresì un caso che il primo nucleo cittadino di Roma si inerpicava sui colli che, tra i tanti vantaggi, offrivano anche un buon riparo dalle piene del fiume. Con la crescita progressiva dello spazio urbano si andarono ad occupare aree molto critiche, in prossimità del corso del Tevere: dapprima il Foro Boario e successivamente l’area del Campo Marzio. La costante manutenzione e pulizia del fiume, permise comunque di contenere il più possibile i danni delle esondazioni. Dopo la caduta dell’Impero Romano, si fecero sempre più rare, nel corso dell’alto medioevo, le menzioni alla manutenzione e alla gestione del fiume e degli argini. Sappiamo che dall’877 fino al XII secolo era riscossa una tassazione detta “ripatica” per il diritto di sbarco di cose e persone.
Nel corso del Medioevo, il fiume assunse ancor di più un ruolo primario per l’economia cittadina e come via di comunicazione: l’area progressivamente popolata fu proprio quella vicino alle anse del Tevere, sulla sponda meridionale, negli odierni rioni di Parione, Pigna, Ponte e Sant’Angelo, quest’ultimo dove si svolgevano le attività di compravendita del pescato. Progressivamente si venne sempre più a popolare anche la riva settentrionale, con l’espansione della cittadella di Borgo. Il riflesso immediato di questo cambiamento demografico fu proprio nella maggiore vulnerabilità della popolazione e delle strutture alle piene del Tevere.
Agli anni centrali del medioevo risalgono le più antiche epigrafi relative alle commemorazioni di queste esondazioni: la più antica di cui siamo a conoscenza risale al 1180 ed è custodita oggi al museo di Roma, nella prestigiosa sede di Palazzo Braschi. L’iscrizione è posta su un fusto di colonna e ricorda l’esondazione avvenuta il 26 gennaio 1180, durante il pontificato di Alessandro III (il nome del pontefice è citato sul cippo). L’epigrafe fu rinvenuta durante i lavori di demolizioni per l’apertura di corso Vittorio Emanuele nel 1886 e probabilmente, in origine, era collocata nei pressi del portico della chiesa dei SS. Celso e Giuliano, ancora oggi esistente nei pressi di ponte Sant’Angelo.
Proprio davanti questa chiesa, in via del Banco di Santo Spirito, è visibile un’altra epigrafe commemorativa riferita all’esondazione del Tevere del 1277, nascosta sotto l’Arco dei Banchi. La posizione originaria doveva essere, anche in questo caso, proprio nella limitrofa chiesa dei SS. Celso e Giuliano. Il supporto usato per questa iscrizione è un blocco di travertino. Il testo è impaginato su una sola colonna, divisa più o meno alla metà da una linea con signum crucis all’estremità sinistra, attestante il livello raggiunto dalle acque del fiume.
Huc Tiber / accessit / set turbi /dus hinc / cito cessit / anno Domini / MCCLXXVII / ind(ictione) VI m(ense) no /venb(re) die VII / eccl(esi)a vac / ante.
Anche qui come nella precedente epigrafe è presente il riferimento cronologico al pontefice: nello specifico si ricorda la “ecclesia vacante” in quanto si stava ancora decidendo in conclave il successore di Giovanni XXI. Pietro Ispano, era morto a Viterbo il 20 maggio del 1277 e i cardinali, riuniti in conclave, ebbero problemi ad accordarsi sul nome del successore. Alla fine, proprio nel corso di novembre del 1277, la scelta cadde sul cardinal Giovanni Gaetano Orsini, che divenne pontefice con il nome di Nicola III. Una epigrafe sostanzialmente identica a questa era posta sulla facciata della chiesa di Santa Maria in Traspontina, sulla sponda opposta rispetto ai SS. Celso e Giuliano. In questa seconda epigrafe viene indicata la data del 5 novembre e non del 7 come in quella dell’Arco dei Banchi, ma si menziona comunque la sede vacante. Purtroppo, con i rifacimenti della chiesa della Traspontina, l’epigrafe è andata perduta: sappiamo, inoltre, con certezza che ve ne fosse un’altra leggermente anteriore, datata 1230, sempre sulla stessa facciata.
Il periodo tra XII e XIII secolo fu molto importante nella gestione del fiume: vi fu una riorganizzazione dei compiti di gestione delle acque e riqualificazione del percorso fluviale, come testimonierebbero alcuni trattati di pace e alleanza stipulati dai consoli dei mercanti e i marinai di Roma con il comune di Genova e, soprattutto, con la nomina di magistri incaricati di occuparsi super omnibus questionibus Urbis aedificiorum, domorum, murorum, viarum, platearum, divisionum tam intus Urbem quam extra, da parte del comune, nel 1233.
Non sappiamo con certezza chi ci fosse dietro la committenza di queste epigrafi: certamente è possibile che questi manufatti fossero in qualche modo collegati alla rinnovata attenzione per il fiume da parte dell’autorità comunale, che proprio in quei secoli stava cercando di liberarsi definitivamente dal controllo papale. D’altro canto, luogo delle esposizioni di queste iscrizioni erano prevalentemente le facciate delle chiese, come SS. Celso e Giuliano e S. Maria in Traspontina, vicinissime al corso del fiume e che probabilmente conobbero danni importanti a seguito di queste esondazioni. Non sarebbe difficile credere che si trattasse di un’iniziativa del clero di queste stesse chiese, che voleva commemorare e ricordare questi eventi così nefasti.
La città di Roma conobbe altre grandi inondazioni nel corso della sua storia e molte di esse sono ricordate proprio da queste epigrafi commemorative, che ancora oggi tappezzano molti degli edifici ecclesiastici della città: nel corso del tempo pur mantenendo una struttura testuale molto simile a quelle del XII e del XIII secolo, vennero a modificarsi alcuni dettagli iconografici: in quelle più recenti compare una raffigurazione delle acque, graficamente rese tramite l’incisione di segni curvilinei a simboleggiare le onde, mentre il livello raggiunto dalle acque viene indicato da una mano stilizzata con l’indice puntato, la cosiddetta manina.
Tra il XVI e il XIX secolo si ricordano pesantissime esondazioni, che causarono numerose vittime, e l’ultima con effetti devastanti risale al 1870, poche settimane dopo la presa di Porta Pia. Il neo insediato governo italiano, colpito dalla devastazione, decise di agire in fretta per ovviare al problema: basandosi su vecchi progetti si passò alla realizzazione degli imponenti muraglioni, completati solo nel 1926, che ancora oggi si frappongono tra l’impetuoso corso del biondo Tevere e Roma, creando un evidente ed inevitabile distacco fra la città e il suo fiume.
Lorenzo Curatella – EMR. Epigrafia Medievale Roma x Medievaleggiando
Per approfondire:
FORCELLA VINCENZO, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, Vol. XIII, pp.201-222, Roma 1879.
D’ONOFRIO CESARE, Il Tevere, Romana Soc. Ed., Roma 1980.
SEGARRA LAGUNES MARIA MARGARITA, Il Tevere e Roma. Storia di una simbiosi, Gangemi Editore, Roma 2004.
MARSICO ANNALISA, Il Tevere e Roma nell’alto Medioevo. Alcuni aspetti del rapporto tra il fiume e la città, Società Romana di Storia Patria, Roma 2018.
Immagine:
“Epigrafe commemorativa della piena del Tevere del 1277”, Roma, via del Banco di Santo Spirito.
(Foto Lorenzo Curatella)