In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre canuto senesco come il mondo, trattenuto ormai col mio corpo greve e malato in questa cella del caro monastero di Melk, mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere, al finire dell’anno del Signore 1327.
Non ha certo bisogno di presentazioni, il romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco. Pubblicato nel 1980 da Bompiani e ristampato varie volte, tradotto in quasi 50 idiomi diversi, vincitore di numerosi premi, l’opera più famosa dell’autore originario di Alessandria vanta adattamenti per tutti i principali media.
Il primo che ci viene in mente è sicuramente il film del 1986, diretto da Jean-Jacques Annaud, in cui Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk sono interpretati, rispettivamente, da Sean Connery e Christian Slater. A questo film si sono aggiunte, nel corso degli anni, numerose altre trasposizioni, come la serie televisiva prodotta da Rai Fiction ed il videogioco La Abadía del Crimen, senza dimenticare omaggi e citazioni in altre opere.
Tra i vari media in cui Il nome della rosa ha ricevuto una trasposizione mancava, stranamente, proprio quello che potremmo collocare a metà strada tra il mondo dei libri e quello delle immagini in movimento: quello del fumetto. Anche se l’opera è stata d’ispirazione per diverse storie nel corso degli anni, come una saga di Zagor ambientata in una abazia ed una parodia dal titolo Il nome della mimosa apparsa su Topolino nel 1988, mancava finora all’appello una trasposizione fumettistica del romanzo.
Mancanza a cui ha dato correzione il Maestro Milo Manara.
Edito da Oblomov Edizioni e diviso in due volumi, Il nome della rosa non è un adattamento quanto un vero e proprio trasferimento delle parole di Eco dalle pagine del libro a quelle del fumetto; i personaggi e gli ambienti illustrati da Manara, infatti, fanno da contorno alle descrizioni ed ai dialoghi dell’autore, ripresi per filo e per segno dal romanzo. Ma questo non ha impedito al disegnatore di dare libero sfogo alla propria fantasia.
Se gli ambienti sono ripresi perfettamente dalle descrizioni date da Eco, Manara ha dato carta bianca al proprio estro creativo nella fattezze dei personaggi. Nonostante ormai quasi tutti associno al personaggio di Guglielmo da Baskerville il viso di Sean Connery, la sua versione a fumetti sfoggia dei lineamenti chiaramente ispirati a quelli di Marlon Brando (che vale la pena ricordare, fu considerato proprio per il ruolo). Anche gli altri personaggi della vicenda, da Malacchia a Ubertino da Casale, senza dimenticare il grottesco Salvatore, hanno sembianze che ci danno la sensazione di averli già visti, magari in qualche film o serie.
Discorso a parte merita Adso.
Milo Manara è famoso per i suoi personaggi femminili, ma come sappiamo questo romanzo ne è povero. E naturalmente questa trasposizione, a differenza del film, segue la stessa linea. A parte la donna in cui si imbatte Adso, che compare solo nelle ultime pagine di questo primo volume e che non è molto dissimile da altri personaggi femminili del fumettista, ed alcune illustrazioni nel volume riguardanti altre donne non inerenti la vicenda principale, l’attenzione che normalmente Manara dimostra per i personaggi femminili viene qui dedicata ad Adso da Melk, illustrato come un ragazzino dai tratti quasi femminei, che ricordano molti quelli di Milla Jovovich nel film Giovanna d’Arco di Luc Besson.
Oltre che le fattezze del viso, una cosa che colpisce di Adso è anche la corporatura. In alcune vignette, questa cambia, facendolo apparire più piccolo o più grande rispetto al corpo del suo maestro. Sebbene ad una prima occhiata potrebbe apparire come un errore nelle proporzioni dei personaggi, rileggendo bene la storia si può notare come questa sproporzione si collochi in momenti in cui lo stato emotivo del narratore, cioè proprio quel Adso che, nella narrativa del romanzo/fumetto, sta mettendo per iscritto le vicende, si trova ad essere alterato. Per fare un esempio, dopo aver incontrato per la prima volta Salvatore, il giovane benedettino è turbato dal grottesco monaco e dalle sue parole; mentre la figura di Adso, normalmente, arriva alle spalle di Guglielmo, in questa occasione abbiamo una rappresentazione del personaggio minuta, quasi bambinesca, che supera di poco la cintola del suo maestro.
Oltre al tratto di Manara ed alle descrizioni di Eco, molto del fascino di questo volume è anche merito dell’uso del colore da parte di Simona Manara. Ai colori chiaro scuri che contraddistinguono l’abazia ed i suoi abitanti e visitatori, la colorista accosta il rosso incandescente del fuoco e del vino, ma anche dei capelli della donna incontrata da Adso, quasi a riprendere l’idea della donna dai capelli rossi incarnazione del diavolo e della tentazione. Sicuramente degno di nota è anche il suo riuscire a rendere, pur usando toni cupi e freddi, la differenza tra il saio di Guglielmo, francescano, e quello degli altri monaci, benedettini.Pur conoscendo già la storia e le vicende, la conclusione del primo volume lascia il desiderio bruciante di continuare la lettura, per poter vedere come Manara rappresenterà Bernardo Gui e la conclusione dell’avventura di Guglielmo ed Adso.
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus
Dario Medaglia