Giovanni Boccaccio nelle novelle del suo Decameron è stato in grado di illustrare un variegato affresco della società trecentesca. Per molti dei suoi personaggi l’autore si sarebbe ispirato alla Commedia di Dante, presentando però i suoi uomini e le sue donne in una dimensione molto più terrena.

Sin dall’inizio dell’opera le donne sono le protagoniste assolute: si incontrano subito le donne-lettrici innamorate a cui Boccaccio si rivolge. La dedica iniziale dichiara che l’opera era un testo di puro intrattenimento e, vista la scrittura in volgare, destinata anche ai non esperti del latino. Dopo il Proemio, i personaggi in primo piano della cornice sono le sette giovani che compongono la “l’onesta brigata” del Decameron: «carissime donne», «amorose compagne», «care giovani» e «valorose donne» sono i delicati modi usati dei novellatori per rivolgersi alle loro compagne di racconti.

Fiammetta è la fiamma d’amore, la narratrice della celebre novella di Tancredi e Ghismonda, con lei ci sono Pampinea (autorevole e determinata regina della prima giornata), Filomena (regina della seconda giornata e narratrice della novella di Lisabetta da Messina e di Madonna Oretta), Neifile (la ‘nuova/giovane innamorata’, regina della terza giornata), Elissa (che ricorda Didone di Virgilio ed è la regina della sesta giornata), Lauretta (che ricorda Laura di Petrarca ed è la regina della ottava giornata) ed Emilia (regina della nona giornata).

Nelle introduzioni, nelle conclusioni canterine e nei paragrafi che anticipano le novelle vere e proprie, ciascuna delle sette novellatrici acquista un carattere specifico: ad esempio è chiaro il compiacimento nel vedere che giustizia è fatta in Lauretta oppure l’incarnazione della temperanza in Fiammetta. Le donne del Decameron riconoscono la loro condizione sociale di inferiorità e la loro debolezza caratteriale di fronte alla società, ma al contempo sono consapevoli della loro forza.

Alle donne nella società mercantile del Trecento era riservata una vita abbastanza ridotta e monotona. Erano recluse in casa, «nel piccolo circuito delle loro camere», dove tenevano «nascose le amorose fiamme». In questo modo, quando erano tormentate dall’amore non potevano distrarsi con nessun genere di svago. Al contrario gli uomini, quando alcuna «malinconia o gravezza di pensieri gli affligeva», potevano «udire e veder molte cose, uccellare, pescare, cavalcare, giuocare o mercatare», prendendosi così una pausa dalle sofferenze d’amore. Boccaccio perciò permette alle «vaghe donne» di vivere una vita un po’ più “ricca”, anche se dentro le loro stanze, regalando alle donne un testo scritto «in soccorso e rifugio di quelle che amano». Si tratta di un libro di storie che possono essere vissute da tutti. Già dal Proemio si comprende come Boccaccio abbia trasformato la donna “oggetto” del suo tempo a soggetto di storie entrate nella nostra cultura.

Una storia del Decameron in cui la femminilità è al centro del racconto è la novella di Tancredi e Ghismunda (giornata IV): il principe di Salerno Tancredi ama la sua unica figlia di un amore intenso, a causa del quale trascura i bisogni emotivi della ragazza. Quest’ultima si innamora di un «giovane valletto del padre», un ragazzo umile, «ma per vertù e per costumi nobile», chiamato Guiscardo. Il giovane, «il quale ancora non era poco avveduto, essendosi di lei accorto, l’aveva per sì fatta maniera nel cuor ricevuta, che da ogni altra cosa quasi che da amar lei aveva la mente rimossa». Tra i due ragazzi incomincia un amore incredibile e assurdo dal punto di vista delle convenzioni: la figlia di un principe con un ragazzo di diversa condizione sociale. Quando Tancredi scopre questo amore, si sente tradito dalla fiducia della figlia, e non riesce ad accettare che questa abbia scelto come amante un giovane così umile. La bella Ghismunda, al cospetto di Tancredi, pronuncia una autodifesa che ad oggi potrebbe essere definito un “manifesto” del femminismo e del proprio valore umano: la vera nobiltà non dipende dal censo, dall’appartenenza sociale, ma ognuno la eredita da sé stesso. «Molti re, molti gran principi furon già poveri, e molti di quelli che la terra zappano e guardan le pecore già ricchissimi furono e sonne». Fondamentale è il discorso di Ghismunda nel rivendicare, di fronte al padre, il suo diritto al corpo, il suo diritto a godere della felicità sessuale. Uomini e donne sono due funzioni della stessa umanità, e le spinte, le esigenze emozionali sono le medesime in lei, in quanto giovane donna piena di «concupiscibile desiderio (cioè di desiderio sessuale.)».

I personaggi femminili del Decameron, o almeno gran parte di loro, sono caratterizzati dall’astuzia (utile per sopravvivere a un mondo che non pone attenzione alle loro esigenze), mentre gli uomini si riducono solitamente al naturale corso delle situazioni per raggiungere e soddisfare i loro desideri. Questo è forse un elemento che corrisponde di più alla realtà del tempo: gli uomini vivono spesso senza il coraggio di credere al sentimento e alle parole degli altri, nemmeno di una figlia. Questa è la tragedia che porterà la povera vedova Ghismonda al suicidio, bevendo il veleno dalla coppa in cui il padre Tancredi le fa recapitare il cuore dell’amato di cui ha ordinato l’uccisione.

Le donne soffrono d’amore e sono rinchiuse in un carcere domestico dal quale possono evadere solo con l’immaginazione, e Boccaccio riesce con il suo capolavoro a regalare un momento di spensieratezza alle donne del suo tempo e permettendo alle giovani donne del futuro di comprendere l’importanza della loro libertà.

 

Martina Michelangeli x Medievaleggiando

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Written by : Redazione

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