Nella nostra letteratura abbiamo personaggi davvero originali che, con forza, hanno saputo affermare il loro pensiero e la loro diversità, uno di questi è il religioso Jacopone da Todi.
La vita di Jacopone, ricostruibile attraverso la sua stessa opera, è segnata da una violenta cesura, avvenuta al momento della sua conversione nel 1268. Fino a quel momento, infatti, Jacopone, nato a Todi in Umbria, probabilmente nel 1236 dalla nobile famiglia dei Benedetti, aveva esercitato la professione di procuratore legale, inserito nella vita mondana comunale che poi rinnegherà completamente a seguito della conversione dopo la morte della moglie e del ritrovamento di un cilicio (strumento di penitenza corporale) sul corpo di lei. Questo tragico avvenimento lo spinse alla conversione nel 1268. Da questo momento in poi, la vita di Jacopone sarà segnata dal rifiuto dei valori terreni. Dopo 10 anni di vagabondaggio in abito di frate laico, si avvicinò a un gruppo della rigorosa fazione degli spirituali francescani. In seguito, invitò Celestino V ad affrontare la riforma della Chiesa e, dopo la sua abdicazione, si schierò contro il suo successore, Bonifacio VIII, che rappresentava la realtà più conservatrice del potere ecclesiastico. Si unì, perciò, ai cardinali Colonna e, nel 1297, firmò il manifesto che dichiarava nulla l’elezione di Bonifacio. A seguito di ciò, fu scomunicato e arrestato. Dal carcere, Jacopone inviò accese epistole a Bonifacio, supplicandolo di liberarlo dalla scomunica e, allo stesso tempo, predicendogli la dannazione eterna, ma riottenne la libertà e la revoca della scomunica solo alla fine del 1303, grazie all’indulgenza di Benedetto XI, successore di Bonifacio. Morì nel 1306 a Collazzone, non lontano da Todi, nella notte di Natale.
Poetica.
La parte decisiva della produzione di Jacopone è da cercarsi nelle laudi (da laus “lode”). I temi sono spesso quelli della tradizione francescana, cioè l’umiltà dell’uomo rispetto alla grandezza di Dio, il giubilo, ovvero la gioia mistica e i momenti centrali della fede con particolare predilezione per l’incarnazione e la passione. Jacopone affronta queste tematiche in modo originale, infatti, domina in lui un senso di irrequietezza e rabbia nei confronti della condizione umana che viene costantemente aggredita come colpevole e superba, mentre la grandezza di Dio non provoca nessuna gioia ma, al contrario, un sentimento di indegnità e distanza. Rispetto a Dio, ogni cosa perde significato, tutto si nullifica e la stessa divinità è un bisogno irraggiungibile piuttosto che un riferimento sicuro. Dio è quindi vuoto e assenza. Altro tema centrale in Jacopone è l’umiliazione corporale, il religioso, infatti, chiede a Dio malattie e sofferenze, rovesciando la consueta richiesta di protezione dai mali. In Oh Signor per cortesia, Jacopone chiede a Dio che gli causi un gran numero di terribili malattie e sciagure, passando in rassegna delle più orribili e ripugnanti malattie del tempo e chiedendo anche una deformità fisica tale da spaventare gli altri uomini in modo da poter vivere emarginato, temuto e maledetto (Un bel tipino!).
Tanto sia ‘l fetor fetente
Che non sai null’om vivente,
che non fuga da me dolente,
posto en tanta enfermaria.
(…)
Allegom’ en sseppultura
Un ventr’i lupo en voratura
E l’arliquie en cacatura
En espineta e rogarìa.
La puzza puzzolente sia tanta che
Non ci sia nessun uomo vivente
Che non fugga da me che soffro (dolente),
messo in così grande infermità
Mi scelgo come tomba
un ventre di lupo che mi ha divorato
e come reliquie le feci
tra spine e rovi.
Un altro bersaglio di Jacopone è l’intellettualismo diffuso anche nell’ordine francescano, non viene risparmiato nemmeno l’orgoglio derivabile dalle pratiche ascetiche o di auto mortificazione, anch’esso segno di malvagità, in quanto, il desiderio della santità è una colpa che offende Dio.
Stile.
La singolarità di Jacopone è, però, soprattutto un fatto di stile e di lingua, la sua tecnica è tutt’altro che improvvisata e, anzi, ben consapevole tanto della tradizione retorica mediolatina, quanto della lirica volgare anche profana. Il poeta sceglie il dialetto umbro popolare in chiave anti intellettualistica e non esclude il ricorso a termini di varia provenienza (latino ecclesiastico, gergo giuridico e codice della lirica amorosa), scontrandosi, però, con il limite di poter esprimere la grandezza di Dio. Da questa esasperazione nasce un linguaggio poetico ardito, caratterizzato, come abbiamo detto, dall’uso umile del dialetto umbro meno raffinato, unito a un uso retorico pieno di soluzioni elaborate, con molti modi latini e soprattutto, una forte tendenza alla drammatizzazione, tanto che, probabilmente, si deve a Jacopone il passaggio dalla Lauda lirica a quella drammatica (cioè dialogata). In uno dei suoi testi più celebri Donna de Paradiso, l’unica sua Lauda completamente dialogata e che, infatti, si considera forse l’iniziatrice della Lauda drammatica, c’è un intreccio di voci. In questa Lauda parlano un fedele, forse San Giovanni, che descrive i vari momenti della passione di Cristo, poi Maria, la folla e Gesù. I temi della Lauda sono la sofferenza umana della Madonna che soffre fisicamente per il dolore del figlio crocifisso, l’esperienza della morte di Cristo e l’estrema condizione del dolore umano.
Disprezzo del mondo.
L’opera di Jacopone era destinata probabilmente a una cerchia ristretta. Le sue laudi circolano in specifici ambienti francescani senza però determinare una tradizione, tanto che la sua poesia resta sostanzialmente isolata e priva di continuatori. Jacopone manifesta un rifiuto globale della dimensione terrena e umana, portando alle estreme conseguenze la tradizione ascetica del contemptus mundi (disprezzo del mondo): la natura esiste solo in funzione dei disagi che arreca all’uomo (grandine, inverno, gelo), il corpo deve essere punito e disprezzato, l’intelletto deve essere annientato, bisogna ripudiare ogni valore mondano e Dio si potrà trovare solo con la morte mistica. Jacopone rifiutando se stesso, rifiuta l’intera società, condannando tutta la propria epoca. Tutto questo probabilmente riflette una risposta a un cambiamento sociale a cui Jacopone reagisce con la rottura di ogni compromesso e dialogo con il mondo.
Confronto con Francesco d’Assisi e conclusione.
In conclusione, Jacopone da Todi è forse uno dei più originali poeti del ‘200 e una delle personalità più inquietanti della nostra letteratura. Pur inserendosi nel solco della tradizione francescana, Jacopone non vive il rapporto fiducioso e ottimistico con la natura che caratterizza la religiosità di Francesco d’Assisi, ma la sua lotta è tragica e sfiduciata. Jacopone riprende gli aspetti polemici e violenti della religione di Francesco in un sistema di eccessi, disarmonie, negazioni, contrasti e paradossi, senza mai giungere a un orizzonte positivo: mentre Francesco contesta una Chiesa che si misura con la riforma del XII inizio XIII secolo, Jacopone si scontra con una Chiesa saldamente riorganizzata, che vede fallire l’ipotesi pauperistica (che si basa sull’ideale di povertà) con la guida di Bonifacio VIII.
Giulietta d’Alessio
Per approfondire
Romano Luperini, Pietro Cataldi, Lidia Marchiani, Franco Marchese, Il nuovo la scrittura e l’interpretazione, volume 1, G. Palumbo editore, Palermo, 2011.
Corrado Bologna, Poesia del centro e del Nord, in Storia della letteratura italiana, Vol I, Le origini e il duecento, a cura di Enrico Malato, Salerno editrice, 1995,Roma.