È giunto il momento di parlare di un romanzo, forse uno dei più famosi in assoluto: Il nome della rosa di Umberto Eco.
C’è moltissimo da dire su questo libro e sul suo autore, tantissimo è stato scritto e tanto si scriverà, perché il romanzo colpisce nel profondo la nostra sensibilità, costruisce e conferma la nostra idea di Medioevo e non possiamo non pensare che a tutti noi sarebbe piaciuto avere come maestro Guglielmo da Baskerville. Questo articolo non si propone di analizzare il romanzo in tutti i suoi piani di lettura ma di fornire una panoramica del Medioevo romanzato di Eco e dei prodotti da questo scaturiti, insomma Il nome della rosa come fenomeno medievalistico e pop.
Partiamo con le informazioni di rito. Il romanzo esce per la prima volta nel 1980, edito da Bompiani, ed è subito un bestseller tradotto in tantissime lingue e che a più di quarant’anni dalla sua uscita continua a vendere moltissime copie ogni anno. Quali potrebbero essere le ragioni di questo successo? Come è possibile che il romanzo rinnegato da Eco stesso – più volte il semiologo ha dichiarato che Il nome della rosa era il suo peggior romanzo – sia tra i più letti al mondo?
Proverò a rispondere a queste domande, tenendo presente che non esiste una risposta univoca e definitiva.
Riassumerò la trama molto brevemente, chi ancora non avesse letto il romanzo corra a farlo! La cornice è quella dell’Italia del nord alla prima metà del Trecento, Guglielmo e il novizio Adso da Merk sono ospiti di un’abbazia benedettina, ispirata alla celebre Sacra di San Michele, dove si terrà una disputa sulla povertà di Cristo. Nel frattempo i due si ritrovano a dover far luce su una serie di morti inspiegabili, tanto che il nostro protagonista arriva a trovare il colpevole per puro caso. Sommariamente questa è la trama. Gli eventi del romanzo ovviamente sono fittizi, anche se alcuni personaggi non lo sono, come l’inquisitore Bernardo Gui, e il contesto non è del tutto inverosimile – in fin dei conti stiamo parlando di Umberto Eco. Difatti si respira bene il clima vissuto dal monachesimo dell’epoca lacerato dalle disquisizioni, alimentate dai francescani, sulla povertà di Cristo, ma anche del tessuto sociale che è scosso dall’eresia di turno, quella di Fra’ Dolcino, che incanala bene la voglia di riscatto religioso di alcuni ceti sociali che sentono la Chiesa lontana da loro. Quindi che Medioevo ci viene presentato? Nonostante Eco fosse un medievista, il romanzo sembra ricalcare lo stereotipo del Medioevo come epoca buia e oscurantista, tanto caro a una certa retorica, e sicuramente al lettore meno attento e influenzato dal film (di cui parleremo più avanti) può sembrare così, ma dobbiamo tener conto del momento in cui è stato scritto il romanzo. Eco si è sempre considerato un’intellettuale di sinistra e quando iniziò la stesura del romanzo, ossia nel 1978, la sinistra italiana stava vivendo un momento molto buio con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse; questo e altri fatti non possiamo escludere che abbiano influenzato, consciamente o meno, l’autore. Questo spiega, almeno in parte, perché abbiamo presentato il Medioevo così. Insomma, si cede allo stereotipo ma non eccessivamente, almeno non quanto si vede nel film.
Infatti è ora di parlare di uno dei prodotti “pop” scaturiti dal romanzo. Uscito nelle sale cinematografiche nel 1986 diretto da Jean-Jacques Annaud e interpretato, fra gli altri, da Sean Connery nei panni di Guglielmo da Baskerville. La trasposizione cinematografica fu un successo soprattutto in Europa. La trasposizione cinematografica non riesce a rendere la complessità del romanzo e, come lo ha definito il regista stesso, il film è un palinsesto del libro. È assente tutta la parte dedicata alle discussioni teologiche e soprattutto viene riservato ampio spazio a Gui e all’istituzione che rappresenta, l’Inquisizione, quando nel libro tutto questo è in secondo piano. Molto probabilmente la scelta di ampliare la parte dedicata all’Inquisizione ha fatto sì che il pubblico si appassionasse al film più del libro.
Non molti sanno però che Il nome della rosa vanta anche una trasposizione teatrale, adattamento di Stefano Massini e regia di Leo Muscato, molto simile al film per certi versi. Andata in scena nei teatri di tutta Italia nel 2017 in occasione del primo anniversario della morte dell’intellettuale, sicuramente è un prodotto molto suggestivo.
Infine, dedico l’ultima parte di questo articolo alla serie televisiva. Nata da una produzione italo-tedesca è stata trasmessa nel 2019 e vanta un cast internazionale ben assortito fra attori conosciuti e sconosciuti. Il pregio di questo adattamento per il piccolo schermo sta nel dare al romanzo un ampio sfondo storico, soprattutto si approfondisce la vicenda di Dolcino e dei suoi compagni, sebbene i produttori nel rappresentare questi eventi abbiano ceduto molto a una narrazione contemporanea che vede i dolciniani degli odierni socialisti che combattono per un mondo più giusto, mentre non erano queste le motivazioni che li portavano a lottare contro la Chiesa. Sicuramente però questa produzione televisiva ha avvicinato nuovi lettori al romanzo e ha contribuito alla costruzione della nostra immagine del Medioevo.
Concludendo, le ragioni del successo de Il nome della rosa sono da rintracciare nella storia avvincente creata da Umberto Eco, nel fatto che essa parla a tutti, che ci trasporta nel Medioevo che tanto abbiamo immaginato e che le tematiche che affronta non sono medievali, ma contemporanee!
Giulia Panzanelli
Per approfondire:
BAUSI FRANCESCO, I due medioevi del Nome della rosa, in “Semicerchio. Rivista di poesia comparata” XLIV, Pacini editore, Firenze 2011.
ECO UMBERTO, Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1980.
GANERI MARGHERITA, Il caso Eco, Palumbo, Palermo 1991