Quando parliamo di notariato medievale dobbiamo tenere presente che stiamo facendo riferimento ad una disciplina in continuo mutamento, che ha visto i notai ottenere lentamente un maggiore potere certificante sui propri scritti e, di conseguenza, per tutto l’Alto Medioevo dovettero ricorrere a determinati stratagemmi per autenticare i propri scritti. Tra i principali ricordiamo le firme dei testimoni e dell’autore del documento (chi compie l’azione giuridica) e un formulario rigido che spesso conteneva clausole o riferimenti ad istituti scomparsi, al solo scopo di fornire maggiore forza di prova. 

Nei territori dell’Esarcato i tabelliones, i notai di matrice romano-bizantina, formavano un nucleo ristretto, quindi con connotati fortemente caratterizzanti e, a fronte del crescente analfabetismo, godettero di un discreto potere certificante sui loro scritti, legati alle costituzioni giustinianee del Corpus Iuris Civilis che aveva cercato, tra le altre cose, di dare organicità alle norme in materia di redazione di documenti, rifacendosi a quella parte di diritto romano che era sopravvissuto nel tempo. 

Nell’Italia longobarda, invece, è impossibile riconoscere un nucleo omogeneo di rogatari, visti i molteplici appellativi con i quali si firmavano (Amicus, nepos, notarius…) appartenendo sia all’ambiente laico che ecclesiastico, con la predominanza del secondo. La parola notarius sembrava quasi identificare un semplice scrittore, ovvero chiunque non fosse analfabeta.

Il Basso Medioevo fu un periodo di grandi mutamenti per Europa che tra le altre cose vide una forte ripresa dei commerci su larga scala, che comunque non si erano mai arrestati del tutto, e la nascita delle prime monarchie nazionali; in Italia fu presente, invece, il fenomeno singolare dei comuni cittadini

Questi profondi cambiamenti ebbero un grande impatto sulla documentazione sia pubblica che privata e prima ancora sui tecnici del diritto. Infatti, durante il secolo XI, nella penisola italica lo studio della retorica adottò un vero e proprio approccio critico. Si sviluppò così l’Ars dictandi, già insegnata in parte durante l’Alto Medioevo in diverse comunità ecclesiastiche, che portò ad un rinnovamento della lingua latina utilizzata nei documenti e nelle opere letterarie, arrivando all’eliminazione di molti termini di origine “barbarica” e introdusse, invece, vocaboli in volgare. La Dictandi era basata sull’analisi critica delle opere degli autori tardo-antichi, contribuendo, quindi, alla produzione di trattati di retorica. Ciò creò un ponte tra lo studio delle Lettere e del diritto; ne troviamo la prova in un documento di enfiteusi (è un diritto reale su un fondo altrui che attribuisce al titolare gli stessi diritti che avrebbe il proprietario sui frutti), datato 1339, dove Angelus notarius appose la sua sottoscrizione seguendo uno schema ritmico, dimostrando una grande padronanza della disciplina. 

La figura del notaio bassomedievale, quindi, si formò a partire da un cambio di cultura che andò a mutare per sempre la professione così come il contributo che questa fornì alla disciplina. Questo flusso culturale trovò il suo apice nella città di Bologna, che in quel momento assisteva alla nascita dell’università, e in un altro elemento fondamentale: la riscoperta del diritto romano, che portò ad un quasi totale monopolio della produzione documentaria da parte dei notai laici per quel che riguarda la rogazione dei negozi giuridici privati. 

Da questo momento nacquero le scuole di Ars notarie, dove si istruivano gli allievi nella redazione degli atti notarili secondo un linguaggio giuridico appropriato che, partendo dal diritto romano, veniva attualizzato alla loro epoca. Comparvero quindi trattati dottrinali di notariato contenenti nuovi modelli da seguire durante la stesura di un documento, al fine di semplificare gli schemi formulari complessi e alcune volte sgrammaticati dell’Alto Medioevo (tra le altre cose gli atti vennero scritti in terza persona e non più in prima). Uno dei più importanti fu la Summa Totius Artis Natarie di Rolandino de Passeggeri che rimase un punto di riferimento del notariato per tutto l’ancien régime. Quindi, al sorgere delle prime realtà comunali, a metà del XII secolo, i notai si trovarono dotati di publica fides, ovvero il potere di dare autenticità agli atti soltanto attraverso la propria sottoscrizione. Da questo momento scomparvero le firme dei testimoni, di cui rimarrà soltanto la menzione in chiusura dello scritto, e dell’autore, non più necessarie alla validità giuridica dell’atto. Scompariranno anche i segni di croce prima della sottoscrizione, trasformati nel signum notarii, ovvero un simbolo identificativo del singolo notaio o del suo studio giuridico. Signum biblioteca bercelliana

Allo stesso tempo il potere certificante dei rogatari fece sì che di fronte alla redazione di atti privati le parti interessate si sentissero tutelate dalla semplice stesura della minuta, l’abbozzo preliminare dei dati essenziali del negozio privato. Questa veniva poi conservata in un minutario nel caso in cui in futuro fosse stata necessaria la stesura completa. Il documento perse il suo valore di charta altomedievale, dove la redazione dell’atto e l’azione giuridica coincidono, divenendo un instrumentum publicum, con lo scopo di dare forza di prova al diritto in esso contenuto. 

Tra il XIII e il XIV secolo venne sviluppata una fase intermedia di redazione degli atti che si va a porre tra la minuta ed il mundum (documento finale), definita imbreviatura. Si tratta di una stesura quasi completa dello scritto, fatta eccezione per quelle formule che, ripetendo sempre lo stesso dettato, vennero qui riportate in maniera contratta. Questa veniva conservata nel registro delle imbreviature, conosciuto anche come protocollo notarile, consegnato in eredità a chi avesse ricoperto la carica nel momento successivo alla morte del notaio, al fine di lasciarne memoria sistematica. Dalla prima redazione fino al suo stadio finale potevano passare anche molti anni e non sempre questa veniva completata a tutti gli effetti. Il ruolo dell’imbreviatura consisteva nel dare chiarezza del diritto contenuto nello scritto, senza fraintendimenti; inoltre essendo vicina al mundum, era più adatta ad essere esibita in tribunale.

La publica fides si sposa perfettamente con la vita del notaio del comune cittadino, una realtà dove si moltiplicarono gli uffici burocratici e amministrativi ed era necessaria una continua produzione di atti notarili, cosa che fu possibile proprio grazie all’instrumentum publicum, libero da tutte le formalità altomedievali che avrebbero necessitato di più tempo per completare la stesura. La loro grande competenza e la crescente fama del notariato fece sì che comparvero notai in tutte le cancellerie e amministrazioni comunali, che spesso rappresentavano una tappa intermedia nella carriera del notaio, volto a ottenere maggiore prestigio professionale, prima di mettersi in proprio tornando nella sfera del privato. I tecnici del documento che operavano in ambito pubblico, in alcuni casi, potevano arrivare a redigere gli statuti e, più raramente, a ottenere poteri giurisdizionali: è il caso dei notai che divennero capitani dei castra nella Gubbio del ‘300.

L’immagine del notaio era mutata completamente rispetto ai secoli precedenti e il numero di rogatari si moltiplicò raggiungendo vette che non saranno mai più eguagliate in epoche successive. A Bologna, infatti, vediamo la comparsa di homines novi, figli di medici o giudici, i quali esercitavano l’attività notarile che spesso non era neanche la loro occupazione principale. Le conseguenze furono che il lavoro svolto risultò meno utile rispetto a chi dedicava tutto il proprio tempo alla documentazione. Lo squilibrio si manifestò anche sul piano culturale; non è un caso che molti notai provenissero da famiglie di origine artigiana e, con l’intento di innalzare il proprio rango sociale, giunsero, però, alla strumentalizzazione dell’attività notarile in base alle proprie esigenze, copiando spesso gli stessi formulari utilizzati da altri rogatari senza fornire il proprio apporto personale. In conclusione, il notariato perse i connotati caratterizzanti del periodo bizantino, trasformandosi in un ceto estremamente eterogeneo; fu così che lo statuto bolognese del 1288 dichiarò che potevano esercitare l’attività di tabellione soltanto coloro che l’avrebbero svolta in maniera costante e come occupazione principale, altrimenti sarebbero stati privati della publica fides.

E’ necessario specificare che la situazione fin qui descritta riguarda solamente la penisola italica, nello specifico l’area centro-settentrionale; neanche in questa zona, però, siamo di fronte ad una situazione omogenea, come sono da esempio i casi di Genova e Venezia, dove il notariato non ebbe le stesse libertà di altrove, essendo fortemente controllato dalle istituzioni cittadine, così da mantenere un modus operandi, durante la redazione, più vicina ai modelli altomedievali.

Nel Trecento la situazione cambiò nuovamente quando i comuni si servirono di nuovi apparati statuali per la stesura dei documenti. Nel giro di poco tempo i notai si trovarono esonerati dagli incarichi negli uffici pubblici, vedendosi relegati a redigere esclusivamente atti di negozi privati.

Questo articolo non ha l’obiettivo di essere esaurire l’argomento circa il notariato medievale, ma vuole dare degli spunti base per comprendere il mutamento istituzionale di queste figure negli ultimi secoli dell’età di mezzo, tenendo in considerazione il loro legame con i vertici di potere a cui sono sempre stati vincolati anche quando agivano nella sfera del privato.

 

Matteo Cingottini

 

Per approfondire:

 

Bartoli Langeli Attilio, Notai, Scrivere documenti nell’Italia Medievale, Roma, Viella, 2006

Costamagna Giorgio, La triplice redazione dell’instrumentum genovese, con Appendice di documenti, Genova, Società Ligure di Storia Patria, 1961 (Notai liguri dei secoli XII e XIII, VIII

Luongo Alberto, Notariato e mobilità sociale nell’Italia cittadina del XIV secolo in La mobilità sociale nel Medioevo italiano. Competenze, conoscenze e saperi tra professioni e ruoli sociali (secc. XII-XV), a cura di Lorenzo Tanzini e Sergio Tognetti, Roma, Viella, 2016

Tamba Giorgio, Una corporazione per il potere. Il notariato a Bologna in età comunale, Bologna, Clueb, 1998

Zabbia Marino, Circolazione di persone e diffusione di modelli in ambito notarile (secoli XIII e XIV) in Cultura cittadina e documentazione. Formazione e circolazione di modelli, Bologna, Reti Medievali, 2009

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Written by : Redazione

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